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26 maggio 2003

L'architetto? No, vogliamo l'archistar

«Il meccanismo alla base degli appalti pubblici parte dal presupposto che la progettazione non sia un' attività intellettuale ma un prodotto commerciale, indifferenziato e universalmente vendibile. E' per questo che ormai da 10 anni non esce più un nome nuovo dall' architettura italiana». Per Paolo Portoghesi, come per molti altri colleghi, la crisi di questa attività così centrale per dare un volto al Belpaese sta giungendo a un punto di non ritorno. Eppure si tratta di un settore che, se sfruttato bene, potrebbe replicare i successi ottenuti nella moda e nel made in Italy, con cui ha molti punti in comune. «L' Italia è tradizione architettonica: va solo riconosciuta e trasmessa», commenta Paolo Zermani, uno dei pochi nomi noti fra gli architetti più giovani, che concorda con l' amara diagnosi di Portoghesi. Gli amministratori pubblici invece preferiscono affidarsi a modelli importati dall' estero, spesso del tutto estranei alle caratteristiche tipiche del tessuto urbano italiano, solo per riverniciare i propri programmi con il lustro che circonda alcuni grandi nomi internazionali come star dello spettacolo. «L' architettura italiana - precisa Zermani - esiste da duemila anni sulla base di principi analoghi a quelli da cui esce la nostra eccellenza nello stile delle camicie o nell' olio d' oliva: da un lato la bottega artigiana che privilegia la cura dei particolari, dall' altro il legame con il territorio in cui i suoi prodotti s' inseriscono in maniera armonica. Prodotti che vivono nell' eternità e non nell' improvvisazione come i progetti d' immediata masticazione che ora vanno per la maggiore. Purtroppo, però, ci agitiamo tanto per il prosciutto e il parmigiano ma gettiamo alle ortiche una tradizione urbanistica senza uguali». Che detto da uno di Parma suona particolarmente preoccupante. Il dito accusatore, oltre che sullo star system d' importazione, si rivolge in particolare contro la legge Merloni. «Una riforma - spiega Portoghesi - che da un lato ha introdotto garanzie sacrosante, ma dall' altro ha talmente irrigidito e burocratizzato il processo da bloccare completamente, malgrado le successive modifiche, qualsiasi apporto innovativo dei giovani alla progettazione degli edifici pubblici, togliendo loro le uniche occasioni per misurarsi con opere complesse». C' è chi vede l' inizio della fine nella paralisi intervenuta dopo Tangentopoli, chi colloca la data del disastro proprio in coincidenza con il varo della Merloni, nel ' 94, ma tutti concordano sullo stato miserevole in cui versa la categoria, insieme ai caratteristici paesaggi urbani del Belpaese. Negli anni ' 90 infatti, mentre in Italia il sistema degli appalti pubblici era fermo, in Francia c' era Mitterrand con i suoi progetti faraonici e in Germania sono stati costruiti 300 musei. E siccome la Merloni privilegia chi ha già un' ampia esperienza alle spalle e consistenti fatturati, è naturale che nelle gare internazionali finiscano per prevalere gli studi stranieri, avvantaggiati anche dalle dimensioni. Questo ha portato a una salutare sprovincializzazione, ma spesso anche all' idolatria per edifici che si staccano nettamente da tutto il resto, introducendo una nota del tutto estranea all' identità del paesaggio nostrano. «Gli italiani sono legati a una visione più artigianale che imprenditoriale del mestiere dell' architetto - spiega Zermani - ma in fondo non vedo che male ci sia. Anzi, spesso chi si occupa troppo dei fatturati ha meno testa per la qualità del prodotto». Per non parlare dei giovani, che restano quasi completamente tagliati fuori. «Insomma - rincara Portoghesi - questa riforma, invece che migliorare la situazione, l' ha peggiorata. Negli anni ' 30, ad esempio, Ludovico Quaroni aveva appena 27 anni quando vinse la gara per contribuire all' edificazione dell' Eur, un episodio che al giorno d' oggi sarebbe impossibile. Paradossalmente, sotto un regime antidemocratico si usavano sistemi più democratici di adesso». Del resto basta guardare quali sono i nomi in calce ai grandi progetti in fieri per capire che il grido d' allarme lanciato dagli architetti italiani non è privo di fondamento: da David Chipperfield per il nuovo polo museale dell' area Ansaldo a Milano a Zaha Hadid per il Maxxi (Museo nazionale delle arti del XXI secolo) di Roma, da Norman Foster per la stazione dell' Alta velocità a Firenze ad Arata Isozaki per il palaghiaccio o per la Piazza d' Armi di Torino, da Jean Nouvel per il minimetrò di Perugia o per l' area Fiat di Firenze a Mario Botta per la Scala. «Perfino per la nuova sede della Bocconi sono stati scelti due irlandesi con un concorso su invito: ma che cosa può sapere un progettista che viene da Dublino delle origini urbanistiche della periferia Sud di Milano...», commenta l' architetto milanese ed ex senatore socialista Michele Achilli. Però, viene da dire, non si può mica imporre un dazio ai progettisti stranieri per proteggere quelli di casa nostra. «Ma non è certo quello che chiediamo», risponde Fabrizio Rossi Prodi, ordinario di Progettazione all' università di Firenze e promotore di un recente convegno sull' identità dell' architettura italiana in cui il disagio è emerso con grande evidenza. «Basterebbe organizzare concorsi più sensati, eliminando gli automatismi e le preselezioni basate sul fatturato, che schiacciano gli artigiani meno organizzati, ma magari più bravi», esorta Rossi Prodi. Perché la globalizzazione diventi arricchimento nella pluralità e non omogeneizzazione verso il basso.

5 maggio 2003

Gli algoritmi svelano i misteri di Vermeer

Antonio Criminisi, di Agrigento, è l' unico italiano del centro di ricerca Microsoft di Cambridge. Con un budget di quasi 5 miliardi di dollari e 700 ricercatori distribuiti su quattro campus che sembrano piccole università (a Redmond, nella Silicon Valley, a Cambridge e a Pechino), Microsoft Research è diventato in poco più di dieci anni un laboratorio del futuro più ricco e più attivo dei suoi fratelli maggiori, i prestigiosi centri di ricerca di Ibm e Intel. Microsoft Research viaggia in una cinquantina di direzioni diverse e quasi sempre indipendenti dai risultati di breve termine. «Quel che mi ha colpito di più passando dalla ricerca universitaria ai laboratori Microsoft è la libertà di movimento che ci viene accordata. Non siamo legati a direttive specifiche sugli obiettivi da conseguire - spiega Criminisi - possiamo fare ricerca su tutto quello che vogliamo: la nostra principale priorità è far avanzare lo stato dell' arte nella branca di cui ci occupiamo. E non appena abbiamo in mano qualcosa di nuovo possiamo pubblicarlo sulle riviste scientifiche, fatti salvi i diritti di Microsoft di brevettare le nostre scoperte se lo desidera. In questo modo, tutti i progressi scientifici che si producono qui dentro diventano di pubblico dominio, esattamente come in una qualsiasi facoltà universitaria». Nel mondo di «Oxridge» Criminisi è arrivato direttamente da Palermo, dove nel ' 96 si era laureato in ingegneria elettronica (già nel ' 90 era Cavaliere del lavoro grazie ai voti altissimi). A Oxford la sua tesi di dottorato in computer vision ha vinto il premio della British Computer Association nel 2000 e nel 2001 è stata pubblicata da Springer, l' editore più prestigioso nel campo delle scienze informatiche. «E' attraverso l' attività accademica che sono venuto in contatto con i laboratori Microsoft - commenta Criminisi - e ho deciso di saltare su questo treno perché per un ricercatore è molto affascinante la prospettiva di vedere una parte del proprio lavoro messa in pratica in prodotti di largo consumo». Per i modelli tridimensionali in cui è specializzato Criminisi, l' applicabilità potrebbe essere dietro l' angolo. L' utilizzo della sua tecnica a favore di diverse discipline, dall' architettura alla storia dell' arte, dal design alle scienze forensi è già ampiamente sperimentato e consente di risparmiare ore e ore di lavoro manuale e spesso anche di raggiungere risultati altrimenti inarrivabili. Nella storia dell' arte, ad esempio, le applicazioni elaborate da Criminisi insieme a studiosi di fama mondiale ormai fanno scuola. E, in un' epoca in cui il divorzio fra arte e scienza si è consumato fino a farne due discipline ormai prive di punti in comune, i risultati ottenuti dal ricercatore italiano sembrano particolarmente straordinari: ci fanno quasi sognare il ritorno a una visione rinascimentale, in cui gli strumenti della tecnica e della scienza venivano usati anche a beneficio dell' arte da giganti come Brunelleschi, Masaccio o Leonardo. Criminisi ha messo la potenza della matematica al servizio della storia dell' arte, aiutando a risolvere misteri a lungo dibattuti, come: quant' è profonda la cappella della Trinità di Masaccio? Che forma ha la struttura architettonica nella Flagellazione di Piero della Francesca? E quella nella Scuola di Atene di Raffaello? A questi temi, che hanno impegnato gli storici per secoli, i modelli informatici dello scienziato hanno dato risposta rivoluzionando uno dei dogmi della computer vision, cioè che solo partendo dalla stereoscopia si possa ricostruire un ambiente su tre dimensioni. Finora si dava per scontato che se non si hanno due occhi (o due immagini generate da due punti di vista diversi) non si può trasporre in tre dimensioni la scena di una foto o di un dipinto. Invece Criminisi è riuscito, con i suoi algoritmi, a ricostruire al computer con grande precisione ambienti tridimensionali anche da immagini singole, fondando la cosiddetta metrica monoscopica. In questo modo ha aiutato il grande studioso dell' arte britannico Martin Kemp a entrare dentro la scena della Trinità, della Flagellazione o della Scuola di Atene o nella Lezione di musica di Vermeer e a scoprire particolari interessanti sulla concezione che i grandi maestri del Rinascimento avevano della geometria prospettica e sull' uso che ne facevano per ottenere effetti speciali. Nella Scuola di Atene, ad esempio, Raffaello usa una serie di accorgimenti per collocare Platone e Aristotele in una posizione al tempo stesso esterna ma anche al centro dell' edificio alle loro spalle. Un' illusione ottica ottenuta con grande maestria e sicuramente con una profonda conoscenza delle leggi della prospettiva. Con i modelli di Criminisi gli studiosi dell' arte oggi sono in grado di valutare queste sue conoscenze e analizzarle con una precisione mai raggiunta finora, tanto da scoprire che la pianta dell' edificio non è a croce greca come si era sempre creduto.