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24 gennaio 2003

Questo embrione è uno Sputnik

La nuova rivoluzione cinese non verrà da un libretto rosso, ma dal libro della vita. Mentre l'opinione pubblica occidentale è convinta che la medicina cinese si basi ancora sull'agopuntura e l'equilibrio fra yin e yang, Pechino punta dritta al ruolo di prima potenza mondiale nelle biotecnologie: i cinesi si aspettano dal biotech quel che lo Sputnik ha fatto per i sovietici. "Dobbiamo creare un ambiente stimolante, in cui la creatività scientifica prosperi insieme a una valorizzazione commerciale innovativa" ha raccomandato recentemente Jiang Zemin, che chiede ai ricercatori, la nuova élite cinese, di lavorare per un "ringiovanimento" del Paese. E i ricercatori rispondono: Lu Guangxiu, direttrice di una clinica per la riproduzione assistita a Changsha e docente nella locale università, ha già annunciato di avere clonato decine di embrioni umani per impadronirsi delle loro ambite cellule staminali. Il materiale originario usato per la clonazione arriva direttamente dalle pattumiere della sua clinica, dove embrioni di scarto certo non mancano. "Molti ricercatori in Occidente non hanno a disposizione embrioni su cui operare, ma io sì" commenta trionfante Lu. La differenza, rispetto all'Occidente, è culturale: mentre da noi si afferma il concetto che la vita umana cominci già al momento del concepimento, per il confucianesimo l'uomo ha valore solo come essere sociale, quindi dopo la nascita. Li Lingsong, direttore del Centro di ricerca sulle cellule staminali dell'Università di Pechino, è tornato in patria dagli Stati Uniti, dove insegnava all'università di Stanford, proprio per inserirsi in questo terreno di coltura favorevole. Li, che ha lasciato in California moglie e due figli, è entusiasta delle nuove condizioni che si stanno sviluppando: "Non ci sono altri posti al mondo dove si lavori meglio di qui", commenta. Con questa convinzione, Li viaggia in lungo e in largo nei centri di eccellenza mondiali, soprattutto in America e in Europa, per convincere i suoi colleghi compatrioti a tornare in Cina. "A ogni scienziato di rango che ritorna, lo Stato regala un milione di dollari", spiega. E il suo centro di ricerca in due anni ha già ricevuto 17 milioni di euro di contributi statali per lo sviluppo. Ma Li non passa tutto il suo tempo al microscopio: insieme al collega Tony Yang ha già fondato un'azienda privata, la Sinocells Bio Technologies, che sta raccogliendo una prima ondata di capitali di rischio. I due contano di sfruttare la più grande banca di cellule staminali cinese, già nata nei laboratori dell'Università di Pechino, per sviluppare a livello industriale cellule in grado di produrre insulina, una novità che potrebbe avere grande successo fra i diabetici di tutto il mondo. E a giudicare dall'euforia borsistica che regna sui mercati asiatici nei confronti del biotech, di qui alla quotazione il passo è breve. Oltre agli embrioni di scarto provenienti dalla clinica universitaria che si occupa d'inseminazione artificiale, Li può permettersi di usare per i suoi studi anche tessuti fetali relativamente sviluppati, che gli arrivano dai colleghi impegnati nelle interruzioni di gravidanza, molto diffuse in Cina, dove la politica di un figlio per famiglia viene applicata con grande severità. Ogni gravidanza dev'essere registrata alle autorità competenti e se la madre di un bimbo sano resta di nuovo incinta, viene costretta ad abortire. L'aborto è diventato così una routine per molte madri che, specialmente in campagna, vi si sottopongono volentieri soprattutto se sanno che il nascituro è una bambina. Sulle antiche tradizioni etiche, secondo cui solo la capacità di comunicare con la società circostante dà valore umano a un essere vivente, si innesta così la nuova filosofia del renkou suzhi , cioè il concetto di "qualità della popolazione". Dietro queste due paroline si nasconde la volontà di affidare alla medicina statale il compito di produrre cinesi sani fin dal concepimento. Così, ogni cittadino che vuole sposarsi deve procurarsi un'autorizzazione, che dal '95 presuppone anche un'approfondita visita medica. Arrivati poi al concepimento, spesso la volontà statale d'indagare sullo stato di salute del futuro cittadino non ha nemmeno bisogno di esercitare troppe pressioni: è naturale che i genitori stessi vogliano essere sicuri della perfezione fisica dell'unico bambino che gli spetta. Alcuni, soprattutto nella crescente categoria dei nuovi ricchi, preferiscono addirittura partire da un figlio in provetta per essere sicuri di non fallire il bersaglio. La Shaanxi Chaoqun Science & Technology, una delle aziende di punta del biotech cinese, è stata incaricata dalla commissione di sviluppare dei biochip (laboratori in miniatura usati soprattutto nella ricerca genetica, non più grandi dell'unghia di un mignolo, che permettono di condurre molti test allo stesso tempo) adatti alle esigenze della società cinese e sta già costruendo con i soldi dello Stato dieci diversi centri di analisi dove si userà il nuovo sistema, rapido ed efficace. E' con questo metodo che il piccolo Longwei, di Chengdu, ha ricevuto la prima carta d'identità genetica del mondo, che fissa in un codice di dieci numeri il suo patrimonio ereditario. Se si è salvato, devono essere dieci numeri fortunati.

20 gennaio 2003

In Africa è l'ora di Safaricom

Mabel Ogunleye vende bibite all' ingrosso a Lagos, capitale commerciale della Nigeria, una metropoli di 12 milioni di abitanti nota per i suoi leggendari ingorghi stradali. Fino a pochi mesi fa, per contattare un cliente Mabel era costretta ad attraversare questa colossale massa ribollente e a presentarsi di persona. Ore di viaggio, fatiche ciclopiche che spesso andavano a vuoto perché il cliente era uscito. Da qualche mese la vita di Mabel è cambiata: «Da quando possiedo un cellulare i miei affari sono raddoppiati», racconta. Non a caso le due compagnie di telefonia mobile che si contendono il mercato nigeriano, la sudafricana Mtn e la multinazionale Econet, fanno fatica a star dietro alla domanda. Ma la rivoluzione digitale spazza l' Africa intera. Negli ultimi cinque anni nel Continente Nero sono stati connessi più telefoni cellulari che telefoni fissi nell' ultimo secolo: ormai quasi un africano su dieci ha un telefonino, oltre il doppio di coloro che hanno una linea fissa, spesso ottenuta a prezzo di lunghe battaglie e di laute bustarelle. Negli ultimi due anni, circa cento operatori hanno lanciato i propri servizi in tutto il continente e solo nel 2002 le connessioni mobili sono raddoppiate dai 28 milioni del 2001 ai 60 milioni attuali. Il mito che ci siano più telefonini a Tokyo che in tutta l' Africa è sfatato. La rivoluzione mobile ha colto di sorpresa le stesse compagnie telefoniche, che negli ultimi Anni Novanta avevano cominciato ad avventurarsi in queste terre inesplorate, puntando sulla clientela business o sui turisti di passaggio. Quando Vodafone ha mandato Michael Joseph in Kenya nel luglio 2000 per mettere in piedi Safaricom, ad esempio, non si aspettava di crescere oltre le 50 mila connessioni. Oggi, Safaricom e la rivale KenCell (Vivendi) hanno quasi un milione e mezzo di utenti su una popolazione di trenta milioni, due terzi dei quali in aree rurali. E un terzo operatore sta per aggiungersi. «La tecnologia mobile ha avuto un enorme impatto sulla vita dei kenioti», spiega Joseph. Le schede prepagate sono oggi strumenti di sopravvivenza per milioni di africani, finora abituati a camminare chilometri per arrivare a una cabina. L' alto costo dei telefonini (sui cento dollari in Africa), è l' unico problema in un continente dove metà della popolazione sopravvive con meno di due dollari al giorno. Ma sono state trovate soluzioni creative e aderenti all' altissima coesione sociale tipica dell' animo africano: spesso intere comunità si servono di un solo telefonino, passandoselo di casa in casa a seconda delle esigenze e dividendo le spese. «Questi snodi telefonici comunitari - spiega Francis Nyamnjoh, docente di sociologia all' Università del Botswana - sono esempi concreti del valore della convivialità africana, dove le scarse opportunità presenti nelle aree rurali spesso vengono messe spontaneamente a disposizione degli altri». Non a caso l' utile generato da ogni utenza mobile nigeriana è molto più elevato rispetto a quello americano o europeo. Questo dato, che emerge da una ricerca della Merrill Lynch, suggerisce anche che il valore economico e sociale di un telefonino in Nigeria sia molto superiore rispetto ai Paesi occidentali. Ogni connessione mobile genera infatti in media un giro d' affari di ottomila dollari: la rivoluzione digitale è diventata un enorme volano per lo sviluppo del Continente Nero. Soprattutto in Nigeria - con i suoi 120 milioni di abitanti è lo Stato più popoloso dell' Africa - le potenzialità di business sono allettanti: qui il monopolista Nitel è in via di privatizzazione e l' operatore mobile più popolare è Mtn, sussidiaria del gruppo sudafricano Johnnic, diretto dall' ex segretario generale dell' African National Congress Cyril Ramaphosa, uno dei più potenti uomini d' affari del continente. Con oltre sei milioni di utenti in Sud Africa, Nigeria, Camerun, Swaziland, Ruanda e Uganda, Mtn è uno degli operatori mobili più promettenti dell' Africa, insieme a Msi, che opera in Uganda, Zambia, Malawi, Congo, Gabon, Sierra Leone, Ciad, Burkina Faso, Sudan, Niger e Guinea. Partecipata dalla Banca mondiale, dall' americana Citigroup e dalla giapponese Mitsui, Msi copre con le sue licenze un quarto della popolazione africana ed è stata la prima ad aprire con le autorità il discorso sui servizi di Internet mobile. «Un continente dove solo un abitante su 250 è online, potrebbe dare moltissime soddisfazioni a chi avesse le spalle sufficientemente forti per affrontare quest' aspetto», spiega l' amministratore delegato Terry Rhodes. E' questa la prossima sfida per affrancare gli africani dal sottosviluppo.

7 gennaio 2003

Il kamikaze della vita

Ci sono i kamikaze della morte e i kamikaze della vita. Josef Itskovitz-Eldor, 53 anni, preferisce collocarsi nella seconda categoria. Tre anni fa il direttore del reparto di ginecologia e ostetricia nell'ospedale Rambam di Haifa, interno all'Università tecnica Technion, ha dato avvio alla prima coltura in vitro di cellule staminali estratte da embrioni umani, utilizzando alcuni embrioni fecondati artificialmente, avanzati nelle pratiche correnti del suo reparto e destinati ad essere eliminati. Dopo aver ottenuto l'autorizzazione dalle coppie che avevano dato origine agli embrioni, è partito con la sua preziosa merce alla volta di Madison, Wisconsin. Lì, alla presenza del collega James "Jami" Thomson, ricercatore dell'Università del Wisconsin, ha estratto le cellule staminali dagli embrioni, che non sono sopravvissuti all'operazione. Le cellule staminali, invece, si sono sviluppate magnificamente, per la prima volta fuori da un corpo umano. A quel punto, non facendo più tecnicamente parte di un embrione, anche il ricercatore dell'Università del Wisconsin ha potuto metterci le mani. Per prima cosa, Jami Thomson ne ha ceduta una parte al collega e partner commerciale Michael West, fondatore dell'azienda californiana Geron (attualmente l'unica ditta privata titolare di una linea di cellule staminali negli Stati Uniti) e anche della più famosa Advanced Cell Technology, che pochi giorni fa ha sollevato un putiferio annunciando con un pizzico di fantasia la prima clonazione umana. In questo primo salto di qualità messo a disposizione della scienza mondiale, il professor Itskovitz-Eldor è stato aiutato, oltre che dalla sua estrema competenza, da altre due caratteristiche fondamentali: la fede ebraica e il passaporto israeliano. In quanto cittadino americano e dipendente di un'azienda sanitaria pubblica, il suo collega Jami Thomson non avrebbe potuto distruggere - da solo - quegli embrioni, perché la legge del suo Paese glielo vieta. Per Itskovitz-Eldor, invece, è tutto più facile: per l'ebraismo, ogni embrione condivide l'anima della madre e non assume valore di essere umano autonomo al di fuori del suo corpo. Discendendo da questa linea di pensiero, la legislazione israeliana non impone restrizioni alla ricerca, pubblica o privata che sia, in questo campo e l'azione pionieristica compiuta da Itskovitz-Eldor non è perseguibile. Anzi, in quanto diretta al sostegno e allo sviluppo della vita, è considerata auspicabile da qualsiasi rabbino. Tanto è vero che, subito dopo il blitz nel Wisconsin, Itskovitz-Eldor ha ripetuto la stessa procedura nel suo laboratorio al Rambam Medical Center, dove ha messo in piedi una vera e propria banca di cellule staminali, aperta alle collaborazioni esterne in nome del progresso scientifico. E non è il solo: il collega ginecologo Benjamin Reubinoff ha ottenuto un risultato analogo nell'ospedale Hadassah dell'Università di Gerusalemme, inaugurando la seconda linea di cellule staminali in mano pubblica. Del resto, lo stesso presidente della commissione per la bioetica dell'Accademia delle scienze israeliana, Michel Revel, 63 anni, direttore del centro di genetica molecolare dell'Istituto Weizmann, è anche direttore scientifico della Interpharm e produce un farmaco contro la sclerosi multipla da lui sviluppato, con un fatturato di 254 milioni di dollari nell'anno che si è concluso a settembre 2001. In pratica, sono gli stessi ricercatori a giudicare il valore etico della ricerca. In quanto ebreo ortodosso, Revel considera positivamente ogni progresso nella conservazione e nella difesa della vita. Come ha affermato il rabbino capo d'Israele, Meir Lau, qualche mese fa in risposta al dibattito sulla clonazione: "L'ebraismo approva qualsiasi sviluppo della tecnica medica che contribuisca a salvare una vita umana". Inoltre, gli israeliani non hanno mai dimenticato il monito del primo presidente dello Stato ebraico, il chimico Chaim Weizmann: "L'intelligenza è l'unica materia prima di cui disponiamo". E continuano ad attenersi a questa regola. Ecco perché il piccolo Stato ebraico è un gigante delle biotecnologie: secondo l'ultimo report del Comitato nazionale sul biotech, nel 2000 c'erano 160 aziende biotech in Israele, con quattromila dipendenti e un volume d'affari di 800 milioni di dollari, in crescita del 33% rispetto all'anno precedente. Nei primi sei mesi del 2001, gli investimenti nel settore sono stati di 180 milioni di dollari (circa 400 miliardi in lire, 204 milioni di euro), quasi il doppio rispetto allo stesso periodo del 2000. Secondo le previsioni, il giro d'affari del biotech dovrebbe raggiungere i 1.800 milioni di dollari nel 2003. Non a caso l'esperimento portato a termine da Michael West in Massachusetts è stato accelerato di proposito per battere sul tempo l'équipe di Abaclon, un'azienda di Cesarea che sta lavorando nella stessa direzione. Ma in Israele il grosso della ricerca sul biotech si svolge in istituti pubblici, non privati. E il Rambam è il centro più all'avanguardia. L'ultima scoperta uscita dal piccolo laboratorio di Haifa ha fatto scalpore in tutto il mondo: per la prima volta l'équipe del professor Itskovitz-Eldor ha sviluppato delle cellule cardiache da una massa indifferenziata di cellule staminali, arrivando a produrre i primi stadi di un cuore nuovo di zecca. L'ovvia applicazione di questa scoperta è l'inseminazione di cellule nuove in un cuore umano danneggiato o inefficiente, favorendone la rigenerazione senza necessità di trapianto. Una buona notizia per migliaia di cardiopatici che rischiano di morire ogni anno per mancanza di donatori. "Prima di raggiungere questo risultato - precisano al Rambam - ci vuole ancora tempo. Ma ci arriveremo". Forse prima degli altri.