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21 marzo 2005

Karl-Heinz Grasser

Se l' Austria avesse ancora un impero, Karl-Heinz Grasser sarebbe un ufficiale di Sua Maestà. Alto, abbronzato e sempre inappuntabile, il giovane ministro delle Finanze austriaco è considerato il «duro» dell' Ecofin. Con il suo piglio militaresco tiene testa ai nemici e ne infilza sette in un colpo: la sua strenua difesa dei parametri di Maastricht e il suo accanimento contro la richiesta franco-tedesca di seppellire gli automatismi nella procedura di sanzionamento sono ormai leggendari. «Niente compromessi - ribadisce deciso - con chi vuole infrangere la promessa di stabilità e di crescita stipulata con 300 milioni di cittadini europei». Da lui e dall' altro rigorista, il collega olandese Gerrit Zalm, dipende la decisione dell' Ecofin di non annacquare il famigerato tetto del 3% per il rapporto deficit/Pil con troppe eccezioni, riducendo la lista stilata dal premier lussemburghese Jean-Claude Juncker a una vaga indicazione di massima. Ma di nemici ne vengono sempre fuori altri. Nessun uomo politico europeo spacca i fronti come lui. A Bruxelles, fra i colleghi ministri, ha fama di vanitoso e irascibile. In Austria gli rinfacciano alcune operazioni finanziarie disinvolte. Gli industriali tedeschi invece lo amano alla follia e lo vorrebbero tutto per loro. Fra i vari litiganti, il golden boy dell' Austria Felix prospera. Ormai da cinque anni il 36enne Grasser gestisce con grande successo le finanze della repubblica alpina. Da un deficit che superava il 2% nel 2000, il carinziano ha subito puntato al pareggio di bilancio, raggiunto l' anno dopo. Arrivato lì, ha cominciato a tagliare le tasse e a riformare il sistema pensionistico. «Ci siamo posti tre obiettivi: il pareggio di bilancio, il taglio delle tasse e l' aumento delle spese in ricerca e sviluppo, formazione e infrastrutture. E li abbiamo perseguiti con decisione in questi cinque anni, senza sconfinare a destra o a sinistra», osserva Grasser. Il miracolo gli è riuscito perché ha approfittato degli anni di vacche grasse per mettere in piedi quelle riforme che gli altri Paesi europei stanno tentando di fare adesso, nel bel mezzo della crisi, spinti dagli obblighi del Patto di stabilità. Non a caso, in Austria, di crisi si parla poco: dopo tutto questo lavoro ora ci si gode i primi effetti delle riforme sulla crescita, che quest' anno dovrebbe attestarsi sul 2,4%, al di sopra delle medie europee. E si attende ancora di vedere l' effetto della rivoluzione fiscale, entrata in vigore dal primo gennaio di quest' anno. «Con l' ingresso dei Paesi dell' Est nell' Unione Europea, l' Austria si è trovata di fronte due opzioni - spiega Grasser -. Potevamo aspettare di veder andare via le nostre imprese verso Paesi con una politica fiscale molto più favorevole della nostra, oppure affrontare la questione in anticipo e avviare una riforma radicale delle imposte societarie. Abbiamo preferito scegliere la seconda strada e dare un taglio netto, non una limatina come sta cercando di fare in questi giorni il cancelliere Gerhard Schroeder». Dal primo gennaio, Vienna ha tagliato le tasse sui profitti aziendali dal 34 al 25% e consente, come ulteriore asso nella manica, di portare in deduzione le spese di filiali collocate all' estero. «In questo modo - commenta Grasser - invitiamo le grandi imprese non solo ad investire da noi, ma anche a trasferire qui il quartier generale, le teste pensanti». I primi risultati già si cominciano a vedere: secondo uno studio dell' Austrian Business Agency, nel 2004 gli insediamenti societari dall' estero sono cresciuti del 30% rispetto all' anno precedente, in previsione della riforma fiscale. Dalla Germania il flusso è particolarmente massiccio, ma anche dall' Italia si muove qualcosa. «Con la nostra posizione centrale rispetto ai nuovi Paesi dell' Unione - specifica Grasser - e con un diritto societario favorevole, il segreto bancario, la sicurezza e la qualità della vita, stiamo cercando di fare concorrenza alla Svizzera nei confronti della grande impresa». Non a caso i lavoratori austriaci, praticamente privi di tutela contro il licenziamento, godono di un tasso di disoccupazione fra i più bassi d' Europa (5,8%). Del resto Grasser, di grande impresa, se ne intende. Rampollo di un grosso concessionario d' automobili di Klagenfurt, dopo una fulminante carriera politica a fianco del campione della destra austriaca, il governatore carinziano Joerg Haider, nel ' 98 Grasser ha piantato il suo mentore e la sua poltrona di segretario del partito liberale per passare all' industria privata, diventando vice presidente della Magna, il colosso della componentistica del miliardario austro-canadese Frank Stronach. Lì ha gestito per due anni gli 81 mila dipendenti di Stronach ma, dopo un' effimera ricomposizione con Haider, già nel 2000 è diventato il più giovane ministro delle Finanze della storia austriaca. Quando si è sciolta la coalizione tra cristiano-democratici e liberali, che aveva portato Haider al governo e l' Austria alla berlina in Europa, Grasser è semplicemente rimasto al suo posto di ministro come indipendente, abbandonando definitivamente il controverso compagno di strada, ormai diventato un peso. Da allora ha continuato a governare a fianco del cancelliere Wolfgang Schuessel, attraversando con disinvoltura più di uno scandalo. A colpi di energy drinks e buone relazioni internazionali, tra una scalata dello Stephansdom e una relazione con la regina dei cristalli Fiona Swarovski, Grasser è corteggiato dalla stampa seria e dalla yellow press con identica devozione. Per ora i suoi abili equilibrismi sembrano funzionare abbastanza bene, a tutto vantaggio del suo Paese. L' Austria? «Una storia di successo sensazionale», dice lui.

14 marzo 2005

Ma quale bolla, in Italia manca il gas

Una settimana di freddo intenso è bastata per mettere in crisi le forniture nazionali di metano: in quattro giorni di maltempo l' Italia ha bruciato l' 8% delle riserve strategiche, 400 milioni di metri cubi di gas stoccati durante l' estate in giacimenti sotterranei, da usare soltanto in caso d' emergenza. «Il provvedimento del ministro Marzano dimostra che c' è bisogno di una maggiore quantità di gas e di una vera liberalizzazione a monte, come diciamo da anni - rileva Mauro D' Ascenzi, presidente di Federgasacqua, l' associazione che riunisce i distributori locali del gas - Il prezzo di questa carenza finiscono per pagarlo i consumatori anche nelle bollette. Se si vogliono diminuire le tariffe, l' unica vera soluzione è aumentare la quantità e l' accesso al gas liberalizzato». Altro che bolla del gas: «La tesi sostenuta da Vittorio Mincato non sta in piedi - puntualizza D' Ascenzi - come s' è visto in questi giorni d' emergenza. Sul mercato italiano non si rischia un eccesso di disponibilità, semmai una carenza grave, anche mettendo in conto i 6,5 miliardi di metri cubi di capacità di trasporto in più promessi dall' Eni». Su questo punto concordano anche l' Antitrust e l' Autorità di Sandro Ortis che già l' anno scorso, a conclusione di un' indagine comune, avevano contestato duramente la tesi di Mincato, con precisione profetica. È «purtroppo evidente - conferma oggi il presidente Ortis - che non ci troviamo nella ' bolla di gas' anche recentemente paventata». Occorre dunque «assicurare presto, per ragioni di sicurezza e per lo sviluppo di un mercato efficiente, una capacità d' offerta adeguatamente superiore alla domanda», ammonisce Ortis, ricordando fra l' altro la sua richiesta per la «terzietà di Snam Rete Gas e degli stoccaggi Stogit». In prospettiva, le carenze sul mercato del gas rischiano d' interferire anche con il corretto funzionamento del mercato elettrico. «In Italia la domanda di metano cresce molto rapidamente, circa del 4% l' anno, perché il gas è più efficiente per alimentare le centrali e inquina meno dell' olio combustibile - fa notare Sergio Garribba, direttore generale del ministero delle Attività Produttive. Tutte le prossime centrali elettriche - circa 8 mila megawatt già in costruzione e oltre 10 mila approvati ma non ancora cantierizzati - andranno a gas e quindi da qui al 2006 il fabbisogno aumenterà di molto. Ma l' offerta è ferma da anni. Da un lato la produzione domestica cala: l' anno scorso dalle profondità dell' Adriatico e della pianura padana sono stati estratti soltanto 13 miliardi di metri cubi (un miliardo in meno dell' anno prima), sugli 80 miliardi che l' Italia ha consumato. Dall' altro lato l' importazione è quasi ferma, da quando Eni ha congelato il potenziamento dei suoi gasdotti per timore di generare un eccesso di metano. Proprio su questo aspetto si concentra l' inchiesta per abuso di posizione dominante appena aperta dall' Antitrust contro il cane a sei zampe, accusato di una vera manovra ostruzionistica per strozzare quattro concorrenti. In previsione del potenziamento in seguito congelato, Edison Gas, Compagnia italiana del gas, Bridas Energy International e World Energy si erano aggiudicate le gare avviate dall' Eni in base alle norme antitrust per ospitare nei suoi tubi il loro gas, comperato direttamente in Algeria, ma poi si sono viste negare il diritto di trasportare il metano, già ottenuto con un primo contratto a valere dal 2007, per presunte irregolarità procedurali. E quindi sono rimaste al palo. Come loro, tutti gli altri operatori dipendono dalla buona volontà dell' Eni per approvvigionarsi, passando sui suoi gasdotti. «Costruitevi i vostri tubi», tuona Mincato. Ma il presidente Ortis si spinge oltre e sostiene che l' Eni, nel privatizzare la rete, dovrebbe conferirvi i metanodotti esteri: il tubo che attraverso l' Austria si collega alla rete siberiana, quello verso l' Olanda, il Transmed verso l' Algeria e il metanodotto libico, appena entrato in funzione. La preoccupazione di Ortis è che il possesso d' infrastrutture estere consenta all' Eni di mantenere comunque il controllo del mercato italiano, anche dopo l' uscita dal capitale di Snam Rete Gas. Un' altra soluzione, molto caldeggiata dal ministero, è lo sviluppo di nuovi terminali di rigassificazione, adatti all' importazione per nave di gas naturale liquefatto (Gnl), che oggi in Italia può essere ritrasformato in metano soltanto nell' impianto Snam di Panigaglia, in Liguria. «Il Gnl alla fine diventa metano - precisa Garribba - ma è una commodity un po' diversa, tant' è vero che il suo prezzo non è direttamente legato a quello del petrolio come il metano via gasdotto. Arrivando via nave, consente una maggiore diversificazione delle fonti: a seconda del fabbisogno si possono ordinare più o meno carichi e se non lo si trova in Nigeria o in Qatar si può ricorrere alle forniture dalla Malesia o dal Messico». I due impianti più vicini alla realizzazione sono la piattaforma ideata da Exxon Mobil e Qatar Gas (45%-45%) in alleanza con Edison (10%) a Porto Viro, nell' alto Adriatico, che ha ricevuto l' autorizzazione in novembre, e quella al largo di Livorno progettata da Falck e Belleli in collaborazione con Amga, che riceverà l' autorizzazione ad aprile. Il loro completamento andrà a tutto vantaggio della concorrenza sul mercato italiano e le conseguenze sui prezzi si faranno sentire. Ma si tratta comunque di tempi lunghi. «Nel frattempo - commenta D' Ascenzi - gli italiani rischiano di vedersi presentare un conto ancora più salato delle bollette attuali. Non sarebbe giunto il momento di ripensare ai meccanismi individuati per arrivare a una liberalizzazione, rilanciando il processo di aggregazione e di riorganizzazione del mercato?»

7 marzo 2005

Il signore dei call center

Alla fine l' ha spuntata lui. Il caso Finsiel - aperto a fine novembre dal gruppo Telecom, stufo di aspettare la realizzazione del mitico polo informatico italiano - si è chiuso con la vittoria di Alberto Tripi, 65 anni, il signore dei call center, che si è aggiudicato la società informatica per 165 milioni, soffiandola sotto il naso ad Accenture. «Insieme, Cos e Finsiel formano il più grande gruppo italiano di information technology, con 13 mila dipendenti e un giro d' affari superiore a 800 milioni», commenta soddisfatto l' ingegnere romano, che ha fondato Cos (call center e servizi informatici), nell' 83, dopo aver lavorato per 17 anni all' Ibm. L' imprenditore non è nuovo a questi exploit: già al momento di cedere Athesia (3 mila dipendenti), la società che gestisce i call center del gruppo Telecom, Marco Tronchetti Provera si era rivolto a lui. E non gli aveva lesinato il suo appoggio quando, l' estate scorsa, l' ingegnere che presiede Federcomin (associazione confindustriale delle aziende della comunicazione), si era messo in lizza per la poltrona di numero uno degli industriali di Roma, contro Luigi Abete. Vista sotto questa luce, la conclusione del caso Finsiel non stupisce, soprattutto se si aggiunge che Tripi gode anche della stima incondizionata di Bruno Ermolli, che ha seguito la vendita per Telecom. Ma il presidente di Federcomin non piace soltanto al superconsulente caro a Berlusconi. Ha ottimi rapporti con il clan dell' Ibm, dal ministro dell' Innovazione Lucio Stanca in là. E nel ' 96 fu lui a fornire un tetto alla campagna elettorale di Romano Prodi, in uno splendido palazzo romano a piazza Santissimi Apostoli. Con la politica conviene sempre andare d' accordo... Anche in ambiente sindacale, Tripi ottiene vasti consensi con i suoi modi accattivanti: «Per Finsiel - azzarda l' ingegnere - non sono previsti tagli, anzi. Avremo bisogno di tutti i 4 mila dipendenti attuali e anche di qualcuno in più per affrontare le grandi sfide che ci vengono incontro». Le sfide per Finsiel, in effetti, sono molte. Per un' azienda che - come dice Tripi - all' estero «è nulla», la prima sfida sarà cominciare a guardarsi intorno. Cosa che l' ingegnere a quanto pare sta già facendo, se è vero che si profila un accordo con una multinazionale ben rappresentata in Italia, ma molto forte sui mercati europei, per sprovincializzare un po' il profilo dell' azienda. «Cos è già presente - sottolinea Tripi - in molti Paesi, dalla Tunisia all' Argentina: qui porteremo i servizi Finsiel». L' ingegnere vuole sfruttare la presenza di Cos nei trasporti, dove ha già accordi con Alitalia, Fiat e Ferrovie, e nella pubblica amministrazione, dove Finsiel è molto forte, allargando poi il raggio d' azione della società anche alle piccole e medie imprese. Le tappe che si profilano sono l' integrazione delle due aziende rimescolando la catena di controllo societario, la creazione di filiali all' estero focalizzate sui settori di specializzazione e infine l' approdo in Borsa, con l' aiuto del partner Interbanca, che in quell' occasione potrebbe uscire dalla newco. La ristrutturazione dovrebbe durare un triennio e punta a raggiungere un miliardo di ricavi. «Ma noi - specifica Tripi - non andremo in Borsa per scappare: della nostra quota non metteremo in vendita nulla».

Piol: "L'informatica italiana rovinata dalla politica"

C' era una volta la grande informatica italiana, rappresentata dai due colossi Olivetti e Italsiel, progenitrice di Finsiel, che oggi si appresta a passare di mano da Telecom Italia al gruppo Cos dell' imprenditore romano Alberto Tripi: un passaggio importante per un settore ormai sull' orlo della crisi di nervi. Ma qual è il quadro in cui si consuma questa svolta? «Dopo la crisi di Olivetti, purtroppo dell' informatica italiana è rimasto ben poco», commenta Elserino Piol, uno dei pionieri dell' elettronica nostrana e del venture capital nel settore hi-tech, autore di un libro dal titolo emblematico, Il sogno di un' impresa, dedicato alla parabola di Ivrea. «Anzi - aggiunge Piol - si può dire che nell' hardware non sia rimasto proprio niente». Nel software e nei sistemi, invece, sopravvive un esercito di 13-15 mila imprese, soprattutto distributori, integratori e piccole software house. Ma di realtà strutturate, con un numero di addetti sufficiente a fare innovazione in proprio, anche qui resta poco. A parte Finsiel (4 mila addetti), Engineering (3 mila), Elsag (2.800) e Datamat (1.750), tutti gli altri gruppi medio-grandi hanno ceduto il passo alle multinazionali estere, come Ibm, Eds, Sap, Siemens e naturalmente Getronics, che si porta dentro quanto resta di Olivetti. Il 2004, in particolare, è stato un annus horribilis per il settore: da Finmatica, recentemente fallita, a Finmek, passando per Oli.it, le amministrazioni controllate non si contano. Sotto il profilo dell' occupazione, questo significa un' emorragia continua di posti di lavoro. Non a caso l' Italia si colloca al quart' ultimo posto in Europa, con il 3,9%, per numero di addetti del settore «It» sul totale della forza lavoro, contro una media europea del 5,5% e contro il 9% della Svezia, l' 8,5% della Danimarca, il 7% dell' Olanda. Solo Spagna, Portogallo e Grecia vengono dopo di noi. E l' emorragia di posti di lavoro continua: nel 2005, infatti, si va incontro a un taglio del 2% alle spese della pubblica amministrazione, previsto nella Finanziaria, che si rifletterà immediatamente sulla spesa informatica. «L' industria informatica italiana - spiega Piol - è troppo legata alle commesse pubbliche, è rimasta ancorata al vecchio sistema monopolistico, in cui il rapporto con il mondo politico era più importante della competitività. Ma con l' avvento delle gare pubbliche le cose cambiano. Come si spiega la crescita di Accenture, Cap Gemini o Eds, che in pochi anni sono diventate dei colossi? Hanno riempito il vuoto lasciato dalle aziende nostrane». Ora che Finsiel è stata rilevata dal gruppo Cos di Alberto Tripi, che l' ha sottratta all' abbraccio di Accenture, si potrebbe sperare in un' inversione di tendenza... «Certo è sempre meglio che sia rimasta in mano italiana piuttosto che diventare una divisione di Accenture - commenta Piol - ma bisogna vedere quali saranno le linee di sviluppo. Se si tratta semplicemente di darle una risistemata per portarla in Borsa è un conto, se invece si riesce ad attirare un nuovo management e a renderla competitiva, la sfida si fa interessante». Per Piol il caso Finsiel non è un discorso nuovo: era vicepresidente e direttore operativo del gruppo Olivetti quando nel 1992 la società passò dall' Iri alla Stet, invece che fondersi con Olivetti come lui aveva caldeggiato per anni. «Cedendo Finsiel alla Stet - ricorda Piol - vennero risolti i problemi finanziari, ma finì in un gruppo che si occupava di un business del tutto estraneo, dove fu marginalizzata fin dall' inizio, progressivamente subordinata al management di Telecom e fortemente demotivata. Tant' è vero che allora Finsiel costò alla Stet 750 miliardi di lire, mentre ora vale molto meno». La fusione con Olivetti, che allora era nella top ten mondiale dell' informatica (alla fine degli anni' 80 aveva addirittura superato Siemens), avrebbe creato una potenza informatica italiana di primo piano sul panorama globale. «Ma una fusione pubblico-privato di quelle dimensioni avrebbe comportato una gestione del personale e delle risorse molto diversa - sottolinea Piol - e i politici che si sono messi di mezzo lo sapevano. Finsiel non avrebbe più potuto servire per assumere i figli dei ministri o dei sottosegretari». La crisi di Ivrea, però, non dipese solo dalla politica, ma anche dagli assalti di Carlo De Benedetti alla Société Générale de Belgique o alla Mondadori ... «Le difficoltà di Olivetti - specifica Piol - come di tutte le altre aziende del settore in quel periodo, derivarono dalla progressiva riduzione dei margini. Per limitare lo strapotere dell' Ibm, infatti, negli anni Ottanta tutti noi produttori cominciammo a supportare standard alternativi, così il baricentro dell' industria informatica su spostò verso sistemi aperti che costavano di meno. Questo mise molto in difficoltà Ibm ma anche il resto del settore ne soffrì, perché sotto l' ombrello dei margini Ibm (oltre il 50%), in fondo si lavorava comodi. All' improvviso, nell' 89, i margini per i pc scesero anche sotto il 20% e i contraccolpi sui bilanci furono disastrosi. Per questo Olivetti si spostò verso le telecomunicazioni». Ma l' operazione Omnitel e Infostrada, con la successiva scalata a Telecom, finì per spazzare via il resto. «Non sarei però pessimista sul destino dell' informatica italiana - dice Piol -. Nuovi treni per l' innovazione sono pronti a partire: basta salirci sopra. Stm, Pirelli e Finmeccanica stanno lì a dimostrarlo. L' Italia dovrebbe adottare un politica tecnologica verticale, cioè mirata alle principali aree d' innovazione, come ad esempio il Wi-Fi o il WiMax. L' importante è non piegarsi ai desiderata degli incumbent, che hanno interesse a ritardare l' ingresso nel mercato di queste innovazioni dirompenti».