Pagine

24 novembre 2004

Bernabè sbarca nell'idroelettrico

Petrolio a 50 dollari, protocollo di Kyoto che incombe. Produrre energia di questi tempi è diventata un'impresa difficile. Ma a Edolo, sulle pendici dell'Adamello, si fa con una materia prima che non costa quasi nulla: l'acqua. La centrale di Edolo, mille megawatt di potenza, è un simbolo per l'idroelettrico nostrano: ha riacceso l'Italia piombata nel buio la fatidica notte del blackout, lo scorso autunno, dando una spinta ai grandi impianti termoelettrici che si erano scollegati dalla rete. A differenza di una centrale a gas o a olio combustibile, Edolo non ha bisogno della scintilla portata dall'esterno per avviare la produzione, basta la spinta dell'acqua. Sull'idroelettrico, una volta tanto, l'Italia è leader in Europa: il 19% della domanda nazionale di energia viene coperta con la potenza dei fiumi. E la forza dell'acqua attrae sempre di più: sono un centinaio i piccoli impianti idroelettrici in costruzione, soprattutto in Piemonte, Lombardia, Veneto e Friuli, ma c'è qualcosa anche sugli Appennini e in Sardegna. "E' un settore con grandi potenzialità di crescita”, spiega Chicco Testa, che ha guidato l'Enel con Franco Tatò fino al 2002 e oggi opera in Rothschild Italia insieme a Franco Bernabè. Non a caso Bernabè e Testa sono entrati in una società bresciana di produzione idroelettrica, la Eva Energie Valsabbia, dove l'FB Group sta rilevando una quota del 30%. “Con la liberalizzazione del mercato e l'avvento delle limitazioni imposte dal protocollo di Kyoto si sono aperti spazi importanti per i nuovi produttori, soprattutto nelle energie rinnovabili – commenta Testa, presidente di Eva – in cui noi eravamo già presenti nel campo delle biomasse. Nell'idroelettrico contiamo d'investire circa 80 milioni di euro per arrivare a produrre 300 milioni di chilowattora l'anno, sia costruendo impianti nuovi che acquistandone di già esistenti”. L'espansione si concentra soprattutto nell'arco prealpino, ma la società, nata dall'iniziativa di un gruppo di professionisti valsabbini, ha progetti in stadio avanzato anche in Campania e in Calabria. “Non dimentichiamo che la produzione di un milione di chilowattora da idroelettrico evita l'immissione nell'atmosfera di 600 tonnellate di anidride carbonica”, fa notare Sergio Adami, responsabile Enel per le energie alternative. “Al momento attuale – aggiunge Adami – l'anidride carbonica vale circa 10 dollari la tonnellata, ma con l'entrata in vigore del protocollo di Kyoto potrebbe arrivare a 70-80 dollari”. Per Enel, leader mondiale nel settore idroelettrico con 495 impianti per una capacità totale di 14.312 MW, si tratta quindi di un'ottima fonte di crediti verdi oltre che di energia a buon mercato. Se la produzione di un megawattora da olio combustibile costa 70 euro, da gas naturale 50 e da carbone 45, la stessa quantità di energia prodotta dall'acqua costa solo 20 euro. E' per queste due buone ragioni che Enel continua a espandere la sua capacità idroelettrica: gli ultimi investimenti sono due piccoli impianti ad acqua fluente sul fiume Tirso, in Sardegna, uno sul Biferno in Molise e altri ne arriveranno in Piemonte, in Veneto e nelle Marche. “Anche sui grandi impianti – aggiunge Adami - che spesso risalgono all'epoca fra le due guerre, si interviene per sostituire le turbine o nel caso tutto l'albero elettrico, talvolta anche sull'intero complesso di adduzione dell'acqua”. In questo modo cresce il rendimento e quindi la potenza aumenta sensibilmente anche senza costruire nuovi impianti. Di tirar su dighe nuove, però, non se ne parla nemmeno. Mentre l'Austria e la Svizzera - che ci vendono una bella fetta della loro energia - continuano a riempire bacini e pompare acqua nelle condotte forzate, da noi la corsa ad attingere la potenza dei fiumi si è impantanata nel fango del torrente Vajont, tra le case sommerse di Erto e Casso. In quel lontano '63 la produzione idroelettrica copriva il 65% della domanda nazionale. Ma dopo il Vajont l'entusiasmo per lo sfruttamento delle risorse nazionali si è spento di colpo. Al vertiginoso aumento dei consumi, decollati a partire dal boom economico degli anni Sessanta, si è fatto fronte soprattutto con il petrolio. E a quarant'anni dal disatro, anche oggi che l'idroelettrico è tornato di moda, le dighe restano tabù. “Non ci proviamo nemmeno – puntualizza Adami - perché anche se ottenessimo l'autorizzazione del ministero, ci troveremmo contro le comunità locali”. Eppure le potenzialità ci sarebbero tutte: basti pensare alla potenza del Po, sfruttata pochissimo rispetto a quella di altri grandi fiumi europei. Perfino sugli impianti di piccola taglia, ad acqua fluente, le resistenze sono spesso strenue. Le opere idrauliche legate alle centraline idroelettriche devono sottostare ai parametri sul minimo deflusso vitale, definiti dalle regioni in base alle indicazioni delle singole autorità di bacino e degli enti locali: ogni fiume ha il suo. “La catena delle decisioni è troppo lunga, ci vuole un niente a spezzarla, basta un comitato di quartiere che si mette di traverso e il meccanismo s'inceppa”. Adami ne sa qualcosa: ha otto cause pendenti su dispute di questo tipo.

17 novembre 2004

Ortis e Fanelli restano soli, Authority zoppa

Da quando Fabio Pistella se n'è andato a dirigere il Cnr, l'Authority di Alessandro Ortis ha perso energia. Oltre al presidente, infatti, a capo dell'autorità è insediato al momento solo il commissario Tullio Maria Fanelli, mentre la legge Marzano ha portato da tre a cinque il numero di consiglieri e ha previsto 60 giorni, che scadono il 28 novembre, per integrare il collegio. Ma il balletto delle nomine prenderà senz'altro più tempo. L'Authority potrà continuare a deliberare anche a ranghi ridotti, secondo il parere legale prevalente, ma dalla fine di novembre le sue decisioni saranno leggere leggere. E in questa situazione dovrà affrontare una serie scadenze importanti. Prima fra tutte lo scontro legale sui distacchi di corrente del 26 giugno 2003, che lasciarono al buio oltre 7 milioni di utenti. Per questa interruzione programmata del servizio, l'Enel rischia una multa salata e quindi ha deciso di precorrere i tempi pagando un'oblazione di 50mila euro (pari al doppio della sanzione minima prevista, che va da 25mila a 150 milioni) utilizzando una legge dell'81, secondo cui il pagamento è sufficiente ad archiviare l'istruttoria avviata dall'Authority. La società guidata da Paolo Scaroni aveva già fatto lo stesso in un'occasione precedente, quando era riuscita a bloccare una multa da 45 milioni di euro, comminata dall'Authority nel 2001 per aver fornito dati falsi sulle interruzioni di corrente nelle regioni del Sud. Per evitare la sanzione, l'Enel fece ricorso alla norma sull'oblazione, che non viene espressamente esclusa dalla legge di fondazione dell'Authority dell'energia così com'è stato fatto per l'Antitrust. Ortis è ricorso al Tar della Lombardia e poi al Consiglio di Stato, che gli hanno dato torto. L'ultima sentenza è dello scorso luglio. In settembre, l'Enel ci ha riprovato: un'altra oblazione per bloccare l'istruttoria sui distacchi di corrente del giugno 2003. Ma Ortis non si dà per vinto: non ha chiuso l'istruttoria e ha ripreso la strada del Consiglio di Stato, adducendo un vizio di forma per respingere l'oblazione. Nel frattempo si sta muovendo anche il mondo della politica: sia la maggioranza che l'opposizione hanno presentato in questi giorni un emendamento alla Finanziaria e alla legge comunitaria per eliminare la possibilità di aggirare con l'oblazione le sanzioni dell'Authority. Ma i tempi sono stretti e non è chiaro chi riuscirà a tagliare per primo il traguardo. La sentenza del Consiglio di Stato, infatti, è attesa in tempi brevi. La conclusione di questa vicenda pesa anche su tutti gli altri procedimenti in corso, fra cui l'istruttoria sul blackout del 28 settembre, che secondo l'Authority si sarebbe potuto evitare. Sotto accusa sono soprattutto i "ritardi nelle riaccensioni", il distacco improvviso di 21 impianti che avrebbero dovuto restare accesi al minimo e le "disfunzioni nei sistemi di telecomunicazione". Oltre all'Enel (proprietaria di alcuni impianti che non dovevano staccarsi dal sistema), in questa istruttoria sono coinvolti anche altri operatori, comprese le grandi municipalizzate. L'Eni a sua volta rischia una multa per aver rifiutato a Gas Natural l'accesso al proprio terminale di rigassificazione di Panigaglia: dopo aver imposto all'Eni di concedere l'accesso, l'Authority ha avviato un'ulteriore istruttoria per stabilire una sanzione, che sta per chiudersi. Un'altra indagine molto delicata, che si dovrebbe chiudere entro l'anno, è quella sul potere di mercato di Enel, che insieme alla dominanza di Eni sul mercato del gas è stato messo sotto accusa anche da Giuseppe Tesauro come la causa principale dei prezzi troppo alti. Tesauro ha recentemente indicato la possibilità di ricorrere "a strumenti di limitazione ex ante del potere di mercato, che ci si illudeva di non dover utilizzare con l'avvio della Borsa elettrica". E proprio sulle anomalie dei prezzi di Borsa, in particolare sui misteriosi picchi di giugno, Ortis ha aperto un'indagine conoscitiva che potrebbe portare a risultati molto interessanti. "I colli di bottiglia della rete - spiegano all'Authority - consentono a Enel di controllare i prezzi di Borsa con una manciata d'impianti". Una situazione - si dice a Piazza Cavour - che andrebbe risolta togliendo quegli impianti dalle mani dell'ex-monopolista. Sempre in tema prezzi di Borsa, fra pochi giorni l'Authority ha intenzione di emettere una delibera, anche perché si avvicina la fase delicata in cui l'Acquirente Unico dovrà concludere i contratti di fornitura per l'anno prossimo, che determineranno in larga misura la bolletta elettrica degli italiani. Grazie alle procedure anti-rincari dell'Authority e all'abile manovra messa in atto dall'Acquirente Unico - che al momento di stabilire le tariffe per il trimestre in corso ha buttato sulla bilancia ben 84,7 milioni di euro, intascati con le operazioni di trading su energia Cip6 attuate nel primo trimestre dell'anno - l'impatto del caro-greggio non si è ancora sentito sul mercato vincolato. Ma Ortis ha ormai sfuttato fino in fondo tutti i margini regolamentari e la bolla dei prezzi energetici rischia di scoppiarle in mano alla fine di questo trimestre, se il greggio non avrà ancora imboccato una discesa stabile. Con l'attuale mix italiano di combustibili, infatti, ogni dollaro in più al barile fa aumentare il costo di generazione di un euro, producendo un immediato rincaro del 2% per ogni megawattora. E su questo anche Ortis può fare ben poco.

11 novembre 2004

La campagna d'Italia di Edf

Marcel Roulet è un anziano signore, che ha trasformato France Telecom in una moderna compagnia telefonica e crede fermamente nelle privatizzazioni. La commissione governativa da lui presieduta emetterà giovedì il verdetto tanto atteso dal mercato italiano dell'energia, consegnando al ministro Nicolas Sarkozy il suo rapporto: Edf, la più grande società elettrica del mondo, deve disimpegnarsi dall'Italia e dalla Gran Bretagna per concentrarsi esclusivamente su Francia e Germania, in vista della quotazione in Borsa? Oppure deve restare in tutti e quattro i Paesi, diventando padrona di Edison, con o senza partner locali? Dalle indiscrezioni che filtrano da Parigi, la commissione sembrerebbe propendere per l'ipotesi espansiva. L'ultima parola, naturalmente, spetta al governo francese e soprattutto a Pierre Gadonneix, nuovo capo di Edf. La prova del nove l'avremo soltanto in febbraio, quando il colosso transalpino dovrà mettere sul tavolo circa 4 miliardi per rilevare le altre quote di Italenergia Bis, holding di controllo di Edison. E forse altri 4 miliardi per lanciare un'Opa a cascata. Ma l'orientamento della commissione e i contatti avuti da Sarkozy nella sua visita a Roma, dove ha incontrato anche Carlo De Benedetti (possibile partner in Edison) e Paolo Scaroni, lasciano sospettare che la strada sia segnata. Le conseguenze per il mercato italiano sono di vasta portata: se Edf sbarcherà in forze su Edison, infatti, andrà risolto il blocco dei suoi diritti di voto al 2%. E il "pacchetto di scambio" concordato a suo tempo con Francois Roussely per avviare una certa reciprocità nell'apertura dei rispettivi mercati, coinvolge in pieno le strategie internazionali di Enel, che non potendo crescere nell'elettricità in Italia è molto concentrata sull'espansione all'estero. La possibile intesa, su cui Gadonneix non si è ancora pronunciato, comprende la cessione dei diritti di prelievo di 3-4mila megawatt di energia nucleare, per consentire a Enel di conquistare una quota del 3-4% del mercato francese, e la partecipazione al progetto Epr, la centrale nucleare di ultima generazione che francesi e tedeschi stanno costruendo a Flamanville, in Normandia. Un bel premio per Enel, che ha pochi alleati in Europa. In attesa del responso, Scaroni corre da solo. Lo dimostra l'accordo appena concluso con Bratislava, per rilevare due terzi di Slovenske Elektrarne. Con l'acquisizione di due terzi dell'ex monopolista slovacco per 840 milioni di euro (è il boccone più grosso mai ingollato da Enel), Scaroni incamera una capacità produttiva di circa 7000 megawatt, equivalente a quella di Eurogen, la più grande delle gen.co, ceduta a Edison. Nel pacchetto di generazione, che rappresenta l'82% del mercato slovacco, sono comprese anche due centrali nucleari, per 2640 megawatt complessivi, dove Enel si è impegnata a completare la costruzione di due reattori, per rimpiazzare i due destinati al decommissioning. L'Italia entra così a pieno titolo nel business nucleare, anche se non sul territorio nazionale. "Sarà un'ottima occasione - dicono all'Enel - per ricostruire quel know-how che abbiamo perduto". Ma la strategia di espansione in Est Europa non è certo finita qui: Scaroni l'ha illustrata nei dettagli venerdì scorso in un summit strategico a porte chiuse che si è tenuto a Venezia, dove gli amministratori della società hanno discusso liberamente, senza obblighi di trasparenza, le prospettive di crescita all'estero sul lungo periodo. "Siamo in prima linea per fare la nostra parte nella liberalizzazione del mercato russo, che partirà nel 2005", ha detto Scaroni. In Russia, Enel è attiva nella gestione di una centrale a ciclo combinato a San Pietroburgo, che dev'essere raddoppiata in tempi brevi. In questo modo si è fatta conoscere dal Cremlino e dall'ente elettrico pubblico, la Rao Ues, che sta per avviare la privatizzazione dello sterminato mercato russo, mettendo in vendita alcune gen.co come in Italia. La prima, un gigante da 9000 megawatt, dovrebbe andare in gara in tempi brevi. "L'Enel - ha promesso Scaroni - è pronto a partecipare".In Romania, dove Enel ha già il 20% del mercato della distribuzione, Scaroni è pronto a entrare nella produzione e ha in progetto di candidarsi al completamento della terza unità dell'impianto nucleare di Cernavoda. In Bulgaria si è aggiudicato una grande centrale a lignite, in via di modernizzazione. I bulgari, che stanno per mettere in vendita altri tre impianti e per completare la costruzione della centrale nucleare di Belen, puntano a diventare il centro principale di produzione elettrica nei Balcani - dove sono già oggi i primi esportatori di energia - e oltre il Bosforo, verso la Turchia. Quindi la presenza su questo mercato è altamente strategica. Ma c'è anche un altro aspetto strategico molto interessante: "Ora che il protocollo di Kyoto sta per essere applicato, la presenza in tutti i Paesi dell'Est offre notevoli vantaggi sul piano dei crediti di emissione", fanno notare all'Enel. Nessuno di questi Paesi, infatti, ha obblighi di riduzione delle emissioni di anidride carbonica. E gli impianti di produzione non sono certo gioielli di efficienza. Basta quindi poco sforzo per aumentare l'efficienza di un impianto dal 20 al 40-50% e acquisire così crediti di emissione da utilizzare per compensare le emissioni in eccesso generate in Italia, dove i processi di efficientamento sono molto più costosi.