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25 febbraio 2009

L'energia viene da un batterio

La pietra filosofale dell'energia è un batterio. Chi riuscirà a programmarlo per fargli trasformare gli scarti agricoli direttamente in bioetanolo - saltando il passaggio di conversione della cellulosa in glucosio, che rende la catena di produzione troppo lunga e costosa - avrà vinto la scommessa dei biocarburanti e tagliato il nodo gordiano, che oggi li mette inevitabilmente in concorrenza con l'industria alimentare. Al momento attuale, i biocarburanti si ottengono principalmente dalla canna da zucchero o dai cereali, con effetti distorsivi del mercato alimentare, che nei mesi scorsi hanno finito per scatenare vere e proprie rivolte del pane in giro per il mondo. Eliminare questa concorrenza deleteria è la missione di Jay Keasling, un ingegnere chimico dell'università della California a Berkeley. Keasling proviene dal Lawrence Berkeley Laboratory, il laboratorio diretto dal nuovo ministro Usa dell'Energia, Steven Chu, che lo ha appena chiamato a gestire il Joint BioEnergy Institute, uno dei tre centri di ricerca creati per aiutare l'America a svezzarsi dal petrolio: qui dirigerà un piccolo esercito di 150 scienziati, con cinque anni e 134 milioni di dollari a disposizione, per costruire il batterio giusto, efficiente e di poche pretese. Non sarebbe la prima volta che compie il miracolo. Keasling ha già messo a segno un primo successo, che gli è valso un mega-finanziamento dalla Fondazione Gates: è riuscito a riprogrammare i geni di un lievito e così ha creato un microrganismo capace di trasformare lo zucchero nel più potente principio attivo antimalarico presente sul mercato, l'artemisinina, riducendo i costi di produzione del farmaco a pochi centesimi per dose. Ora che è stato dirottato da Chu sui biocarburanti, ha immediatamente attratto l'attenzione di BP, che finanzierà il suo lavoro al Jbei (Jay-Bay per gli intimi, data la vicinanza della baia di San Francisco) con 50 milioni all'anno per i prossimi dieci anni. Nell'attuale congiuntura economica, 500 milioni di dollari in un colpo solo non li prendono in tanti. E non è l'unico segnale che in quella pentola stia bollendo qualcosa di molto importante. Dai laboratori di ingegneria genetica di Stanford, di Harvard e dell'Mit gli scienziati fioccano in una serie di nuove startup, che puntano tutte nella medesima direzione: sviluppare un microrganismo capace di trasformare quello che mangia – dagli scarti agricoli ai residui industriali – in idrocarburi utilizzabili come carburanti. Ognuno batte la propria strada. Amyris, la più avanzata della schiera, sta seguendo il tracciato di Keasling e ha già aperto un impianto pilota per la produzione di biodiesel a Emeryville, in California. LS9, un'azienda fondata a San Francisco da George Church, professore di genetica a Harvard, vuole arrivarci modificando i processi metabolici di un altro batterio, l'Escherichia coli. LS9 è finanziata da Vinod Khosla, mitico co-fondatore di Sun Microsystems e uno dei più influenti protagonisti della Silicon Valley. Altre lavorano con le alghe. Ma la più interessante delle startup californiane è Synthetic Genomics, fondata a La Jolla da Craig Venter, un intraprendente genetista, famoso per essere riuscito a battere sul tempo, negli anni Novanta, un esercito di scienziati governativi impegnati nella prima mappatura del genoma umano. Venter vuole andare ancora più lontano, eliminando la materia prima di partenza: perché sobbarcarsi la fatica di mettere in piedi un processo pianta-microbo-carburante, quando esistono batteri fotosintetici in grado di elaborare nei loro processi metabolici direttamente il carbonio che c'è nell'aria, utilizzando l'energia che ricevono dal sole? In questo modo, Synthetic Genomics riuscirebbe addirittura a prendere due piccioni con una fava: produrre biocarburante assorbendo anidride carbonica, un pericoloso gas serra, dall'atmosfera. Dal 2005 Venter, insieme al Premio Nobel Hamilton Smith, direttore scientifico della sua azienda, ha battuto i sette mari per scovare questo tipo di batteri e adattarli ai suoi scopi. Ora si dice pronto ad avviare un impianto pilota. I biocarburanti che Venter e gli altri stanno tentando di produrre rappresentano un salto di qualità epocale nella storia dell'ingegneria genetica. Questa scienza nuova, che non si accontenta più di trasformare l'esistente, ma punta a costruire organismi viventi che prima non esistevano, viene comunemente definita biologia sintetica. Chi la pratica, è convinto che sia destinata a modificare radicalmente le regole del gioco dell'energia. Se darà i suoi frutti – come li ha dati l'ingegneria genetica, da cui si è sviluppata negli ultimi vent'anni un'industria biotecnologica da 80 miliardi di dollari – non ci sarà più bisogno di trivellare nelle viscere della terra per estrarre combustibili fossili costosi e inquinanti. Qualsiasi batterio, opportunamente riprogrammato, può diventare una vera e propria raffineria vivente, capace di portare a termine complesse reazioni chimiche, che una fabbrica costruita dall'uomo può soltanto imitare in maniera molto meno efficiente. Ecco perché i biologi sintetici sono coperti di finanziamenti che nessun altro riesce a ottenere in questo periodo: i loro carburanti, quando arriveranno sul mercato, promettono di diventare più competitivi del petrolio.

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Biologia sintetica, da Bologna a Boston

Nel primo weekend di novembre, smaltito Halloween, il campus del Mit si riempie di una folla colorata, proveniente da tutto il mondo. Sono i ragazzi dell'iGem, che mettono a confronto le loro Genetically Engineered Machines, circuiti molecolari costruiti ricombinando materiale genetico clonato, per ottenere funzioni utili all'uomo, che non sono presenti in natura. L'ultima volta erano oltre 800 da 21 Paesi diversi e ognuno di loro aveva addosso una delle 84 t-shirt, con il logo della propria università, che definiscono i team in competizione. Tra quelle 84 magliette, c'erano anche Bologna e Pavia. Ma quest'anno gli organizzatori dell'iGem contano su una partecipazione molto più vasta, infatti le iscrizioni sono già aperte, da ieri. "Per costruire i circuiti biologici da mettere in gara si lavora parecchio e soprattutto d'estate", spiega Silvio Cavalcanti, professore di bioingegneria elettronica e informatica all'università di Bologna, che fin dal 2006 guida il team degli studenti bolognesi al concorso. "In primavera riceviamo il kit di materiale genetico da mettere assieme – aggiunge Cavalcanti - poi il lavoro comincia a giugno e termina a ottobre. Per tutto il tempo bisogna documentare passo passo ogni sviluppo nel wiki che ci viene assegnato. Questa documentazione è determinante per il piazzamento finale”. Nel 2007, il suo team ha vinto una medaglia d'oro nella categoria Foundational Research. L'anno scorso, gli 11 ragazzi di Bologna sono arrivati sul podio per la categoria Experimental Measurement, costruendo un flip-flop biologico - simile ai circuiti utilizzati nell'elettronica come dispositivi di memoria elementare -con una colonia di batteri Escherichia coli geneticamente modificati. Tutti i dispositivi che escono dal concorso vanno ad arricchire la banca del Mit (Registry of Standard Biological Parts), costruita dal “padre” della biologia sintetica, Tom Knight, inventore del concetto di BioBricks, cioè parti standardizzate di Dna, da utilizzare come pezzi di un circuito informatico per ottenere funzioni biologiche nuove. Partito nel 2004 con una cinquantina di parti, oggi il registro ne ha raccolte molte migliaia, grazie al lavoro dei ragazzi di tutto il mondo. “Un patrimonio inestimabile – commenta Cavalcanti – da cui si sta sviluppando una branca della scienza che domani sarà la più feconda di invenzioni e di applicazioni industriali al servizio dell'uomo e dell'ambiente, ma su cui purtroppo l'Italia è molto indietro, a livello accademico e soprattutto a livello industriale”. Su questa branca nuova della scienza, la biologia sintetica, si punta con decisione negli Usa per ottenere i nuovi biocarburanti. E non sarà l'unico campo di applicazione.

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Biologia sintetica, da Bologna a Boston

Nel primo weekend di novembre, smaltito Halloween, il campus del Mit si riempie di una folla colorata, proveniente da tutto il mondo. Sono i ragazzi dell'iGem, che mettono a confronto le loro Genetically Engineered Machines, circuiti molecolari costruiti ricombinando materiale genetico clonato, per ottenere funzioni utili all'uomo, che non sono presenti in natura. L'ultima volta erano oltre 800 da 21 Paesi diversi e ognuno di loro aveva addosso una delle 84 t-shirt, con il logo della propria università, che definiscono i team in competizione. Tra quelle 84 magliette, c'erano anche Bologna e Pavia. Ma quest'anno gli organizzatori dell'iGem contano su una partecipazione molto più vasta, infatti le iscrizioni sono già aperte, da ieri. "Per costruire i circuiti biologici da mettere in gara si lavora parecchio e soprattutto d'estate", spiega Silvio Cavalcanti, professore di bioingegneria elettronica e informatica all'università di Bologna, che fin dal 2006 guida il team degli studenti bolognesi al concorso. "In primavera riceviamo il kit di materiale genetico da mettere assieme – aggiunge Cavalcanti - poi il lavoro comincia a giugno e termina a ottobre. Per tutto il tempo bisogna documentare passo passo ogni sviluppo nel wiki che ci viene assegnato. Questa documentazione è determinante per il piazzamento finale”. Nel 2007, il suo team ha vinto una medaglia d'oro nella categoria Foundational Research. L'anno scorso, gli 11 ragazzi di Bologna sono arrivati sul podio per la categoria Experimental Measurement, costruendo un flip-flop biologico - simile ai circuiti utilizzati nell'elettronica come dispositivi di memoria elementare -con una colonia di batteri Escherichia coli geneticamente modificati. Tutti i dispositivi che escono dal concorso vanno ad arricchire la banca del Mit (Registry of Standard Biological Parts), costruita dal “padre” della biologia sintetica, Tom Knight, inventore del concetto di BioBricks, cioè parti standardizzate di Dna, da utilizzare come pezzi di un circuito informatico per ottenere funzioni biologiche nuove. Partito nel 2004 con una cinquantina di parti, oggi il registro ne ha raccolte molte migliaia, grazie al lavoro dei ragazzi di tutto il mondo. “Un patrimonio inestimabile – commenta Cavalcanti – da cui si sta sviluppando una branca della scienza che domani sarà la più feconda di invenzioni e di applicazioni industriali al servizio dell'uomo e dell'ambiente, ma su cui purtroppo l'Italia è molto indietro, a livello accademico e soprattutto a livello industriale”. Su questa branca nuova della scienza, la biologia sintetica, si punta con decisione negli Usa per ottenere i nuovi biocarburanti. E non sarà l'unico campo di applicazione.

18 febbraio 2009

Dopo il petrolio, il litio

Dopo il petrolio, il litio. E’ questa la materia prima del futuro. E Obama l'ha capito: nel pacchetto di stimolo all’economia Usa, ha inserito un corposo capitolo da 5 miliardi per sviluppare la produzione su larga scala di batterie agli ioni di litio, che servono a mandare avanti le auto elettriche. Una somma notevole, che indica senza ombra di dubbio qual’è la strada scelta dal neo-presidente per riscattare l’industria automobilistica americana dal baratro in cui è caduta. Obama è molto sensibile all’economia verde, allo sviluppo tecnologico e al futuro di Detroit. Vuole salvare le tre major dell’auto, ma vuole anche spingerle verso una crescita sostenibile. Una spinta da 5 miliardi non basterà per segnare un’istantanea inversione di marcia, ma potrebbe essere sufficiente per oliare un meccanismo che si è già messo in moto da solo.L’auto elettrica, infatti, è già partita. Se n’è avuta una prova all’ultimo salone di Detroit, dove hanno presentato modelli elettrici tutte le case presenti, da Gm (con la futura Volt) alla cinese Byd (leader nelle batterie, oggi lanciata anche nell’auto) fino a Honda e Mercedes-Benz, passando per Renault e Peugeot. Le sperimentazioni ci sono già: a New York (Bmw-Mini elettriche), Parigi (Renault con Edf), Berlino (Smart elettriche), Israele e Danimarca (Renault Nissan). In questi due Paesi è in costruzione anche una rete di distribuzione lanciata da un’azienda californiana, Better Place, che copia il modello di business dei telefonini: auto gratis o quasi, con sottoscrizione di un piano tariffario basato sul chilometraggio. Del resto su percorsi di mobilità urbana e di breve raggio, entro i 150 chilometri, le batterie di ultima generazione sono già competitive con il motore a combustione.L’economia al litio, dunque, è già cominciata. Con grande soddisfazione della Bolivia, dove si trova il 50% delle riserve conosciute sfruttabili di questo metallo, nei laghi salati prosciugati sulle Ande.