Pagine

31 ottobre 2005

Slovacchia: l'Enel in un vicolo cieco?

Parlare slovacco non basta. «Per concludere con successo un affare a Bratislava, è meglio sapere anche il ceco. E magari il russo». Questa è l' opinione di Karol Schlosser, grande finanziatore del nucleare cecoslovacco e titolare di due contratti di leasing che rischiano d' intralciare il passaggio definitivo della proprietà di due terzi di Slovenské Elektràrne dalla mano pubblica alle tasche di Enel. «Contratti come questi - spiega Schlosser - che complicano la struttura proprietaria delle centrali a cui Enel è interessata, ce n' è più d' uno: sono serviti, negli anni a cavallo della separazione della Slovacchia dalla Repubblica Ceca, a finanziare lo sviluppo del sistema elettrico del Paese». Prima della separazione, nel ' 93, Slovenské Elektràrne era un tutt' uno con Cez, la compagnia elettrica ceca che era sicura di ricomprarsi la sua quota in febbraio, nella gara poi vinta da Enel per 840 milioni di euro. Ora Enel è alle prese con le ultime battute dell' affare: a metà ottobre ha avuto l' approvazione del piano d' investimenti, dopo la crisi di fine agosto e la defenestrazione di Pavol Rusko: il ministro che ha accolto l' offerta di Enel al posto di Cez. In quell' occasione, il partito di Rusko è uscito dall' alleanza di governo e ora il premier Mikulàs Dzurinda governa con una coalizione di minoranza, incalzata dai nazionalisti di Vladimir Meciar per anticipare le elezioni ad aprile. Ma Enel, che rischia di vedersi sfumare l' affare sotto gli occhi in caso di un cambio di governo, spera di chiudere prima. «Stiamo cercando di districarci in queste complesse strutture proprietarie per staccare le centrali, come quella idroelettrica di Gabcikovo, che non sono comprese nel perimetro dell' acquisizione -, spiega Peter Mitka, superconsulente ceco di PriceWaterhouseCoopers, che ha guidato Enel nell' avventura slovacca - . Si tratta più che altro di questioni formali, che saranno sbrigate entro la fine dell' anno». A giudicare dalle ultime dichiarazioni di Fulvio Conti, amministratore delegato, i vertici di Enel sembrano convinti che l' affare sia pressoché concluso, tanto che hanno già trasferito a Bratislava 168 degli 840 milioni dovuti per il pagamento. Ma Mitka si dichiara all' oscuro dei contratti di leasing di Schlosser. Nel nuovo piano, Enel si è impegnata a investire ben 1,9 miliardi nello sviluppo della società, di cui almeno 1,5 andranno nel completamento dei due reattori nucleari di Mochovce, già costruiti a metà dalla ceca Cez prima della separazione fra i due Stati. Lo scoglio è lo scorporo dei due reattori di Jaslovské Bohunice (che dovranno essere dismessi entro il 2006-2008, nell' ambito degli accordi per l' ingresso nell' Unione Europea) e di tutte le pendenze pregresse sulla liquidazione del nucleare già in corso. Negli accordi di febbraio, il governo si è impegnato a scaricare Enel dagli oneri del Fondo di liquidazione, compreso il deficit del Fondo (390 milioni di euro), attualmente di pertinenza di Slovenské Elektràrne, che copre parte delle spese di liquidazione e paga al Fondo una tassa annuale di 70 milioni di euro. «Il governo ripete da mesi la sua intenzione di varare un decreto in questo senso - spiega Beata Balogova, direttrice dello Slovak Spectator - ma con tutte le grane che hanno, prima che si mettano d' accordo...». Ma il problema, forse, è un altro. Tutto il sistema nucleare cecoslovacco è stato costruito da Cez, in parte con finanziamenti russi: a partire da Jaslovské Bohunice e Mochovce, ora in Slovacchia, fino a Dukovany e Temelin, in Boemia. Cez è anche la casa madre di Skoda Praga, il braccio operativo del sistema atomico sovietico. «Su disegni russi - spiega Jozef Valach, esperto nucleare slovacco, che ha diretto per sette anni la centrale nucleare di Mochovce - Skoda ha costruito almeno una ventina di reattori in tutto l' Est Europa, simili a quelli attivi a Mochovce, di tipo VVER-440. Anche le due unità che Enel vorrebbe completare a Mochovce per compensare lo spegnimento dei due reattori di Jaslovske Bohunice sono dello stesso tipo. Tutte le componenti principali sono già installate, mi meraviglierebbe che Enel possa continuare la costruzione senza richiamare in azione le aziende ceche e russe che hanno cominciato vent' anni fa». Per Enel le prossime mosse saranno decisive. «Il problema non è solo la chiusura dell' acquisizione di Slovenské Elektràrne», fa notare Schlosser, che ha partecipato al finanziamento di diverse centrali nucleari e ora sollecita il riscatto dei due contratti di leasing prima del perfezionamento delle trattative con il governo di Bratislava. «Se Enel, come sembra, vuole continuare a partecipare alle privatizzazioni del nucleare in Est Europa, sarà bene che si metta in comunicazione con il sistema atomico russo, svincolandosi dai suoi rapporti di sudditanza con i francesi». Un' opinione che serpeggia anche fra i banchi del Parlamento slovacco e che potrebbe rimettere in discussione tutto se a Roma qualcuno non aprirà bene le orecchie.

10 ottobre 2005

Il conto di Kyoto lo pagano gli elettrici

Mezzo miliardo all' anno per Kyoto: questo è il conto, euro più euro meno, che le compagnie elettriche italiane dovranno pagare per rispettare le regole del protocollo. Tanto costano, alle quotazioni correnti, i 23 milioni di tonnellate di anidride carbonica che Bruxelles ci chiede di tagliare e che il sistema industriale italiano dovrà comprare sul mercato, se non vuole chiudere gli impianti incriminati. Centrali elettriche, ma anche acciaierie e cementifici, cartiere e vetrerie. Sono 1.240 in tutto le imprese che già nel triennio 2005-2007 devono ridurre le loro emissioni di gas serra. Eppure chi si aspetta che i tagli vengano distribuiti qua e là, pro quota, si sbaglia. I costi di Kyoto graveranno sulle spalle del sistema elettrico, con il rischio di un aumento delle bollette, già salatissime, che l' Authority ha quantificato in un 5-10%. «Abbiamo deciso di non distribuire i tagli a pioggia, ma di legarli all' andamento della produzione industriale, scegliendo i settori dove ci sono più margini d' intervento» spiega Corrado Clini, direttore generale del ministero dell' Ambiente, alla vigilia della pubblicazione del Piano nazionale di assegnazione (Pna) delle quote di anidride carbonica, da cui le imprese italiane apprenderanno quanti fumi può emettere ciascun impianto e quanto devono tagliare o comprare sul mercato dalle aziende più virtuose. Così potrà partire anche in Italia il meccanismo europeo dell' Emissions Trading, il mercato dei fumi, che si basa come dato di partenza su un tetto massimo di emissioni cui ogni membro dell' Ue doveva adeguarsi, fornendo le quote di assegnazione della CO2 impianto per impianto già nel lontano marzo 2004. L' Italia ha consegnato il piano con mesi di ritardo e i negoziati con Bruxelles si sono prolungati fino a quest' estate: in conclusione, al nostro Paese è stato chiesto di abbassare il tetto complessivo da 255,5 a 232,5 milioni di tonnellate di CO2 all' anno. I ritardi accumulati potrebbero costare cari alle imprese italiane, che entrano nel meccanismo dell' Emissions Trading quando le quotazioni dell' anidride carbonica sono già schizzate alle stelle: dai 7-8 euro a tonnellata del gennaio di quest' anno ai 23,9 euro di oggi. «Per fortuna - prevede Clini - è probabile che il governo finisca per offrire alle imprese più penalizzate permessi di emissione a basso costo acquisiti attraverso l' Italian Carbon Fund, il fondo istituito dall' Italia presso la Banca Mondiale per sostenere progetti di riduzione delle emissioni nei Paesi in via di sviluppo». In questo caso, il costo complessivo si ridurrebbe a un quarto, perché le quotazioni di anidride carbonica su quei mercati non superano i 5-6 euro. «Poteva andare ben peggio - commenta Clini - considerando il fatto che inizialmente l' Italia si era impegnata a ridurre del 6,5% le emissioni complessive rispetto ai valori del ' 90. In realtà abbiamo spuntato un aumento del 10%». Eppure le imprese non sono soddisfatte: «Il rischio - fa notare Annalisa Oddone, responsabile ambiente di Confindustria - è di dover sostenere costi marginali molto elevati per ottenere modesti risultati nella riduzione delle emissioni, perché si va ad incidere su un sistema produttivo che presenta già un' altissima efficienza energetica». «Ma questi tagli - precisa Clini - derivano proprio dall' inesattezza dei dati che ci sono stati forniti dai diversi settori industriali. Prima siamo stati un anno fermi per colpa delle imprese, che non ci davano i numeri per stilare il piano. Poi, quando siamo andati a discuterli a Bruxelles, ci siamo accorti di avere in mano un quadro sovrastimato, soprattutto nel settore elettrico, rispetto a quel che risultava dalle statistiche europee. Non è colpa nostra se i consumi elettrici l' anno scorso sono cresciuti dell' 1,6%, contro il 3% previsto dai produttori».

3 ottobre 2005

L'energia pulita va in negozio

Non più solo scarpe, cravatte e telefonini. Lo shopping in corso Buenos Aires a Milano o in viale Parioli a Roma si arricchisce di una nuova merce sempre più ambita: l' energia. Con l' avanzare della liberalizzazione e la minaccia del caro-greggio che incombe, la domanda di energia intelligente da parte degli italiani cresce a vista d' occhio. Chi si butta sul solare, chi sull' eolico, chi sull' idroelettrico: «L' ascesa dell' oro nero rende sempre più appetibile l' energia prodotta da fonti rinnovabili e ormai siamo sommersi dalle richieste», spiega Giuseppe Zanardelli, uno dei primi imprenditori italiani a operare come grossista sul mercato liberalizzato dell' energia, che ora si appresta ad aprire una catena di 35 negozi specializzati in tutta la Penisola, da Bergamo a Trieste, da Genova a Napoli. «Nei nostri negozi - precisa l' imprenditore bresciano - venderemo una serie di prodotti utili per combattere il caro-energia, da un lato offrendo contratti di risparmio a chi può uscire dal mercato vincolato, cioè chiunque abbia una partita Iva, dall' altro pacchetti d' installazione per impianti solari di piccola generazione alle famiglie che desiderano autoprodurre la propria elettricità». Spinto dalla nuova forma d' incentivazione in conto energia, il solare sembra avviato verso un vero e proprio boom: negli uffici del Grtn giacciono già centinaia di domande per l' autorizzazione di nuovi impianti. E sul fronte dell' eolico, la fiducia degli investitori nell' unica quotata italiana, Actelios (gruppo Falck), schizzata da 6 a 17 euro dall' inizio dell' anno ad oggi, testimonia del clima di euforia che domina il settore. «Per la prima volta quest' anno i piccoli imprenditori che vengono da noi a comprare energia non cercano più solo lo sconto ma chiedono soprattutto forniture certificate da fonti rinnovabili», fa notare Zanardelli, talmente oberato dalle richieste da essere costretto a fondare una seconda società per lavorare in specifico sull' energia pulita. Non si tratta di un interesse esclusivamente etico, ma anche di un' esigenza di marketing. Il «bollino verde» sulla porta del negozio attira clienti, soprattutto se si lavora con il Nord Europa, dove l' utilizzo di energia verde può rappresentare una discriminante nella scelta di un prodotto. Anche all' Enel, leader mondiale nella produzione di energia da fonti rinnovabili, se ne sono accorti. «Quest' anno abbiamo superato i cento milioni di chilowattora di energia verde venduti, un quantitativo decisamente superiore alle nostre più rosee aspettative», conferma Luca Dal Fabbro di Enel Energia, il braccio retail dell' ex monopolista. «C' è un boom di richieste del nostro bollino verde - rileva Dal Fabbro - soprattutto nel mondo del turismo: dal Tanka Village del gruppo Ligresti al Parco di San Rossore, dall' Auditorium Parco della Musica di Roma alla Fondazione Peggy Guggenheim di Venezia...». Grande interesse anche per l' efficienza energetica, che fa bene all' ambiente e anche al portafoglio. «Con il caro-bolletta - spiega Gianni Silvestrini, direttore scientifico del Kyoto Club - cresce la domanda di risparmio energetico». E negli uffici dell' Autorità per l' energia piovono le domande (oltre 400 finora), di autorizzazione per costituire delle EsCo (Energy Service Company), specializzate in interventi per il miglioramento dell' efficienza energetica di aziende pubbliche e private.