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25 luglio 2011

Via agli incentivi all'auto elettrica anche in Italia

Alla fine anche l'Italia si allinea agli altri Paesi europei: arrivano gli incentivi per le auto elettriche. E così, in sostanza, arrivano anche da noi le auto elettriche, perché l'auto elettrica è così cara che se mancano gli incentivi va completamente fuori mercato, quindi è inutile metterla in vendita. Ora però la situazione deovrebbe cambiare: con un bonus di 5.000 euro, le elettriche plug-in diventano competitive e il mercato può partire.
La norma dovrebbe diventare realtà in tempi rapidi, visto che è stata approvata in commissione congiunta Trasporti e Attività produttive e in modo bipartisan. Insomma, subito dopo le ferie estive gli incentivi saranno in pista. E da dove arriveranno i fondi? La copertura sarà ricavata da una tassa di un centesimo e mezzo di euro per ogni bottiglia di plastica venduta al pubblico, tanto che le assoiazioni di produttori di soft drink si sono già ribellate con una vibrata protesta. Ma le norme del testo base, di cui è relatrice Deborah Bergamini (Pdl), unificano due proposte di maggioranza e opposizione (di Lulli del Pd e di Agostino Ghiglia del Pdl), per cui non dovrebbero esserci grandi variazioni:

Il testo non si limita agli incentivi all’acquisto, ma disegna, su tutto il territorio nazionale, le reti di ricarica a servizio dei veicoli alimentati ad energia elettrica. L'Autorità per l'Energia ha dato il via libera alle agevolazioni previste per 5 progetti pilota, i quali prevedono la realizzazione di oltre 1000 stazioni di ricarica per veicoli elettrici distribuite sull'intero territorio nazionale. I progetti permetteranno di installare le colonnine in alcune città: Roma, Milano, Napoli, Bari, Catania, Genova, Bologna, Perugia, e in svariati comuni dell'Emilia Romagna e della Lombardia, oltre che presso diversi supermercati della grande distribuzione.

Il testo base adottato dalle commissioni Trasporti e Attività produttive della Camera andrà ad impattare su un'offerta ancora limitata. Al momento sono solo sei, infatti, le auto 100% elettriche in vendita in Italia: la Citroen C Zero, la Mitsubishi i-Miev, la Nissan Leaf, la Peugeot iOn, la Renault Kangoo ZE e la Smart electric drive. Dai primi mesi del 2012 la gamma si allargherà però con l'arrivo della Opel Ampera, della Chevrolet Volt - entrambe elettriche con "range extender" termico - e della Renault Fluence ZE.

Come prevede il testo delle commissioni, l'incentivo massimo di 5.000 euro sarà erogato per le auto acquistate appunto entro il 2012 e scenderà a 3.000 per il 2013. Nei prossimi mesi questo provvedimento dovrebbe dunque stimolare l'arrivo sul mercato di altre auto elettriche. Alcune di queste - come la Renault Zoe che sarà introdotta nel secondo semestre del 2012 - potrebbero essere acquistate a costi competitivi rispetto alle stesse vetture a propulsione tradizionale. Per la Zoe,che è una segmento B, si parla di un listino compreso tra 15.000 e 18.000 euro, che, grazie all'incentivo, scenderebbe a quello che è in pratica il prezzo di una versione turbodiesel di fascia media.

Ancora più interessante - se nel passaggio all'approvazione della legge non verranno introdotte modifiche restrittive - l'opportunità offerta da Renault con la piccola elettrica Twizy: il prezzo della versione Technic (omologata come quadriciclo pesante) è di 8.490 euro, a cui va aggiunto il noleggio obbligatorio delle batterie a 51 euro al mese. Ma con l'incentivo Twizy potrebbe scendere ad un livello di prezzo inferiore a 3.500 euro, un valore che rappresenterebbe davvero quella via accessibile alla mobilità elettrica che è nello spirito del provvedimento.


22 luglio 2011

La chimica nostrana verso la plastica dalla canna dei fossi

Nel film «Il laureato» (cult movie del ' 67 con Anne Bancroft e Dustin Hoffman), il giovanissimo Ben viene avvicinato da un collega del padre, che gli consiglia la strada da percorrere: «C' è un grande futuro nella plastica». Oltre 40 anni dopo, la storia si ripete. La plastica del nostro futuro, però, non viene dal petrolio, come quella di allora. Viene dai campi, dalle alghe o da qualunque biomassa utile anche per produrre biocarburanti. Guido Ghisolfi, vicepresidente della più grande azienda chimica privata rimasta in Italia, Mossi & Ghisolfi, l'ha capito e ha investito 120 milioni di euro in ricerca, per mettere a punto il più grande impianto di bioetanolo di seconda generazione al mondo, che utilizzerà come materia prima la paglia di scarto e la canna dei fossi, senza fare concorrenza alle colture alimentari. A partire dal 2012, Ghisolfi produrrà 50 mila tonnellate all' anno di bioetanolo nell' area ex Teksid di Crescentino, vicino a Vercelli, riconvertita alla chimica verde dopo l' abbandono dell' industria siderurgica. Oggi il gruppo di Tortona, fondato nel 1953 dall' attuale presidente Vittorio Ghisolfi insieme con il suocero Domenico Mossi, è leader mondiale nella produzione del polietilene per le bottiglie di plastica, il Pet, con una capacità di 1,7 milioni di tonnellate l' anno, tremila addetti distribuiti su tre continenti, dal Brasile alla Cina, e un giro d' affari da 3 miliardi di dollari. Ma lavora al Pet del futuro. Lo sforzo di ricerca compiuto in questi anni dalla multinazionale piemontese, infatti, va al di là della questione dei biocarburanti: «Con le nostre ricerche stiamo tentando di arrivare a una plastica verde, prodotta dal bioetanolo, competitiva con quella derivata dal petrolio - dice Ghisolfi -. Questo ci renderebbe autonomi dai combustibili fossili e ci consentirebbe di controllare tutta la filiera, a partire dalla materia prima». L' impresa di Tortona non è l' unica, in Italia, a occuparsi di futuro. Giorgio Squinzi, amministratore unico della Mapei, leader mondiale nelle colle per edilizia, destina alla ricerca il 5% dei ricavi, che hanno superato gli 1,8 miliardi di euro nel 2010. «I tre quarti di queste risorse, cioè poco meno di 100 milioni quest' anno, li dedichiamo allo sviluppo di materiali ecosostenibili, sempre più compatibili con la salute dell' uomo e con la tutela dell' ambiente - dice Squinzi -. È nata così la linea di prodotti Eco, a bassissima emissione di sostanze organiche volatili e privi di solventi, per migliorare il benessere negli edifici dove sono utilizzati. E anche i sistemi per isolamento a cappotto, che consentono di tagliare le emissioni di Co2 per il riscaldamento e raffrescamento di 2,7 tonnellate all' anno per 25 anni di vita media». Anche questa, precisa Squinzi, «è una testimonianza di quanto la chimica possa contribuire al benessere dell' uomo nel mondo moderno». Nella chimica fine, emerge la piccola Endura di Bologna, che proprio negli anni neri della crisi ha accelerato la crescita, arrivando a 24 milioni di euro di fatturato nel 2010. Il fiore all' occhiello di Endura è la produzione del Piperonyl Butossido (Pbo), una molecola sinergica utilizzata per fabbricare insetticidi domestici. Proprio grazie alla ricerca per ottenere questo principio attivo è arrivato il colpo di fortuna: «Ci siamo accorti che in una fase intermedia della lavorazione potevamo ottenere una molecola che poteva avere altri impieghi, come nell' industria profumiera per la produzione di fragranze e in quella dei detergenti», racconta l' amministratore delegato Cosimo Franco. Una scoperta che ha permesso a Endura di moltiplicare le entrate, visto che la nuova molecola si ottiene con la lavorazione del Pbo, per cui sono già attive le linee produttive. Fra le quotate, la grande emergente è Sol: con 225 milioni di fatturato nel 2010 e quasi 600 dipendenti, la multinazionale monzese ha guadagnato in un anno oltre il 30% in Borsa, grazie all' importante sviluppo nel settore dei gas tecnici, soprattutto l' idrogeno, di cui l' impresa guidata da Aldo Fumagalli Romario è il numero sette in Europa.


21 luglio 2011

Via libera a Porto Empedocle, dopo quattro anni di paralisi

Il rigassificatore di Porto Empedocle si farà: lo ha detto il Consiglio di Stato, ponendo fine a una disputa di campanile che bloccava il progetto da anni. Nell'occasione, ripropongo qui di seguito un mio pezzo pubblicato nell'ottobre 2007, da cui risulta evidente la paralisi delle infrastrutture italiane: in questi quattro anni, l'Enel ha chiuso i contratti sul gas egiziano, la rivoluzione ha rovesciato Hosni Mubarak, gli olandesi hanno costruito il rigassificatore più grande del mondo, ma a Porto Empedocle non si è mossa foglia. Ora, forse, dopo la consueta sequela di sentenze, questo investimento da 800 milioni avrà il via libera. Forse.

Prima Brindisi, poi Porto Empedocle. E' una decina d'anni che l'Enel vorrebbe un terminale di rigassificazione, per alimentare le esauste vene dei metanodotti italiani e soprattutto le sue centrali a gas. A Brindisi, dopo anni di blocco, ci ha rinunciato, lasciando British Gas a sbrigarsela da sola con il delirio nostrano di opposte sentenze. Ora Fulvio Conti punta sulla Sicilia e va a caccia di forniture di metano in tutto il Nord Africa, ma soprattutto in Egitto, balzato rapidamente al sesto posto nella classifica mondiale dei produttori di gas naturale liquefatto, con una capacità annua complessiva pari a 17,5 miliardi di metri cubi. Questo grazie a una serie continua di nuove scoperte nella zona del Delta del Nilo, che hanno eclissato i giacimenti petroliferi dell' area di Suez, ormai arrivati a una fase di maturità, con produzione in declino e riserve sostanzialmente stabili attorno ai 500 milioni di barili. Le riserve egiziane di gas, invece, sono raddoppiate negli ultimi cinque anni e la produzione è triplicata, con la costruzione di due impianti di liquefazione a Idku e Damietta, che hanno consentito di valorizzare i nuovi ritrovamenti rendendo il gas esportabile. «Gli egiziani sono stati molto bravi nella trasformazione e nella commercializzazione di queste risorse, molto più rapidi dei loro vicini», spiega Gianfilippo Mancini, l'uomo degli approvvigionamenti per il gigante italiano dell' elettricità, appena tornato dal Cairo. La crescita fulminea dipende dalla nuova apertura del regime di Mubarak, finalizzata ad attrarre la partecipazione di compagnie internazionali: le condizioni legali e finanziarie offerte a chi sviluppa progetti mirati all' esportazione di gas sono definite come le più vantaggiose in tutta l' area del Nord Africa e hanno fatto affluire investimenti esteri pari a 10 miliardi di dollari negli ultimi cinque anni. Così, dopo il raddoppio del terminale di Idku, adesso si prospetta un raddoppio di Damietta. È in questa prospettiva che s' inserisce la compagnia guidata da Fulvio Conti. Attingere alle riserve egiziane di metano andrebbe così ad aggiungersi alla fornitura di Gnl nigeriano già in atto, che per ora non può essere rigassificato in Italia per mancanza di terminali, ma viene dirottato sull' impianto Gaz de France di Montoir, in Bretagna, e riconsegnato all' Enel attraverso uno swap, con uno stranded cost di 150 milioni di euro l' anno. «Il contratto nigeriano è già in piedi dagli anni Novanta, quando avevamo in progetto un terminale a Brindisi e poi uno a Monfalcone, ma né l' uno né l' altro sono stati realizzati. Ora Porto Empedocle è alle battute finali del processo autorizzativo e quindi ci muoviamo per trovare il resto di gas che ci serve per alimentarlo», spiega Mancini. Con una capacità di rigassificazione da 8 miliardi di metri cubi l' anno, di cui 1,6 da lasciare liberi all' accesso di terzi e 3,5 già forniti dalla Nigeria, ne restano da trovare altri 3. Sono questi, nell' immediato, l' oggetto della trattativa con gli egiziani. Ma lo sbarco dell' Enel nell' upstream fa parte di una strategia di ben più vasta portata. Strategia incentrata soprattutto sulla Russia, primo player mondiale nella hit parade del gas, dove l' ex monopolista italiano quest' estate ha messo le mani sulle riserve di Yukos nella penisola siberiana di Yamal, messe all' asta dal Cremlino. «Le riserve di gas stimate in questa zona artica della Siberia ammontano a 5 miliardi di barili: al momento attuale ne controlliamo il 40%, il restante 60% è dell' Eni, ma nel giro di due anni entrerà Gazprom al 50%, noi scenderemo al 20 e l' Eni al 30%», precisa Mancini. Tradotto in pratica, si tratta comunque di 1 miliardo di barili equivalenti di petrolio. «Nessuna utility nostra concorrente - fa notare Mancini - possiede riserve di questa portata: neanche Gdf arriva al miliardo, Rwe e Centrica non superano i 500 milioni, EdF si ferma a 200. Solo Eon, con gli asset Ruhrgas in Russia, si muove in un ambito paragonabile. Ma noi vogliamo crescere ancora».


12 luglio 2011

La bolletta energetica ci costa quanto la manovra nel 2011

La bolletta energetica degli italiani è la più alta d'Europa, ha detto il nuovo presidente dell'Authority, Guido Bortoni, nella sua prima relazione in Parlamento. Ma anche la bolletta energetica che l'Italia paga ai suoi fornitori esteri svetta in cima alle classifiche. Negli ultimi 12 mesi è arrivata a 76 miliardi, in crescita del 39% rispetto ai 12 mesi precedenti: una cifra equivalente a quasi 5 punti di Pil, pari all'intero costo annuale del servizio del debito, ai livelli attuali. E' la cavalcata dei prezzi delle materie prime che spinge verso l'alto questa cifra. Se analizziamo la composizione delle importazioni, risulta evidente che la crescita dell'import è quasi completamente determinata dall'incremento dei prezzi: negli ultimi dodici mesi i valori medi unitari sono saliti del 29,2% e i volumi importati di un modesto 1,5%. Nella pratica, la bolletta energetica pagata dall'Italia ai suoi fornitori esteri è cresciuta di 238 euro per abitante negli ultimi 12 mesi, arrivando a pesare per 960 euro su ogni cittadino, quanto l'ultima manovra. E non è finita qui. "Il 2011 porterà, con molta probabilità, allo sfondamento di quota mille euro per abitante", precisa Enrico Quintavalle, responsabile dell'ufficio studi di Confartigianato.

Il costo altissimo della bolletta energetica e la sua estrema volatilità, strettamente connessa con le quotazioni petrolifere, è uno dei grandi problemi strutturali dell'Italia: la causa va ricercata nel grave squilibrio del nostro sistema elettrico a favore del gas, una materia prima ancora molto legata al caro-greggio. Da decenni ormai in Italia si costruiscono quasi solo centrali a gas. Di conseguenza, il 52% della nostra energia elettrica è prodotto bruciando metano, contro il 5% della Francia, il 13% della Germania e il 23% dell'Ue a 27. Ma in Italia c'è pochissimo gas da estrarre. Questo dato si riflette nell'alto grado di dipendenza dall'import dell'intero sistema energetico italiano, con un valore prossimo all'85%. E' il livello più alto fra i Paesi industrializzati, con ricadute sia sui prezzi interni che sulla sicurezza di approvvigionamento. E risente della quasi totale inefficacia delle politiche volte a ridurlo. "A differenza degli altri Paesi industrializzati, dove le politiche avviate immediatamente dopo le crisi petrolifere degli anni '70 portarono a riduzioni della dipendenza, soprattutto grazie al nucleare, in Italia invece si è addirittura assistito a un leggero aumento. Grazie al maggiore ruolo delle rinnovabili è possibile ipotizzare, nella migliore delle condizioni, una riduzione degli attuali livelli verso l'81% di dipendenza nel 2030, livello che resterà però sempre il più alto fra i Paesi industrializzati", spiega Davide Tabarelli di Nomisma Energia.

Per i prezzi interni dell'energia elettrica, quindi, non ci sono grandi calmieri in vista. E l'aumento dei consumi è destinato a spingerli verso l'alto. Con i primi caldi e i condizionatori a manetta, l'energia venduta in Borsa elettrica ha superato, di media, i 73 euro a megawattora nella prima settimana di luglio: 26 euro più della Francia, che pure in questo periodo soffre della crisi del nucleare in Germania e viaggia su medie maggiorate del 10% rispetto al solito. In prospettiva, le previsioni di Nomisma Energia parlano di un aumento dei prezzi di Borsa che sfiora il 40% da qui al 2030, fino a una media di oltre 100 euro a megawattora. Per le imprese e le famiglie questo si tradurrà in tariffe di oltre 200 euro a megawattora, contro i 150 di oggi, aggiungendo il trasporto dell'energia, le imposte e gli oneri di sistema.

"Una vera liberalizzazione del mercato del gas sarebbe lo strumento migliore per contrastare i prezzi alti dell'elettricità", conferma Tabarelli. Ma bisognerebbe scorporare la rete Snam dall'Eni e introdurre maggiore flessibilità nelle forniture. Per ora, il nostro gas arriva quasi tutto attraverso quattro tubi, dal Mare del Nord, dalla Russia, dall'Algeria e dalla Libia: basta che ne venga a mancare uno, come sta succedendo oggi con il blocco del gasdotto libico Greenstream, per far vacillare l'equilibrio del sistema. I dieci impianti di rigassificazione, in progetto da anni, avanzano a passo di lumaca e così non siamo in grado di approfittare dei prezzi scontati del gas non convenzionale, che arriva via nave. Per di più, rischiamo sempre di rimanere al buio, come nella crisi del gas del 2006 fra Russia e Ucraina. Oggi ride Alexei Miller: nel primo trimestre 2011 le forniture di gas russo all'Italia sono aumentate del 44%, a 4,78 miliardi di metri cubi, contro i 3,3 dell'anno scorso. Ma domani, se Mosca avesse di nuovo da ridire con Kiev, potremmo piangere noi.


11 luglio 2011

Turbine aeronautiche per la nuova frontiera del gas

Il futuro è delle tecnologie ibride. In una prospettiva di crescita esponenziale dei consumi elettrici, almeno finché tre miliardi di asiatici non avranno raggiunto livelli di vita più simili ai nostri, sarà difficile fare completamente a meno delle fonti fossili. Ma la costruzione di un futuro sostenibile passa attraverso la crescente integrazione tra fonti fossili e fonti rinnovabili, per definizione discontinue. A questa esigenza risponde il nuovo impianto a ciclo combinato di General Electric, chiamato FlexEfficiency 50, una tecnologia a gas capace di raggiungere livelli altissimi di flessibilità, grazie all'utilizzo di turbine e leghe aeronautiche, molto più adatte alle variazioni di potenza necessarie a compensare l'incostanza tipica della produzione elettrica da fonti rinnovabili.
"Le nostre nuove turbine funzionano come quelle di un aereo, che naturalmente per partire e atterrare devono reagire molto più rapidamente delle normali turbine da produzione elettrica", spiega Steve Bolze, presidente e amministratore delegato di GE Power and Water. "Le centrali a gas di oggi non sopportano frequenti riduzioni o aumenti della domanda: sono state costruite per funzionare a una potenza costante, in un'epoca dove le fonti rinnovabili non erano ancora così diffuse, e se si accendono e spengono continuamente, alla fine si spaccano", fa notare Bolze. Ma quando il vento cala, quando il sole tramonta, oggi gli impianti alimentati da fonti fossili devono essere in grado di compensare rapidamente le variazioni, altrimenti si rischiano danni gravi sulla rete. Stesso problema nel caso contrario: un turbine di vento improvviso può creare sovraccarichi tali da far saltare la rete se le altre centrali non abbassano rapidamente il fuoco, soprattutto nei Paesi nordici che vanno molto a eolico, come in Danimarca, dove il vento fornisce il 20% della produzione elettrica nazionale. Da qui nasce la nuova centrale a risposta rapida di GE, in grado di eseguire il ramp-up a una velocità di oltre 50 megawatt al minuto, il doppio rispetto ai benchmark di settore.
Nel contempo la tecnologia FlexEfficiency, in cui General Electric ha investito 500 milioni di dollari, è estremamente efficiente, oltre il numero magico del 60%, il sacro Graal dei cicli combinati. "E in prospettiva - precisa Bolze - l'efficienza di una centrale come questa potrà superare anche il 70%, se accoppiata a un impianto solare a concentrazione, la fonte rinnovabile con cui si sposa meglio e di cui potrebbe diventare il partner privilegiato in tutti i grandi progetti europei, come Desertec". L'efficienza, già oggi al 61%, sarà l'aspetto più attraente per gli operatori elettrici, che in un impianto medio da 510 megawatt come questo di solito non riescono a superare punte del 55%. Con la nuova tecnologia, quindi, potranno bruciare meno gas, a parità di produzione elettrica. "L'innovazione introdotta può avere effetti considerevoli sulle emissioni di CO2, offrendo un approccio snello e ottimale anche sul fronte dei costi per aiutare i Paesi europei a raggiungere gli obiettivi energetici 20-20-20", ha sottolineato Ricardo Cordoba, presidente di GE Energy per l'Europa Occidentale e il Nord Africa.
La centrale è il primo prodotto del nuovo portafoglio GE FlexEfficiency e fa parte del progetto Ecomagination, concepito dal colosso americano per mettere a punto tecnologie innovative in ambito energetico attraverso investimenti in ricerca e sviluppo. "Per anni abbiamo lavorato allo sviluppo di una tecnologia che riuscisse da un lato a garantire livelli di efficienza rivoluzionari e dall'altro a vincere le sfide alla stabilità della rete provocate dall'eolico e dal solare. Oggi, la definizione e l'imposizione di nuovi standard per le emissioni da parte di diversi Paesi genera a maggior ragione l'irrinunciabile bisogno di un mix tra efficienza e flessibilità", ha spiegato Paul Browning, vice presidente per il settore termoelettrico.
Il lancio fa seguito ai recenti annunci di GE relativi alla turbina eolica più efficiente al mondo, ai massimi livelli di efficienza registrati nel segmento del solare a film sottile e alle acquisizioni per 11 miliardi di dollari che rafforzano l'offerta nei settori del gas naturale e della trasmissione di energia.

8 luglio 2011

A Catania la rivoluzione del solare di seconda generazione

La rivoluzione del solare di seconda generazione parte da Osaka e passa per la Sicilia. La produzione di massa di pannelli a film sottile è sbarcata a Catania grazie a una joint venture chiamata 3Sun fra Sharp, che mette la tecnologia, Enel, che mette il mercato, e StMicroelectronics, che mette la fabbrica. Lo stabilimento inaugurato stamattina, che parte da 160 megawatt all'anno ma potrà espandersi fino a 1000 megawatt, è il gemello della fabbrica Sharp di Sakai, alla periferia della capitale commerciale del Giappone.
La tecnologia dei pannelli a film sottile multi-giunzione consiste in sottilissime pellicole di silicio disposte a strati su una base di vetro. In questo modo si riduce del 99% la quantità di silicio utilizzata rispetto ai pannelli a moduli cristallini, abbassando i costi per la materia prima e semplificando la fabbricazione. Oltre a questi fattori economici, vanno aggiunti vantaggi specifici della tecnologia thin-film rispetto al cristallino, derivanti dalle sue proprietà fisiche: cattura meglio la luce diffusa (caratteristica ancora più marcata nel caso di sofisticate tecnologie multi-giunzione, come quella impiegata nei moduli prodotti a Catania), rende meglio ad alte temperature e la sua performance si degrada di meno nel tempo. Per questo motivo la richiesta sul mercato di pannelli a film sottile è in costante crescita, soprattutto negli impianti su larga scala.
La Sharp si propone di usare l'impianto di Sakai come modello per gli altri da realizzare nel resto del mondo. Ma la rivoluzione non si ferma qui. "Non siamo solo alla ricerca di una maggiore efficienza di conversione e di un taglio dei costi, ma anche di nuove modalità di utilizzo, attraverso materiali più versatili", spiega Matthias Kauer di Sharp Laboratories of Europe, il centro di ricerca di Oxford del colosso giapponese, dove s'inventa il solare di domani. La sfida è superare lo standard dei pannelli solari sul tetto, allargando le applicazioni alle vetrate verticali, alle superfici calpestabili, alle stazioni di ricarica delle auto elettriche, alle barriere d'insonorizzazione delle autostrade, a tutte quelle aree inutilizzate che potremmo trasformare facilmente in centrali solari, con materiali leggeri, maneggevoli, robusti e stabili per l'esposizione a condizioni meteorologiche estreme.
"Un prodotto come il thin-film rappresenta un'ottima soluzione per le utenze industriali, che generalmente dispongono di ampie superfici su cui allestire impianti fotovoltaici, come i tetti degli stabilimenti produttivi o le aree destinate a parcheggio", precisa Ingmar Wilhelm, responsabile business development di Enel Green Power. "Il thin-film è meno efficiente del silicio cristallino, per cui non è adatto per chi ha uno spazio limitato, come il tetto di una casa. Ma ha una producibilità maggiore: produce più kilowattora da un kilowatt di potenza installata. Per cui è facile attendersi un incremento del suo utilizzo sulle grandi superfici nel prossimo futuro", prevede Wilhelm.