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23 agosto 2007

Africa, un cavo sottomarino contro la fame

Un’ora di connessione in un Internet Café di Nairobi può costare un mese di stipendio a un ragazzo kenyota. Per non parlare dell’utilizzo a livello di business: connettere un call-center con 25 postazioni costa 17mila dollari al mese in Kenya, contro i 6-900 richiesti in India. In Africa Orientale sono tutti d’accordo sul fatto che la banda larga porti sviluppo, ma è dal lontano 2003 che i vari progetti si trascinano da un veto politico all’altro. Ora, forse, siamo arrivati alla resa dei conti. Per ampliare l’offerta, fino ad oggi tutta basata sul cavo sottomarino SAT-3 che scende giù dalla penisola iberica lungo la costa atlantica fino al Sud Africa, bisogna posare altri 13mila chilometri di cavo sottomarino lungo la costa orientale, con diverse derivazioni, per collegare Sud Africa orientale, Madagascar, Mozambico, Tanzania, Kenya e India occidentale all’Europa, cui è destinato l’85% del traffico africano. Progetti per portare a termine l’impresa ce ne sono quattro o cinque, ma è chiaro che solo uno sopravviverà, quello capace di arrivare a destinazione prima degli altri. Quando la prima dorsale in fibra ottica sarà posata, il mercato - ora affamatissimo - verrà immediatamente modificato dalla nuova realtà. Il cavallo vincente sembrerebbe Seacom, l’ultimo arrivato: un consorzio fondato da una serie di manager di Sithe Global - un operatore energetico controllato all’80% da Blackstone - ma in cui il gruppo americano di private equity finora non ha messo un dollaro. Il management è supportato da investitori kenyoti, sudafricani ed europei che hanno cospicui interessi nel continente nero, con una serie di altri progetti in corso del valore di 5 miliardi di dollari. Seacom ha tentato di coinvolgere anche il governo di Nairobi, per ora senza successo. Il Kenya, infatti, partecipa già a due diversi progetti concorrenti. The East African Marine Cable System (Teams), che dovrebbe collegare il Kenya con gli Emirati Arabi Uniti seguendo in parte lo stesso itinerario del cavo di Seacom, è stato lanciato l’anno scorso. E’ a questo progetto che Seacom vorrebbe associarsi. L’Eastern African Submarine Cable System (Eassy), invece, è un consorzio concepito nel lontano 2003 all’East African Business Summit, che dovrebbe collegare i Paesi dell’Africa Orientale tra di loro, fermandosi al Sudan. Da lì in poi, bisognerebbe comprare capacità da altri operatori internazionali per connettersi all’Europa. Il cavo dovrebbe essere finanziato dai diversi operatori telefonici nazionali, ma questo modello non ha ancora trovato abbastanza sponsor disposti a imbarcarsi nell’impresa. Anche perché assomiglia molto al modello del SAT-3, che controlla la dorsale occidentale e consente l’acquisto di capacità solo a un singolo operatore per Paese, mantenendo quindi un sistema monopolistico, con evidenti conseguenze sui prezzi. Parallelamente a Eassy, è nato un consorzio formato dalla New Partnership for Africa’s Development (Nepad), che mira ad evitare il problema dei prezzi alti progettando la costruzione di un’infrastruttura faraonica, in mare e a terra, con finanziamenti pubblici. Ad oggi, il protocollo d’intesa sulla Nepad Broadband Infrastructure è stato firmato, ma non ratificato, solo da 12 dei 23 Paesi partecipanti al Nepad. Il Kenya non ha firmato. Ma intanto il Nepad combatte da anni una guerra sotterranea contro Eassy, con il risultato di rendere ancora più problematico ogni sforzo di cablaggio. A questo punto il vantaggio di Seacom sta tutto nella sua stabilità finanziaria e nel fatto di aver già sottoscritto per prima un contratto con Tyco, una delle uniche tre aziende a livello globale capaci di posare un cavo di questa portata con le loro navi super-attrezzate. Tyco assicura che il collegamento di Seacom sarà operativo dal primo trimestre del 2008, mentre Teams e Eassy parlano del dicembre 2008, ma nessuna delle due ha ancora firmato un contratto di appalto. Questo particolare può sembrare trascurabile, ma con la crescita precipitosa della domanda di fibra ottica sottomarina, ormai il mercato è dominato dai tre venditori: Alcatel, Nec e Tyco. Dallo scorso dicembre, infatti, sono in via di posa ben tre cavi sottomarini attraverso il Pacifico - due fra la Cina e gli Stati Uniti e uno di collegamento con l’Australia - e due dai Caraibi al Nord America. Di conseguenza, chi non ha già firmato un contratto con una delle tre compagnie, difficilmente vedrà la sua infrastruttura completata entro la fine del prossimo anno. Un buon motivo per non credere alle promesse dei due consorzi. E per aprire all’offerta di associarsi rivolta da Seacom al governo di Nairobi.