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31 dicembre 2010

Mobilità urbana: il futuro delle megalopoli si decide ora

Saremo 9 miliardi nel 2050, all'80% concentrati nelle città. Megalopoli come San Paolo, Il Cairo o Shanghai, su cui oggi gravitano dai 20 ai 50 milioni di abitanti, saranno sempre più dense e le campagne sempre più vuote. Il segreto della vivibilità in questo mondo diverso saranno le reti intelligenti: ferrovie interconnesse con reti urbane, alta tensione elettrica magliata per favorire la diffusione della generazione distribuita, banda larga sempre più capillare. Solo flussi scorrevoli di persone, energia e informazioni possono assicurare in prospettiva la sopravvivenza pacifica dell'umanità e del pianeta. Altrimenti l'una o l'altro rischiano di soccombere. Già oggi la mappa dell'Europa è un immenso reticolo, soprattutto a Nord delle Alpi. Ma i grandi corridoi infrastrutturali non servono solo a spostare individui e risorse. Consentono anche di mettere in moto l'innovazione.

"Progettare delle infrastrutture richiede di pensare alle necessità del Paese tra dieci o vent'anni e all'interno di questi binari, tracciati a livello nazionale o internazionale, è più facile sviluppare soluzioni innovative", commenta Edoardo Calia, che dirige i laboratori di ricerca torinesi dell'Istituto Superiore Mario Boella e ha progettato la rete informatica del Politecnico di Torino. Basta prendere ad esempio i progetti paneuropei delle grandi reti ferroviarie ad alta velocità o delle smart grid elettriche, necessarie alla crescita dell'eolico nel Mare del Nord, per capire come l'innovazione possa sposarsi alla sostenibilità e alla qualità della vita nelle opere di largo respiro. Ma anche nei progetti più contenuti di mobilità urbana, che devono essere integrati strategicamente con l'assetto complessivo del territorio.

"I sistemi di mobilità per il corpo urbano sono come il sistema circolatorio per il corpo umano: si possono avere i polmoni migliori del mondo o le ossa più robuste, ma senza la circolazione si blocca tutto. E così sta succedendo in tutte le metropoli del mondo, terribilmente inquinate da un traffico veicolare sempre bloccato. Da questa situazione potremo salvarci solo grazie a infrastrutture di mobilità ad alta tecnologia, capaci di allargare il perimetro delle metropoli includendo aree finora escluse dalla vita delle città", sostiene Fabio Casiroli, docente di Pianificazione dei Trasporti al Politecnico di Milano e fondatore di Systematica. Certo è che per allargare il perimetro di Milano alla Brianza e quello di Parigi all'Île-de-France, l'auto tradizionale non basta. Ci vuole un'idea innovativa. "L'idea di risolvere l'ultimo miglio della mobilità urbana con dei piccoli veicoli elettrici ormai si va affermando a macchia di leopardo in tutta Europa e oltre, grazie anche agli ultimi sviluppi nell'industria automobilistica", spiega Casiroli. Esperienze di questo tipo spuntano come funghi da Parigi a Parma, da Baltimora a San Francisco, da Oslo agli Emirati. "Nella strategia di mobilità della regione parigina, cui abbiamo partecipato, prima c'è stata la rivoluzione del bike-sharing e adesso stanno lanciando Autolib, con una flotta di 4000 auto elettriche: questa è la soluzione del futuro", afferma Casiroli.

"D'altra parte - fa notare Calia - per stimolare l'innovazione ci vogliono anche percorsi certi e una serie di condizioni che non sempre si realizzano, in particolare in Italia". Un esempio eclatante è la linea Torino-Lione, che lungi dallo stimolare l'innovazione, ha foraggiato solo la l'aggressività dei no-Tav: Mario Virano, presidente dell'Osservatorio sulla Torino-Lione, prevede scontri armati alla prima trivellazione esplorativa. E con l'incapacità di portare avanti il progetto nei tempi previsti si avvicina anche la prospettiva di perdere i 672 milioni di finanziamento europeo. Un altro esempio è Industria 2015, quella che negli ultimi anni è stata l'iniziativa governativa più significativa per legare lo sviluppo delle infrastrutture all'innovazione, ma i cui fondi sono erogati con il contagocce, tanto che molte delle oltre 140 imprese vincitrici dei bandi hanno dovuto fermarsi. "E anche se gli strumenti di finanziamento avessero funzionato, resta comunque un problema sviluppare con quel sistema burocratico interventi realmente innovativi: all'interno dei consorzi di 40 o 50 partner che si sono formati, ognuno cerca di far emergere la propria soluzione su quelle degli altri, invece di mettere le competenze a fattor comune per creare qualcosa di veramente nuovo", analizza Calia. Il sistema, mirato al sostegno dell'innovazione, fallisce così per carenza di leadership e coordinamento.

Coordinamento è una parola importante in questo quadro di sviluppo, dove l'integrazione fra le varie reti sempre più intelligenti sarà d'obbligo. Guardiamo il caso del Biglietto Integrato Piemonte. Da anni la Regione sta tentando un coordinamento fra decine di società di trasporto pubblico, per dare all'utente una comodità importante: un biglietto unico per tutti i mezzi che prende sul territorio piemontese. E' chiaro che per centrare l'obiettivo bisognerebbe introdurre una tessera elettronica, attrezzare tutti i bus con dei lettori, ma soprattutto coordinare i flussi di cassa. Sarebbe un importante passo avanti tecnologico, oltre che di qualità della vita, per i piemontesi. Sono comodità che già esistono altrove, non occorre neanche andare tanto distante: il Canton Ticino, ad esempio, offre un servizio analogo a tutti i cittadini, la carta Arcobaleno. Con un piccolo particolare in più: nella carta Arcobaleno sono incluse anche le ferrovie, che ormai, anche fisicamente, hanno assunto l'aspetto gentile di una grande metropolitana del cantone. In Piemonte, invece, non se ne parla nemmeno. Includere il mastodonte ferroviario in un progetto a favore dei pendolari sarebbe davvero un'utopia. E malgrado gli sforzi della Regione, per adesso il sistema funziona solo in provincia di Cuneo e su alcune linee delle province di Asti e di Torino.


30 dicembre 2010

Natale amaro per l'eolico: i nuovi incentivi aprono le porte alla mafia

Un bel regalo di Natale per il settore dell'energia rinnovabile. Il consiglio dei ministri ha approvato in corner lo schema del decreto che dovrebbe dare attuazione alla direttiva europea sulla promozione delle fonti pulite per raggiungere gli obiettivi 20-20-20. Lo schema elimina con un tratto di penna il sistema dei certificati verdi e introduce una nuova tariffa incentivante, che nei termini previsti oggi getterebbe tutto il settore nelle mani della malavita organizzata: l'unica impresa in Italia che non ha bisogno delle banche per trovare liquidità da investire.

Per fortuna lo schema del decreto deve ancora affrontare un percorso complicato, rischiando come sempre di sforare i tempi di Bruxelles, per cui è probabile che vengano apposte delle modifiche in corso d'opera. Altrimenti, annunciano gli operatori eolici, il loro settore è destinato a morte certa. Ma anche gli operatori fotovoltaici criticano duramente il limite a 1 megawatt imposto agli impianti a terra nei terreni agricoli.

Il provvedimento è basato sul concetto del superamento dei certificati verdi a partire dal 1° gennaio 2013:. da quella data entra in vigore una tariffa onnicomprensiva, comunemente chiamata "feed-in tariff". Ma il sostegno statale sarà certo solo per gli impianti di piccola taglia, fino a 5 megawatt, mentre per gli altri sarà utilizzato un sistema di aste competitive al ribasso, nell'ambito del quale a ottenere gli incentivi saranno solo gli impianti che chiederanno al governo incentivi più leggeri. Gli impianti realizzati prima del 2013, infine, dovrebbero passare attraverso un regime transitorio tra il 2011 e il 2015, in cui potranno continuare a ricevere il vecchio incentivo, ma decurtato del 30% rispetto al prezzo fissato nel 2007. Dal 2015 in poi, tutti gli impianti dovrebbero passare al nuovo sistema, con dei parametri da decidere allora.

"Immaginiamoci quindi un parco eolico costruito nel 2004 o 2005", commenta Simone Togni dell'Associazione Nazionale Energia del Vento. "A quel tempo l'incentivazione, composta dal valore dei certificati verdi più il valore dell'energia venduta sul mercato, dava un'aspettativa di remunerazione a 230 euro per megawattora. Ed è su quella cifra che sono stati richiesti i finanziamenti alle banche, ritenendo che sarebbe rimasta costante. Nel 2007 è stato introdotto un tetto degli incentivi a 180 euro e quindi c'è stata la prima riduzione. Da allora ad oggi, il valore dei certificati verdi è stato fatto scendere circa del 10% all'anno, arrivando all'attuale incentivo di 147 euro complessivi, una cifra con cui, tolti 40 euro di costi a megawattora, le banche non recuperano il loro finanziamento, per cui già oggi molti campi eolici sono tecnicamente in default. Poi arriva il nuovo decreto legislativo e taglia via ancora una fetta, riducendo l'incentivo del 30% rispetto ai valori del 2007, così si arriva a 138 euro. Infine, nel 2015, lo stesso impianto entra nel nuovo sistema, con dei parametri che verranno decisi allora, ma probabilmente ancora più penalizzanti. In dieci anni, quante volte sono state cambiate le carte in tavola?"

La domanda di Togni, a questo punto, se la stanno ponendo tutti gli operatori eolici, meditando di cambiare mestiere. Ma se loro cambiano mestiere, commenta Togni, ci sarà sempre qualcun altro che avrà sufficiente liquidità per inserirsi nel business al posto loro: la criminalità organizzata. In altre parole: rendendo l'eolico non bancabile, lo si affida direttamente nelle mani della mafia, che come noto ha il problema di riciclare denaro sporco, non di chiedere finanziamenti alle banche.

Resta il fatto che l'Italia, di qui al 2020, deve ottemperare agli obblighi europei sulle fonti rinnovabili, che prevedono una quota del 28% di fonti verdi sul fabbisogno elettrico nazionale, da soddisfare in larga misura con l'eolico, la fonte pulita più potente. Il decreto legislativo in questione dovrebbe appunto servire a questo. Ma con lo schema passato in consiglio dei ministri, l'obiettivo di 16mila megawatt eolici installati non verrà mai raggiunto e si rischia d'incorrere nelle sanzioni di Bruxelles. "Fino a giugno di quest'anno eravamo circa nei tempi previsti, con una crescita costante che durava da una decina d'anni e ci ha portato ottimi risultati, con 5.000 megawatt di campi eolici e quasi 25mila occupati nel settore. Ma ora si è fermato tutto e non riusciremo a raggiungere i 6000 megawatt previsti per fine anno, né a crescere ulteriormente l'anno prossimo su queste basi", constata Togni. In pratica, gli operatori del settore non riescono più ottenere finanziamenti se la remunerazione cala al di sotto dei 160 euro a megawattora. Tutto quello che chiedono è avere una certezza di lungo periodo che l'incentivo non scenderà sotto quel livello. Altrimenti in Italia non si tirerà più su una pala pulita.


27 dicembre 2010

Via al progetto marocchino nel solare termodinamico: anche Enel in lizza

Il Marocco avanza sulla strada del solare termodinamico, per il consumo locale ma anche per esportare energia pulita in Europa, via Spagna. La Moroccan Agency for Solar Energy ha prequalificato quattro consorzi nella gara per il progetto di Ouarzazate, fra cui anche Enel, in cordata con la spagnola Acs. Il maxi-impianto solare cilindro-parabolico da 500 megawatt dovrebbe entrare in funzione nel 2015 nel centro del Paese maghrebino.

Oltre a Enel-Acs, sono stati prequalificati altri tre consorzi: Abeinsa Ici, Abengoa Solar, Mitsui e Abu Dhabi Nec; International Company for Water and Power (Acwa), Aries IS e Tsk EE; e Orascom CI, Solar Millenium e Evonik Steag. Alla gara avevano presentato manifestazione d’interesse 19 consorzi.

Un nuovo slancio per il progetto marocchino è arrivato a fine novembre con il via libera della Banca europea per gli investimenti all’erogazione di un prestito di 500 milioni di euro per cofinanziare l’impianto.

L’area individuata, una superficie di circa 3.300 ettari, è considerata ottimale non solo per l’elevato irraggiamento solare, ma anche per la vicinanza di linee di trasmissione ad alta tensione e della diga di Mansour Eddahbi, che garantisce le risorse idriche necessarie per il funzionamento della centrale.

Le autorità marocchine scommettono su una forte domanda di energia pulita dall'Europa nei prossimi anni, attraverso il progetto Desertec, per cui hanno già raddoppiato a 400 megawatt la linea d'interconnessione con la Spagna.


23 dicembre 2010

La rivoluzione dell'auto elettrica parte da Parigi

Il calcio d'inizio lo daranno i parigini. Dopo il Vélib, parte l'operazione Autolib, con tremila auto elettriche sparse su 700 stazioni in città più altre 900 in 41 comuni della cintura urbana. La prima operazione di carsharing elettrico di massa - uno dei punti centrali del programma elettorale del sindaco Bertrand Delanoë - partirà in settembre con un investimento di 110 milioni di euro. Le macchine le metterà Vincent Bolloré, che ha vinto l'appalto grazie al grande impegno profuso nell'innovativa BlueCar, il prototipo concepito da Pininfarina e presentato all'ultimo Salone di Parigi. Ma a produrle non sarà Pininfarina, che si è tirata fuori dall'avventura per le note difficoltà economiche dell'azienda: usciranno dalle linee della Cecomp di Giovanni Forneris. L' investimento di Bolloré è di 60 milioni di euro, per un giro d'affari che il Comune di Parigi stima in un miliardo di euro lungo i 12 anni della concessione del servizio, in base a una previsione di 200mila abbonati. Bolloré dovrà fornire 800 addetti ai parcheggi, che saranno a disposizione della clientela dalle otto del mattino alle otto di sera e come uniche entrate avrà gli abbonamenti mensili di 12 euro e il noleggio. 

Ma la rivoluzione dell'auto elettrica, che dall'anno prossimo si presenterà ai nastri di partenza in molte versioni diverse, schierate da quasi tutte le case automobilistiche europee (tranne la Fiat), non porta solo una tecnologia nuova sulle nostre strade. Si tratta di una concezione completamente diversa dell'utilizzo dell'auto. Nata come uno strumento di libertà assoluta per eccellenza, lanciato on the road senza la minima costrizione, oggi l'automobile sta cambiando pelle e l'avvento dell'elettrico, con tutti i suoi vantaggi e le sue limitazioni, concorre a questa nuova visione. Imbrigliata nelle reti dell'infomobilità, l'auto diventa sempre più uno dei tasselli che vanno a comporre il grande puzzle dei flussi di persone in movimento, un tassello adatto soprattutto per coprire l'"ultimo miglio", quel famoso tratto di raccordo fra i mezzi di lunga percorrenza su rotaia e le case o gli uffici di tutti noi, che spesso non si può fare a piedi o in bicicletta.

Il cambiamento risponde a un problema oggettivo: la densità. Nel 2050, in un mondo di 9 miliardi di abitanti, all'80% concentrato nelle città, non si potrà fare altrimenti. Ma già oggi, ogni anno 400mila europei acquistano una seconda macchina solo per usarla in città. Per questi spostamenti, una piccola auto elettrica è la risposta giusta: molto più efficiente del motore a combustione interna, meno inquinante e più economica da alimentare. Alla lunga, dalle città dovranno essere bandite tutte le altre auto: troppo grandi e troppo inquinanti per intasare i centri urbani. Chi viene da fuori dovrà avere a disposizione mezzi su rotaia efficienti, con stazioni di car sharing elettriche a ogni fermata, come sta succedendo a Parigi. Altrimenti finiremo per soffocare nei nostri stessi gas di scarico. E di rimanere eternamente imbottigliati in giganteschi ingorghi.


19 dicembre 2010

I tabelloni luminosi auguravano "buon viaggio": alla faccia dell'infomobilità

Li hanno fatti entrare e poi hanno chiuso tutte le uscite: nella notte del blocco, tra venerdì 17 e sabato 18 dicembre, dei 25 caselli nel tratto toscano dell'Autosole, 19 erano chiusi. Un'immensa prigione a cielo aperto, con temperature sotto zero. Ma sui tabelloni luminosi che ci accompagnano a una densità imbarazzante nei nostri viaggi in autostrada c'era scritto solo "buon viaggio", "allacciate le cinture di sicurezza" e le solite palle. Non uno che prima o dopo il tratto del blocco, avvertisse gli automobilisti di uscire appena possibile dall'autostrada se non volevano restare imbottigliati. Non un'indicazione sulle uscite già sprangate. Alla faccia dell'infomobilità!

Per non parlare di Isoradio, il canale della Rai sulla viabilità, che raccontava di "code a tratti" da ordinaria amministrazione anche dopo ore dall'inizio del blocco totale dell'Autosole tra Incisa, Firenze Sud e Firenze Certosa e dell'A12 tra Rosignano e Collesalvetti, in provincia di Livorno. Non stupisce, dato il modo in cui Isoradio raccoglie le sue informazioni: non in presa diretta ma attraverso gli enti preposti - Anas, Autostrade, Aci, Cciss Viaggiare Informati ecc - che a loro volta dormivano placidamente mentre gli automobilisti erano già in trappola da ore. Nel sito Internet del Cciss Viaggiare Informati, ancora ieri sera l'ultimo aggiornamento del taccuino meteo traffico risaliva al 20 giugno. Dire che l'emergenza non è stata presa abbastanza sul serio sarebbe un eufemismo.

Inutile sperare nel Gps per evitare questi disastri: quando le informazioni mancano da tutte le altre fonti, nemmeno gli automobilisti più efficienti si fidano di seguire il navigatore. Chi lo avesse fatto, vendendo da Sud, sarebbe uscito ad Arezzo, prima di entrare nell'area del blocco, come molti navigatori consigliavano. Ma gli utenti hanno creduto perloppiù ad una svista del Gps, visto che i tabelloni non avvertivano delle uscite chiuse. Chi ha deciso di uscire dopo Arezzo, vedendo i Tir che slittavano pericolosamente, ha trovato già chiuso il casello di Valdarno e quindi ha dovuto proseguire verso Incisa, pensando di uscire allo svincolo successivo, ma era già in prigione e non lo sapeva ancora: 3 chilometri prima di Incisa cominciava il maxi-ingorgo, dov'era destinato a restare fermo 18 ore. Tutto per 20 centimetri di neve. 


17 dicembre 2010

Reti smart verso i Balcani e verso Nord: l'Europa si allarga

Il via al ponte elettrico per collegare l'Italia con l'area strategica dei Balcani e l'accordo per la super-rete del Mare del Nord sono solo i primi segnali. Le interconnessioni sottomarine e le smart grid si annunciano come la nuova frontiera per un settore industriale, quello delle reti, in rapida crescita. E l'Italia, con la posa del primo cavo di Terna che unisce la Sardegna al continente e 32 milioni di contatori elettronici installati dall'Enel sul territorio, è già all'avanguardia. L'Unione Europea punta a trasformare in smart grid il 50% delle reti europee al 2020 e il 100% al 2030, con un investimento complessivo di 120 miliardi di euro: dei 2 miliardi appena stanziati dall'Ue, un terzo andrà all'Italia.

Il programma è indispensabile per affrontare la crescita prevista di energia elettrica da fonti rinnovabili. "Le reti intelligenti sono un progetto irrinunciabile", ha detto il presidente dell'Authority Alessandro Ortis allo Smart Grid International Forum, organizzato a Roma dal Gruppo Italia Energia. Alle centrali di grande taglia alimentate da combustibili fossili, infatti, si sta affiancando in questi anni una miriade di piccoli impianti da fonti rinnovabili, che producono corrente in modo discontinuo, solo quando soffia il vento o splende il sole, e non si costruiscono vicini alla domanda, ma dove ci sono le risorse, spesso in zone remote, le più ventose nel Mare del Nord o le meglio soleggiate nel deserto del Sahara. Ma la rete elettrica oggi ha una struttura a stella e a senso unico: dalle centrali elettriche a produzione costante e programmabile partono, come bracci, le linee di alta tensione verso i consumatori. Una smart grid, invece, è una rete con molti snodi e una serie di tecnologie intelligenti, capaci di bilanciare e ridistribuire i flussi di produzione delle diverse fonti, compensando automaticamente gli sbalzi dovuti a una nottata particolarmente ventosa o a una giornata splendente, che possono mandare le vecchie reti in sovratensione, con conseguenti blackout.

La partita industriale è già cominciata, con la nascita del consorzio europeo Friends of the Supergrid, cui ha aderito anche l'italiana Prysmian (ex Pirelli Cavi), specializzata nei grandi cavi elettrici sottomarini e attualmente impegnata nel takeover dell'olandese Draka, con cui andrebbe a formare il leader mondiale del settore, a quasi 6 miliardi di fatturato complessivo. Non a caso il 65% del margine operativo lordo 2009 della società guidata da Valerio Battista è venuto dal settore dei cavi tecnologici e la trasmissione di energia assicura un portafoglio ordini da un miliardo di euro. Prysmian è anche coinvolta nello studio del progetto Transgreen, la rete d'interconnessioni sottomarine che servirà a collegare all'Europa il grande parco solare progettato in Nord Africa dal consorzio Desertec.

Ma non è certo l'unica azienda italiana ad approfittare della crescita del settore. Enel, che investe un miliardo l'anno nelle reti, è protagonista nelle smart grid con i suoi 32 milioni di contatori intelligenti e la gestione dell'85% delle reti cittadine. La divisione reti dell'ex monopolista, guidata da Livio Gallo (presidente dell'European Distribution Systems Operators), è capofila del progetto europeo sulle smart grid ed è appena sbarcata in Corea per sviluppare con l'operatore Kepco la trasformazione dei sistemi coreani di distribuzione dell'energia, con particolare attenzione all'utilizzo dell'eletrricità nei trasporti. Su questo fronte, Enel sta già installando le prime colonnine per la ricarica delle auto elettriche in diverse città italiane, da Milano a Brescia, da Bologna a Reggio Emilia, da Firenze a Pisa, che costituiranno una parte integrante delle reti distributive del futuro. E ha firmato una convenzione con il ministero dello Sviluppo Economico per un programma triennale da 77 milioni incentrato sull'istallazione di cabine elettriche di nuova generazione nella rete a media tensione, in alcune aree pilota del Sud. Il passo successivo è arrivare anche alla bassa tensione intelligente, cioè alla piccola produzione da rinnovabili distribuite sui tetti delle case, con gli stessi metodi di controllo e di previsione che oggi si stanno sviluppando sulla media tensione.

Sull'alta tensione, invece, il sistema di comunicazione e di controllo interno è già attivo da qualche anno. Qui è Terna, responsabile dell'infrastruttura nazionale primaria, che sta lavorando perché la rete italiana si evolva di pari passo con il sistema elettrico ed è in prima linea nello sviluppo delle interconnessioni sottomarine, come quella che sta per realizzare verso il Montenegro. "Solo nel 2008 – ha fatto notare il presidente di Confindustria Anie Guidalberto Guidi al forum di Roma - a livello mondiale sono stati fatti investimenti complessivi sulle reti di trasmissione e distribuzione superiori ai 90 miliardi di dollari". E sono investimenti destinati a crescere.


13 dicembre 2010

Davide e Golia: lotta impari fra i privati e Trenitalia

I treni rossi e gialli di Arenaways sulla tratta Milano-Torino e quelli della Deutsche Bahn sulla Milano-Monaco, Bologna-Monaco e Venezia-Monaco sono il primo tentativo di liberalizzazione delle ferrovie, in attesa della Ntv di Montezemolo e Della Valle, che partirà l'anno prossimo. Due tentativi limitati, lanciati soprattutto ad uso e consumo del traffico pendolari, ma Trenitalia non risparmia i colpi. I vettori privati sono sostanzialmente dei treni fantasma: non è possibile sapere da che binario partano, non si possono comprare i biglietti e non vengono inclusi negli orari. Ma soprattutto, non possono fare fermate intermedie. L’Ufficio per la regolazione del traffico ferroviario, infatti, ha accolto le obiezioni avanzate dal monopolista. Ma le reazioni delle due Regioni coinvolte sono state antitetiche: mentre il Piemonte ha subito dato ragione a Trenitalia, tarpando le ali ad Arenaways, il Trentino Alto Adige ha spalleggiato la Deutsche Bahn, che a forza di ricorsi è riuscita a far sospendere il provvedimento per tre mesi.

Per i nuovi entranti si tratta di una limitazione non da poco: proprio il servizio locale doveva rappresentare il vero punto di forza della scommessa dell’imprenditore Giuseppe Arena, che aveva previsto un percorso ad anello per collegare in modo diretto località che attualmente non possono essere raggiunte senza cambiare, come Vercelli, Novara, Asti, Alessandria o Pavia. Ora invece i treni Arenaways possono solo funzionare da Intercity tra Milano e Torino. Anche per la Deutsche Bahn non avrebbe senso far viaggiare i suoi treni "blindati" da Milano a Monaco senza fermare a Brescia, Verona, Trento e Bolzano. Grazie a un ricorso al Tar e al deciso intervento di Trento, per questa tratta il provvedimento è stato sospeso, ma sulla Venezia-Monaco i treni tedeschi per ora devono viaggiare senza fermare a Padova e Vicenza. Arenaways, dal canto suo, ha fatto ricorso contro la decisione dell’Urfs all’Antitrust e alla Commissione Europea, ma senza il sostegno di Torino. Arena sperava di riuscire a far ragionare Trenitalia in tempo per l'entrata in vigore dell'orario invernale, partito ieri, ma non è stato così.

La vicenda dimostra che, malgrado le generiche direttive sulla liberalizzazione del mercato dei trasporti su rotaia, chi desideri sfidare Trenitalia si trova a giocare una partita in condizioni impari che l'incumbent sfrutta fino in fondo per strangolare la concorrenza.

Ne sa qualcosa Ntv, la nuova società di Montezemolo e Della Valle, che con il suo Italo si propone di contendere dal 2011 il mercato dell’alta velocità. Giusto pochi giorni fa Montezemolo lamentava l’insostenibile situazione in cui le Ferrovie dello Stato sono al tempo stesso "l’arbitro e il concorrente". In effetti Ferrovie dello Stato controlla sia Trenitalia che la società Rete Ferroviaria Italiana, che gestisce l’infrastruttura. In tal modo è possibile per l’incumbent mettere a segno azioni ostruzionistiche ai danni del nuovo concorrente, che si è visto negare la possibilità di fare alcuni collaudi e di accedere a condizioni eque ad un centro di manutenzione per il periodo necessario all’omologazione dei propri veicoli. Ntv ha appena annunciato di essere pronta a investire anche nel settore del traffico pendolari. Sarà la volta buona per gli italiani di rimettersi in treno?


L'energia del sole galoppa: da 1 a 3 gigawatt in un anno

Continua la corsa del fotovoltaico in Italia, il Paese di Bengodi degli incentivi. Più che una corsa, un galoppo: in base agli ultimi dati, sembra che entro fine anno l'energia del sole avrà a disposizione ben 3 gigawatt di pannelli installati, contro 1 gigawatt di fine 2009. Triplicare la potenza in un anno è un risultato di non poco conto, che dimostra quanto facciano gola i sussidi governativi del conto energia, che gli italiani pagano in bolletta. Soprattuto ora che il governo di Madrid ha dimezzato gli incentivi spagnoli e Parigi ha bloccato con una moratoria quelli francesi fino a marzo, per eccesso di richieste. Qui, invece, il conto energia continua, seppure ridotto del 18-20% dal 1° gennaio.

Ma la corsa al solare italiano nel 2010 non sarà da attribuire al calo imminente degli incentivi? "Le previsioni, basate sugli investimenti già in corso, sono di aggiungere altri 2 gigawatt anche l'anno prossimo", risponde Valerio Natalizia, nuovo presidente del Gruppo Imprese Fotovoltaiche Italiane, che rappresenta 137 aziende del settore, con un giro d'affari di un miliardo e mezzo, equivalente al 75 per cento del mercato. Quindi non è solo il canto del cigno di un settore destinato a ridurre ben presto le sue aspettative. "Al contrario", conferma Natalizia, che è anche direttore generale della filiale italiana del primo produttore mondiale di inverter, Sma. "L'obiettivo italiano di 8 gigawatt al 2020 ci sembra molto modesto, tanto che l'avremo già raggiunto entro il 2014. E quindi chiediamo al governo di alzarlo almeno a 15 gigawatt".

Stesso scenario è tratteggiato anche da Gianni Chianetta, presidente di Assosolare e amministratore delegato di Bp Solar Italia. "Questo aumento rapido di volumi si registra anche a livello mandiale e determina un trend di decrescita del costo degli impianti", precisa Chianetta. Ma ci vorrà ancora una decina d'anni per raggiungere la grid parity, cioè il momento in cui un kilowattora generato da fotovoltaico sarà davvero competitivo con uno prodotto da fonti tradizionali. Nel frattempo, gli incentivi pagati in bolletta da tutti gli utenti elettrici continueranno a mettere la differenza. "Ma attenzione - fa notare Chianetta - da 15 anni gli italiani pagano in bolletta false rinnovabili che pesano per l'80% del prelievo complessivo". Chianetta si riferisce alle famose "fonti assimilate" della componente Cip6, che altro non sono che scarti di raffineria e simili, altamente inquinanti ma incentivati nello stesso calderone delle fonti verdi.

La rivoluzione solare, nel frattempo, sta portando in Italia tutti i big del settore. Sul fronte delle installazioni, il direttore per il fotovoltaico di E.on, Christophe Jurczak, ha annunciato una serie di progetti solari da 300 megawatt per l'Italia e la Francia, nella convinzione che questa fonte raggiungerà nel giro di 3 anni la stessa maturità dell'eolico. I primi 16 megawatt saranno completati in Italia entro metà 2011. La cinese Suntech, primo produttore di moduli fotovoltaici del mondo, ha scelto di installarsi in Italia con una sede ad Agrate Brianza da cui controllerà tutti i mercati del Sud Europa. La rivale cinese Upsolar ha aperto una sede a Treviso, guidata dal direttore generale Enrico Carniato, e ha già in cantiere un primo grande progetto da 7 megawatt ad Alessandria. Un altro competitor cinese, Yingli, ha aperto da poco una sede a Roma. "Crediamo fortemente nel notevole potenziale del mercato italiano, dove attualmente la richiesta di moduli Yingli è molto elevata", ha detto Liansheng Miao, numero uno di Yingli Green Energy. La portoghese Martifer Solar, che offre impianti solari chiavi in mano, è cresciuta a ritmi esponenziali da 8 dipendenti nel 2008 ai 60 attuali, con sede centrale a Milano. Il fondo olandese Ampere ha esordito nel fotovoltaico italiano con l'acquisizione di una quota di maggioranza in un portafoglio d'impianti a terra per 9,7 megawatt sviluppati da Winch Energy, che resterà socio di minoranza delle iniziative.

Si potenzia anche la filiera a monte. La fabbrica di pannelli più grande d'Italia è già in cantiere a Catania, grazie alla joint venture fra Enel, Sharp e StMicroelectronics, e dovrebbe cominciare nel 2011 la produzione di 160 megawatt di pannelli all'anno. E' stata avviata anche la terza linea di produzione di silicio destinato al fotovoltaico dello stabilimento Memc di Merano, con cui il gigante americano raddoppierà la capacità dell'impianto, con l'assunzione di altri 80 dipendenti. Nel triennio 2007-2010 il gruppo ha investito nello stabilimento di Merano 190 milioni di euro complessivi.


9 dicembre 2010

Un futuro senza petrolio? Per l'Europa bastano dieci anni

E' possibile un futuro senza petrolio? Un futuro in cui sulle strade circolino solo auto elettriche? In Europa non è fantascienza, bastano dieci anni. E' la previsione di Shai Agassi, guru israeliano delle reti di distribuzione per l'auto elettrica, che ieri ha lanciato la sua provocazione alla nona conferenza annuale di Stoa, il gruppo di lavoro del Parlamento europeo che si occupa della valutazione delle opzioni scientifiche e tecnologiche.

"L'Europa funzionerà senza petrolio in meno di 10 anni, tra il 2015 e il 2020, è inevitabile", ha assicurato Agassi, appena incluso da Foreign Policy nell'elenco dei cento pensatori più influenti al mondo. "Non cambieremo a causa del riscaldamento climatico, ma soltanto perché il petrolio diventerà troppo costoso". Da dieci dollari al barile di qualche anno fa il petrolio è salito ormai a 100 dollari e "se la Cina non smetterà di produrre macchine al ritmo attuale, aumenterà in pochi anni fino a 230 dollari al barile", ha detto Agassi. E a quel punto, sostiene Agassi, qualcosa andrà fatto di sicuro. La Cina lo ha già capito, dando il via agli investimenti nelle batterie per l'auto elettrica e se l'Europa non vuole restare indietro e perdere il suo ruolo di prima produttrice di macchine al mondo, questo è il momento di agire.

''I consumatori - afferma Agassi - adotterano le auto elettriche se queste costeranno quanto un'auto tradizionale, con un costo molto più basso per chilometro''. Il raggio d'azione limitato dei veicoli elettrici si può risolvere con una rete di distributori a ricarica rapida, dove si possa scambiare la batteria scarica con una carica. ''Il prezzo per costruire questa rete - ha sostenuto l'ad di Better Place, che sta applicando questo modello in Danimarca - su un qualsiasi territorio europeo è equivalente a sei giorni delle sue spese per la benzina''. Ora tocca ai legislatori europei attrezzarsi velocemente, perché la Cina è già pronta a prendere il sopravvento anche su questo fronte.


7 dicembre 2010

L'ombra delle frodi carosello sul mercato carbon italiano

Mentre a Cancùn non si va da nessuna parte, torna ad allungarsi l’ombra delle "frodi carosello" sui mercati carbon. Potrebbe essere questo il motivo alla base della sospensione della piattaforma di scambio dei diritti della CO2 sul mercato italiano. La decisione del Gestore dei Mercati Elettrici è stata presa in seguito agli andamenti anomali registrati nell'ultimo periodo. Nel giro di un anno, infatti, i volumi di scambio presenti sulla piattaforma italiana sono aumentati in maniera esponenziale: le Eua (crediti di carbonio) sono passate da qualche decina di migliaio di tonnellate di CO2 alla cifra record, registrata il 25 novembre, di oltre 3,2 milioni di tonnellate, scambiate a un prezzo medio ponderato di 14,86 €/ton CO2. Nello stesso giorno sulla Bluenext, società con sede a Parigi considerata una delle piazze con maggiore liquidità tra quelle di riferimento, venivano trattate 712.000 tonnellate a un prezzo medio ponderato di 15,19 €/ton CO2. La presenza di volumi così alti e di prezzi sotto quota rispetto agli altri mercati avrebbe potuto aprire a possibilità di arbitraggio da parte degli operatori. Nelle scorse settimane, l’anomalia era stata evidenziata anche da PointCarbon (Reuters): secondo i calcoli effettuati sui dati del 18 novembre, la discrepanza tra le due borse avrebbe potuto produrre oltre 800.000 € di profitti da arbitraggio. Il timore di frodi in atto, riapre un argomento di vitale importanza per il mercato europeo della CO2 legato alla necessità di armonizzazione del trattamento fiscale delle unità di emissione. Per evitare la possibilità di speculazione sull’aliquota alcuni Paesi europei (Francia, Spagna, Germania e Inghilterra) hanno deciso di rendere il trading della CO2 esente dall’Iva. La piattaforma del Gme, nonostante il boom degli ultimi mesi, resta comunque una borsa marginale, per cui non dovrebbero esserci conseguenze economiche. Ma il ripetersi dell’ennesimo episodio mette in luce una criticità sempre più difficile da sradicare dal sistema, che contribuisce ad aumentare le incertezze del mercato carbon.


4 dicembre 2010

Acqua all'arsenico? Un rischio che si poteva evitare

In tutto sono 1 milione gli italiani interessati dai valori fuori legge di arsenico, distribuiti tra Lombardia, Trentino Alto Adige, Toscana, Umbria e soprattutto Lazio, dove si trovano 91 dei 128 comuni con valori oltre i limiti Ue. Ma il Ministro della Salute Ferruccio Fazio stima in circa 100mila le persone "a cui potrebbe essere precluso da subito l'uso potabile dell'acqua distribuita a causa della presenza di valori di arsenico superiore a 20 microgrammi per litro". Gli altri 900mila cittadini, che bevono acqua con valori di arsenico fra 10 e 20 microgrammi al litro, potranno, almeno temporaneamente, continuare ad avvelenarsi. L'Unione Europea, infatti, ha detto "no" alla terza richiesta italiana di deroga dai livelli fissati da Bruxelles (pari a 10 microgrammi per litro) per i valori superiori ai 20 microgrammi, concedendo una proroga solo per i valori più bassi, tra 10 e 20 microgrammi. 

Ma dal 2001, quando sono entrati in vigore i limiti Ue, a oggi la presenza dell'arsenico nell'acqua si poteva facilmente evitare. Lo conferma Maurizio Pettine, direttore dell'Istituto di Ricerca sulle Acque del Consiglio Nazionale delle Ricerche. ''Da un punto di vista tecnologico non ci sono problemi a eliminare dall'acqua l'arsenico, che spesso è contenuto nel terreno per cause naturali. Gli acquedotti, nel caso non riuscissero miscelare l'acqua fuori norma con un'altra fonte più pura in modo da far rientrare i valori entro i limiti, potrebbero adoperare unità aggiuntive di trattamento già sperimentate e di facile utilizzo'', spiega Pettine.

L'arsenico è un elemento tossico che può comportare rischi per la salute umana fino ad indurre alterazioni cancerogene. Il rischio varia in funzione delle dosi assunte in relazione al peso corporeo e dei tempi di esposizione. ''L'Organizzazione mondiale della sanità suggerisce come dose tollerabile 2 microgrammi per chilo di peso corporeo", precisa Pettine. "Per cui, ad esempio, una persona di 70 chili che assuma 2 litri di acqua al giorno contenenti 50 microgrammi di arsenico per litro (5 volte in più del limite consentito), ingerirà complessivamente 100 microgrammi della sostanza, ovvero 1,4 microgrammi per chilo del proprio peso corporeo. Questa dose è inferiore a quella massima indicata, la quale però dovrebbe essere assicurata anche considerando un'ulteriore esposizione attraverso il cibo''.

Diverso il discorso per i più piccoli: ''Un bambino di 20 chili che beva 1 litro di acqua al giorno con 50 microgrammi di arsenico per litro, ne assumerà 2,5 microgrammi per ogni chilo del suo peso, superando così lo standard consigliato. Il rischio è più preoccupante, quindi, man mano che diminuisce il peso dell'individuo. Ovviamente i limiti imposti per le concentrazioni degli elementi tossici nell'acqua distribuita per il consumo umano devono essere tali da garantire le categorie di persone più vulnerabili''.


3 dicembre 2010

Via alla super-grid per l'eolico nel Mare del Nord

I rappresentanti dei dieci Paesi rivieraschi del Mare del Nord hanno firmato oggi a Bruxelles, alla presenza del commissario Ue all’Energia Gunther Oettinger, un memorandum d’intesa per l’avvio della North Sea Offshore Grid Iniziative, la super-rete elettrica per il trasporto dell’energia prodotta dagli impianti eolici offshore. Il memorandum segna l’avvio di un percorso che porterà alla semplificazione e armonizzazione degli iter autorizzativi necessari alla creazione di interconnessioni sottomarine estese su 760.000 kmq di mare. "La Commissione europea prevede l’installazione di 140 gigawatt eolici offshore: questo memorandum è un passo indispensabile per la creazione di una rete che svilupperà un mercato europeo dell’elettricità e permetterà il collegamento dei parchi alla rete", ha commentato il numero uno dell’associazione eolica europea Ewea, Christian Kjaer. La North Sea Offshore Grid Iniziative coinvolge Regno Unito, Irlanda, Svezia, Norvegia, Danimarca, Francia, Germania e i Paesi del Benelux.


30 novembre 2010

No Authority, no party

Senza Authority, niente tariffe dell'energia per 28 milioni di utenti. E il vertice dell'Autorità scade il 15 dicembre. Dopo che nel fine settimana Antonio Catricalà, presidente dell'Antitrust, ha fatto sapere di non essere disponibile a passare al posto di Alessandro Ortis, il consiglio dei ministri doveva decidere oggi il nuovo candidato. Invece, fumata nera. Le indiscrezioni riferivano di una proposta per la presidenza nelle persone di Guido Bortoni, capo dipartimento energia al ministero dello Sviluppo Economico e già designato come commissario per il nuovo collegio, oppure di Rocco Colicchio, attuale presidente del collegio dei revisori del regolatore. Nel caso in cui l’avesse spuntata Bortoni, al suo posto sarebbe potuto arrivare come commissario Massimo Beccarello, docente alla Bicocca e braccio destro di Emma Marcegaglia in materia di energia. Ma i ministri non si sono pronunciati. A questo punto occorre attendere la pronuncia del Consiglio di Stato sulla richiesta di parere urgente sulla "prorogatio", avanzata a suo tempo dal regolatore. L’udienza è fissata per il 7 dicembre. Intanto il tavolo della domanda di Confindustria esprime grande preoccupazione per la situazione che si è creata, come pure per il ricorrente tentativo di inserire nel collegio magistrati invece di tecnici del settore.

 


24 novembre 2010

Via libera al cavo Italia-Montenegro, prova generale di Desertec

Via libera al primo "ponte elettrico" sottomarino fra l'Europa e i Balcani, che collegherà il Montenegro all'Italia attraverso l'Adriatico per importare energia verde, perloppiù idroelettrica. Si prevede che l’investimento complessivo di Terna per il primo cavo, da 1.000 megawatt iniziali, ammonterà a 760 milioni di euro. L’investimento dell'operatore locale Cges per il collegamento e il rinforzo della rete esistente ammonterà a 100 milioni di euro.

L’accordo, firmato ieri, rappresenta il punto d’arrivo di un percorso di cooperazione industriale e si inserisce nel quadro delle intese intergovernative tra Italia e Montenegro, iniziate il 19 dicembre 2007 con il patto siglato dai ministri Bersani e Gvozdenovic. Ma rappresenta anche la prima prova generale delle linee sottomarine che potrebbero collegare la sponda Sud del Mediterraneo con l'Europa, ponendo l'Italia all'avanguardia nel grande progetto Desertec, di cui Terna fa parte.


23 novembre 2010

E' in rete il sole di Rovigo: record europeo sfida l'inondazione

Passo storico per il fotovoltaico italiano. E’ stato allacciato alla rete nazionale il parco di Rovigo, che con 72,6 megawatt è il più grande d’Europa. Il parco è stato realizzato dall'americana SunEdison, che lo ha venduto il mese scorso per 276 milioni di euro al fondo d’investimento First Reserve. “Il completamento dell’impianto in meno di un anno rappresenta una nuova pietra miliare all’interno del mercato fotovoltaico e in futuro diventerà lo standard per i maxi-progetti”, ha detto Carlos Domenech, Presidente di SunEdison. L'’impianto di Rovigo produrrà energia in quantità equivalente al fabbisogno di oltre 16.500 famiglie, con un risparmio annuo di quasi 40mila tonnellate di CO2, paragonabile all’eliminazione dalle strade di 8.000 automobili. 


21 novembre 2010

Termovalorizzatori contro discariche: 53 a mille

Monnezza per le strade a Napoli, a Palermo, presto anche a Roma. L'Italia sembra incapace di affrontare il problema rifiuti: con 33 milioni di tonnellate prodotte all'anno, oltre mezza tonnellata pro capite, siamo il terzo Paese europeo per dimensione del mercato, ma solo il 14% di questo combustibile viene sfruttato per il recupero energetico, mentre il 53% finisce in discarica.

Abbiamo 53 termovalorizzatori (contro 127 in Francia) e oltre mille discariche, in contrasto con la normativa comunitaria, che scoraggia le discariche, e con il buon senso di Paesi come la Germania, l'Austria, la Svezia e la Danimarca, che le hanno messe fuori legge. In questi Paesi, ma anche in Francia, Olanda e Belgio, il recupero energetico dei rifiuti nei termovalorizzatori varia dal 30 al 60%. Il resto è riciclo, che in Germania raggiunge il 65%. "Dato il valore economico del materiale che in Italia si butta via e l'insostenibilità ambientale del sistema delle discariche in un continente densamente popolato come il nostro, è naturale che gli altri si siano organizzati", rileva Vittorio Chiesa, direttore dell'Energy and Strategy Group del Politecnico di Milano. In Italia, la legge impone la raccolta differenziata al 50%, ma in realtà la media nazionale è sotto il 30.

"La valorizzazione del rifiuto oggi si aggira sui 70 euro a tonnellata e se si mette insieme al valore della raccolta, si raggiunge facilmente un giro d'affari da 15 miliardi di euro all'anno", precisa Davide Chiaroni, del team di Chiesa, che cura il rapporto annuale sul mercato delle biomasse, di cui i rifiuti urbani rappresentano una fetta importante. Un mercato, quello italiano, estremamente diversificato: si va dalla best practice lombarda, dove il recupero energetico supera il 47% e solo il 9% dei rifiuti urbani finisce in discarica, alla Sicilia che manda in discarica il cento per cento di quello che produce. Basta guardare su una mappa la distribuzione dei termovalorizzatori per capire che il Paese è spaccato a metà: ci sono solo sei impianti a Sud di Roma, che a sua volta si appoggia sulla discarica di Malagrotta, grande oltre dieci volte lo stadio Olimpico e vicina al limite di saturazione. Perché?

Semplice: le discariche sono un costo economico e ambientale per la comunità, ma rendono un botto ai loro proprietari. Per la precisione, 1 miliardo e 200 milioni di euro, calcolando una media di 70 euro a tonnellata per 17 milioni di tonnellate di rifiuti mandati in discarica ogni anno in Italia. A fronte di zero investimenti e costi di gestione molto modesti. Gli impianti di valorizzazione energetica dei rifiuti, invece, sono macchine complesse, che richiedono investimenti e know-how molto più elevati. Si prestano poco alle infiltrazioni della malavita organizzata. "D'altra parte un termovalorizzatore offre diversi vantaggi, oltre a quello ambientale, sia a chi lo costruisce che a chi lo ospita: rende bene, malgrado le recenti modifiche al sistema d'incentivazione dei Certificati Verdi, dà occupazione e misure di compensazione ai residenti", fa notare Chiaroni. Per non parlare del vantaggio economico per il sistema Paese. Alessandro Marangoni, professore della Bocconi, ha calcolato i costi del caso Napoli: 2.268 milioni di euro in dieci anni, confrontando la mala gestione campana con il modello virtuoso della Lombardia. 

E allora, perché da una decina d'anni in Italia non si costruisce più un termovalorizzatore? "Le municipalizzate con i bacini più grandi si sono mosse per prime, le altre dovrebbero coalizzarsi fra di loro per raggiungere un peso specifico sufficiente a rendere gli impianti remunerativi, ma non lo fanno. E poi gli investitori si spaventano per gli appalti poco chiari, le lungaggini amministrative e le proteste di piazza, senza contare le manovre della malavita". Il caso Sicilia è emblematico: la geografia e il volume di raccolta (2,7 milioni di tonnellate all'anno) ne farebbero un territorio molto appetibile, ma i ricorsi contro l'assegnazione dei 4 impianti previsti (3 a Falck e il quarto a Waste Italia) hanno bloccato il processo, provocando una sentenza della Corte di Giustizia Europea, che ha bocciato la scarsa pubblicità data ai bandi e il sistema delle concessioni invece degli appalti. La gara pubblica di assegnazione è stata quindi re-indetta l'anno scorso, ma è andata comprensibilmente deserta.


18 novembre 2010

Gilardoni: Iter semplificato per sbloccare le infrastrutture

La prognosi è riservata. Ma anche un Paese in coma può riprendersi, con gli strumenti giusti. "Per ripartire l'Italia deve prima di tutto riformulare i processi autorizzativi, che consentano scelte politiche più rapide e di miglior qualità". Questa è la ricetta di Andrea Gilardoni, professore della Bocconi e direttore dell'Osservatorio sui costi del non fare.

Cosa bisogna cambiare nell'iter autorizzativo italiano?

"Ci sono due ordini di problemi da risolvere. Da un lato c'è la continua duplicazione o triplicazione degli iter procedurali, con le imprese costrette a produrre decine di volte lo stesso documento alle varie espressioni della pubblica amministrazione, che non si parlano fra di loro. Dall'altro lato c'è il problema delle interazioni con il territorio, spesso basate su una mappatura inadeguata dei cittadini interessati e su strategie sbagliate di comunicazione. Per risolvere questi due problemi bisogna tendere a una standardizzazione dell'iter procedurale e un'asciugatura dei processi decisionali".

In pratica?

"In pratica ogni progetto infrastrutturale avrebbe bisogno di un monitoraggio costante attraverso una cabina di regia permanente, che indirizzi un percorso continuamente partecipato. In questo modo si dovrebbero poter asciugare i processi decisionali, eliminando le duplicazioni, evitando i passaggi inutili e basandosi soprattutto sul silenzio assenso".

Sarebbe una rivoluzione copernicana rispetto all'attuale conflittualità continua fra le varie componenti della pubblica amministrazione...

"Appunto. Questo Paese ha estremo bisogno di investimenti nelle infrastrutture, ma le imprese non investono più in mancanza di un percorso chiaro, adeguatamente strutturato, che porti a decisioni non reversibili, con meccanismi di riduzione dei rischi, in particolare nelle relazioni con il territorio".

Ma in molti campi ogni Regione ha normative diverse.

"Sono proprio queste le incertezze che bloccano gli investimenti. E influiscono negativamente sulla qualità della progettazione. Ormai nessuno fornisce più i piani dettagliati di un progetto: date le incertezze procedurali non conviene andare nel dettaglio. Ma se la progettazione si fa sommaria, spesso ci si trova a modificarla in corso d'opera e questo costringe a richiedere altre autorizzazioni. E via di seguito. E' un circolo vizioso che va spezzato, altrimenti non ci muoveremo mai".


17 novembre 2010

Per l'eolico italiano è girato il vento

Aria di stagnazione sull'eolico italiano, dopo un primo semestre ancora in corsa. "A metà anno c'è stato un crollo verticale degli investimenti, perché il valore dei certificati verdi è sceso troppo e le banche non finanziano più i nuovi progetti", spiega Simone Togni, segretario nazionale dell'Associazione Nazionale Energia del Vento. "Di conseguenza, si stanno realizzando solo i progetti che erano già stati finanziati all'inizio dell'anno e tutto il resto si è fermato", aggiunge. L'obiettivo 2010 per l'eolico italiano, ritenuto perfettamente realistico all'inizio dell'anno, era di crescere oltre mille megawatt, come nel 2009, per arrivare a 6000 megawatt installati. Ma in realtà, dopo un primo semestre quasi normale, nella seconda parte dell'anno non si è tirata più su una pala, o quasi. Di conseguenza, è probabile che quest'anno si concluda a quota 5.600 megawatt, un buon 30% sotto le attese. "Mantenendo il ritmo che ci eravamo dati negli anni scorsi, saremmo riusciti a centrare gli obiettivi comunitari, ma se perdiamo un semestre intero, quando lo recupereremo?", si chiede Togni.

Il problema sta tutto nella remunerazione dell'investimento, che è gradualmente calata fino a raggiungere livelli considerati dalle banche non più finanziabili. La remunerazione è data dal valore dell'energia venduta alla rete, più il valore dell'incentivazione, che in Italia avviene attraverso i certificati verdi, i titoli attribuiti all'energia pulita, che le aziende produttrici di energia convenzionale sono costrette ad acquistare per una quota del 3% della loro produzione da combustibili fossili. In questo modo, le aziende che sporcano l'ambiente finanziano quelle che lo tengono pulito. Ma il mercato dei certificati verdi negli ultimi anni ha sofferto di due tendenze contrapposte: da un lato la crisi ha portato a un calo della produzione elettrica nazionale, dall'altro lato le compagnie elettriche convenzionali hanno cominciato a produrre energia verde in proprio. Di conseguenza, il valore dei certificati verdi è sceso del 10% all'anno negli ultimi quattro anni: a fine 2006 valeva circa 140 euro a megawattora, oggi siamo a 80. Arrivato sotto un certo limite, il calo colpisce a morte i progetti di impianti alimentati da fonti rinnovabili incentivate con i certificati verdi: non solo l'eolico, ma anche le biomasse. Il fotovoltaico, invece, è incentivato con un altro sistema, il conto energia, e non viene toccato dalla crisi.

"In parte, la perdita di valore dei certificati è stata compensata dalla maggiore efficienza delle macchine: oggi i costi di produzione dell'eolico sono più bassi di quattro anni fa", conviene Togni. Ma al calo degli incentivi si è aggiunto l'aumento degli oneri complessivi, come l'imposizione dell'Ici, che prima non si pagava, oltre al 5% di compensazione ai Comuni e all'aumento vertiginoso degli affitti dei terreni. "Sono tutti trasferimenti dello Stato centrale verso gli enti locali, è comprensibile, ma non hanno nessuna logica se non quella di bloccare gli investimenti, perché le compensazioni ambientali non si possono imporre alle imprese che producono energia verde, è espressamente vietato da una direttiva comunitaria", fa notare Togni. Per di più, le compensazioni chieste all'eolico sono il doppio di quelle chieste ai petrolieri, il che fa particolarmente specie, considerato il livello d'inquinamento dato da un pozzo di petrolio.

Per le imprese dell'energia verde, a questo punto, non resta che aspettare il recepimento della direttiva Ue sulle fonti rinnovabili, che introducendo un valore minimo per i certificati verdi darà un quadro certo di regole per far riprendere i finanziamenti. "Siamo alla vigilia del recepimento della direttiva", assicura il sottosegretario allo Sviluppo economico, Stefano Saglia. "La delega scade il 5 dicembre, quindi cercheremo di mandarla in Parlamento nei prossimi giorni", ha sottolineato a margine di un seminario al Gse. "Daremo un quadro certo di regole fino al 2020, per dare certezza agli investitori, ma anche per ridurre ogni biennio gli incentivi, in virtù dei miglioramenti tecnologici, perché vogliamo finanziare la realizzazione di impianti e non la rendita". I produttori di energia verde sono d'accordo, non vogliono rendite in più. Ma chiedono una base sicura dell'incentivazione, sotto la quale gli investimenti si bloccano.


15 novembre 2010

Authority agli sgoccioli, chi fisserà le tariffe?

Per 25 milioni e mezzo di famiglie italiane ancora protette dalle decisioni tariffarie dell'Authorità per l'energia, il prossimo ritocco trimestrale delle bollette si avvicina con un brivido d'incertezza: il 1° gennaio il mandato dell'attuale presidente dell'Authority, Alessandro Ortis, e del commissario Tullio Fanelli sarà scaduto, dopo sette anni di battaglie a difesa degli utenti. L'Autorità, già di per sé titolare di compiti e funzioni importanti in un settore strategico come quello energetico, sembra destinata ad accrescere il proprio ruolo, vista l'insistenza con cui si ripropone la necessità di affidarle anche la regolazione dei servizi idrici. Ma il 16 dicembre, due settimane prima che vengano fissate le nuove tariffe per la luce e il gas, Ortis e Fanelli dovranno lasciare per sempre l'incarico, che per legge non è né prorogabile né rinnovabile. E non si vedono all'orizzonte candidature consolidate per sostituirli.

Il risiko, che da mesi non trova soluzione, parte dalla sostituzione alla presidenza della Consob, vacante da 143 giorni, dell'ex presidente Lamberto Cardia. Su questa poltrona potrebbe andare a sedersi il sottosegretario al Tesoro, Giuseppe Vegas, ma anche Antonio Catricalà, che guida l'Antitrust. Questo braccio di ferro si ripercuote su tutte le altre nomine: se vince Vegas, Catricalà potrebbe essere risarcito con la poltrona al vertice dell'Authority per l'energia. Poi si tratterebbe di identificare rapidamente e con un consenso bipartisan gli altri quattro nomi da affiancargli, in considerazione della lunghezza dell'iter, che non può concludersi senza il parere espresso dal Parlamento. Le indiscrezioni sui candidati s'inseguono da tempo, ma il balletto dei nomi, oltre una decina, per ora non ha niente di definitivo: ultimi in ordine di tempo sono Alberto Biancardi (d.g. Cassa Conguaglio Settore Elettrico) e Luigi Carbone (ora alla Semplificazione con il ministro Calderoli).

Con lo sblocco delle nomine ai vertici dell'Agenzia nucleare, è possibile che adesso il neoministro Paolo Romani passi finalmente a occuparsi dell'Authority per l'energia. Ma il tempo stringe e nel settore cresce la preoccupazione di un vuoto di potere.


10 novembre 2010

EcoRegion, il software per misurare le emissioni comunali

Uno strumento innovativo per riuscire a quantificare e spiegare le emissioni di CO2, primo passo per limitarle in ambito urbanistico, di politica dei trasporti e non solo: è il software ECORegion, adottato in questi mesi da un numero crescente di amministrazioni per preparare i propri bilanci delle emissioni di CO2 su base locale, e riconosciuto dall'Unione Europea come strumento ufficiale del Patto dei Sindaci, l'accordo di collaborazione tra le realtà europee più virtuose per raggiungere gli obiettivi del Pacchetto 20-20-20. Un progetto di respiro internazionale che parla italiano, perché l'attuale versione del software è stata elaborata nella sede di Alleanza per il Clima, a Città di Castello, ed è stata poi sviluppata e testata da 9 amministrazioni locali: i Comuni di Bolzano, Genova, Jesi, Modena, Reggio Emilia, Schio, le Province di Ancona e Roma e la Regione Emilia-Romagna.


8 novembre 2010

Dall'Italia alla Cina senza pilota

VisLab ha portato a termine la sua impresa: per la prima volta nella storia persone e merci sono state trasportate dall’Italia fino alla Cina senza conducente umano. Quattro Piaggio Porter elettrici, guidati da computer, hanno viaggiato per cento giorni e 13mila chilometri da Milano a Shanghai e i piloti automatici dei veicoli sono stati alimentati da energia solare prodotta da pannelli fotovoltaici Enfinity, installati sul tetto.

La tecnologia VisLab (spinoff dell'università di Parma) ha fissato una nuova pietra miliare a livello mondiale nel campo della robotica. I veicoli hanno attraversato Slovenia, Croazia, Serbia, Ungheria, Ucraina, Russia, Kazakistan e Cina, fino a raggiungere l’Expo 2010 di Shanghai, seguiti da 7 automezzi tradizionali e con equipaggi di tecnici specializzati che monitoravano tutti i parametri di funzionamento. I Piaggio Porter modificati per questa spedizione sono dotati di pannelli solari che alimentano i sistemi di guida assistita, mentre il motore elettrico è lo stesso del Porter Electric Power di serie, capace di una velocità massima di 55 km/h e con un'autonomia di 110 km. L'obiettivo è di dimostrare, attraverso un test esteso e imponente, che l'attuale tecnologia è sufficientemente matura per il dispiegamento di veicoli autonomi non inquinanti e senza carburante in condizioni reali.

Il Comune di Roma, un soggetto attivo in questo progetto, intende sfruttare questi veicoli in città per consegnare merci ai negozi, raccogliere rifiuti urbani, e realizzare una mobilità sostenibile nell'ultimo miglio.


5 novembre 2010

Fotovoltaico in ostaggio della burocrazia

Luca Fermo è titolare di RayEnergy, impresa della provincia di Milano pioniera nell'installazione di sistemi fotovoltaici, con al suo attivo la serra fotovoltaica più grande d'Italia. Ha tre dipendenti e due di questi sono in ostaggio della burocrazia.

Da una rilevazione dell'Agenzia delle entrate risulta che le micro-imprese con meno di quattro dipendenti spendano in media quasi 2.000 euro l'anno per gli oneri amministrativi. Che ne dice?

"Dico che mi sembra un calcolo estremamente riduttivo. Nel mio settore devo chiedere un sacco di permessi e spendo certamente più di duemila euro solo in valori bollati. Ma poi c'è il costo delle risorse umane che si dedicano a tempo pieno a redigere domande, andare per uffici e controllare le normative che cambiano di continuo. Io impiego due persone su tre solo per questo, quindi nella migliore delle ipotesi va attribuito alla burocrazia il 70% dei miei costi aziendali".

Uno sfracello. Ma servono davvero due persone?

"E non bastano ancora. Facciamo qualche esempio: abbiamo in progetto una serra fotovoltaica da 10 megawatt, con un investimento nell'ordine dei 40-50 milioni di euro, da costruire a Scansano Ionico: sono 140mila metri quadri coperti, che porterebbero qualche centinaio di posti di lavoro in una zona depressa. Abbiamo ricevuto l'autorizzazione unica, un documento estremamente complesso, che passa tutto il progetto alla lente d'ingrandimento prima di essere concessa. Ma aspettiamo da oltre un anno un banalissimo permesso di costruire, che il Comune non ci ha ancora rilasciato. Nel frattempo sono stati tagliati gli incentivi e un ritardo di questa portata rischia di vanificare tutto il progetto: visto che la remunerazione non è più la stessa, l'investitore ha perso interesse nella cosa".

Un danno non da poco...

"Potrei citare un altro caso analogo, al Nord questa volta: abbiamo un cliente che vorrebbe costruire a Montichiari un impianto fotovoltaico da meno di 1 megawatt su un terreno che era adibito a discarica, dove c'è un premio maggiorativo degli incentivi del 5%. Malgrado sia stata diffusa una circolare firmata dal Presidente della Repubblica che invita a snellire l'iter burocratico per le fonti rinnovabili, esentando dall'autorizzazione unica gli impianti sotto 1 megawatt, il Comune di Montichiari insiste a chiederla, impionendoci una serie di costi in più e un lavoro ciclopico per l'inoltro della pratica. E anche qui rischiamo di perdere un altro anno, con relativo taglio degli incentivi. Altro che duemila euro..."


3 novembre 2010

Navigando nel verde, si va più lontano

Finita l'era degli eccessi, la nautica punta sul verde, ispirandosi al mondo dell'automotive. Le barche con autonomie elevate e consumi ridotti, costruite con attenzione e rispetto per l'ambiente, sono quelle che tirano di più sul mercato globale e i marchi italiani non vogliono farsi sfuggire l'occasione. Basti pensare al confronto fra il Long Range 23, ultimo yacht verde Ferretti, e l'equivalente americano Nordhavn 75, testati dalla prestigiosa rivista "Power & Motoryacht", in cui si evidenzia un consumo doppio di gasolio per la barca americana, alla stessa velocità.

"Per ora non vedo la possibilità di un'imbarcazione di questo tipo full electric", commenta Andrea Frabetti, vice presidente e capo della produzione di Ferretti. "Ma grazie al passaggio dalle batterie al litio-ferrite a quelle al litio-polimeri riusciamo a stoccare nello stesso pacco il 40% in più di energia e questa evoluzione è destinata a continuare, riducendo sempre di più il peso delle batterie rispetto alle capacità di stoccaggio". La densità di stoccaggio delle batterie è il problema fondamentale, oggi, per qualsiasi motore elettrico, soprattutto se si vuole estendere questo sistema di propulsione a modelli un po' più piccoli, che sono i più diffusi. Non bisogna dimenticare, infatti, che un pacco di batterie da 140 kilowatt, come quello del Long Range 23, pesa due tonnellate e mezzo.

Fra i piccoli motoscafi, il sogno dei diportisti con il pallino dell'ambiente si chiama 25 Super Indios ed è una barca di 7.3 metri costruita dalla Giacomo Colombo, brand dei cantieri bergamaschi di Sarnico, insieme all'austriaca Ortner Boote. Dalla collaborazione italo-austriaca sono nati dei motoscafi a propulsione elettrica adatti a navigare nei laghi mitteleuropei, dov'è richiesto uno stretto controllo delle emissioni. La grande differenza rispetto agli altri modelli nati in questi anni sta nella potenza del motore, ben 95 cavalli, che permette di raggiungere una velocità di 20 nodi, molto inusuale per una propulsione elettrica. In meno di sei ore si può fare il pieno di energia utilizzando un doppio circuito di carica, che consente di collegarsi a due prese in banchina. Una volta cariche, le batterie agli ioni di litio offrono quattro ore di autonomia navigando a 10-12 nodi. E' la prima barca elettrica già in produzione che consenta un'andatura sportiva a emissioni zero.

Per chi punta invece sulle grandi dimensioni e può permettersi un giocattolo innovativo, Arcadia Yachts ha prodotto una barca da 85 piedi (26 metri) con una sovrastruttura completamente in vetrocamera che monta 4 kilowatt di pannelli fotovoltaici annegati direttamente nel vetro, firmati Schüco. E' la prima volta che questo sistema viene applicato alla nautica. Se l'imponente distesa di silicio non produce abbastanza energia da aiutare la propulsione, consente almeno di starsene all'ancora senza azionare i generatori. La barca è prodotta da un nuovo cantiere di Torre Annunziata anche nella versione da 115 piedi ed è assemblata con una tecnica che riduce al massimo i materiali di scarto.


2 novembre 2010

In arrivo i contatori intelligenti anche per il gas

Dopo il boom dei contatori elettrici intelligenti, che ormai si stanno affermando in tutta Europa, comincia a decollare anche la domanda di contatori intelligenti per il gas. 

StMicroelectronics, il gruppo italo-francese leader nelle soluzioni a circuiti integrati per i contatori, e Omron, colosso giapponese delle tecnologie per l’automazione, hanno annunciato un accordo di collaborazione per realizzare una soluzione completa per i sensori di flusso, elemento indispensabile della soluzione “chiavi in mano” per contatori intelligenti che Stm sta mettendo a punto.

Alla base della collaborazione ci sono un trasduttore proprietario di Omron e un chip analogico sviluppato da StM, integrati in un sottosistema completo e autonomo.

Il sensore di flusso così ottenuto utilizza una tecnologia Mems  (sistemi micro-elettro-meccanici) all’avanguardia per sensori micro-termici, che compensa intrinsecamente variazioni di temperatura e pressione, mentre un circuito interno compensa eventuali variazioni dovute alla composizione di diversi gas.

Con questa collaborazione StM spera di fare ancora una volta bingo, come ha già fatto con i contatori intelligenti per l'energia elettrica.


28 ottobre 2010

L'energia verde sfida la crisi: debutta Enel Green Power

L'energia pulita sfida la crisi: domani si conclude l'offerta pubblica di Enel Green Power e il debutto in Piazza Affari e alla Bolsa di Madrid è previsto per il 4 novembre. 

L'ultimo impianto di Enel Green Power entrato in esercizio è una centrale geotermica: Sasso2, 20 megawatt di potenza, a Castelnuovo Val di Cecina. Sale così a 700 megawatt la potenza geotermica della società in Toscana, un record per la Regione, che si aggiudica il primo posto in Europa: le 32 centrali geotermiche coprono un quarto dei consumi energetici regionali, pari a 5 miliardi di kilowattora. Ma non finisce qui: con il potenziamento dei pozzi esistenti, presto ci saranno 112 megawatt in più e altri ancora ne arriveranno dal progetto Geotermia Innovativa.

La geotermia è una delle risorse chiave per Enel Green Power: forte del know-how sviluppato in Toscana, dove il calore del sottosuolo si sfrutta da oltre un secolo, è andata a cercare valore in tutto il mondo. E l'ha trovato. Prima in Utah, poi in Cile. "Ora in Nevada, vicino a Reno, vogliamo sperimentare l'accoppiamento di fonti geotermiche a bassa temperatura con le fonti solari: l'innovazione di sistema, che coglie le tecnologie esistenti e le combina in maniera originale, è molto importante per una società attiva nell'energia del futuro", commenta l'ad Francesco Starace. Vale lo stesso discorso per l'idroelettrico, in cui Enel Green Power è partita da una solida esperienza sviluppata sulle Alpi italiane, per spaziare poi in Nord e Sud America, nella penisola iberica e in Grecia. Ora è un campione mondiale con i suoi 395 impianti distribuiti su dieci Paesi, per 2.534 megawatt complessivi. "Ma stiamo crescendo molto in Centro America e in Brasile, dove i grandi fiumi non mancano", aggiunge Starace.

Geotermico e idroelettrico sono due fonti rinnovabili già perfettamente competitive con le fonti fossili e vanno sul mercato senza bisogno di sussidi statali. Per Enel Green Power rappresentano oltre il 70% della produzione, generando un forte flusso di cassa: su 21 terawattora complessivi, solo un quarto deriva da fonte eolica e meno del 30% è dipendente da sussidi statali. Si tratta di un caso unico nel panorama delle grandi società impegnate sul fronte delle fonti rinnovabili, come Iberdrola Renovables, Edp Renovaveis o Edf Energies Nouvelles, che invece concentrano quasi tutte le proprie forze nell'energia del vento, ancora dipendente dagli incentivi pubblici. La diversificazione, sia per fonti che per aree geografiche (è presente in 16 Paesi), ha guidato lo sviluppo di Enel Green Power fino ad oggi. Su questa base di produzione molto affidabile e grazie all'indebitamento ridotto, ora la società può permettersi di puntare quasi al raddoppio entro il 2014, dai 5.700 megawatt attuali a 9.200, finanziando la sua crescita.

Crescere significa allargare questa base in maniera organica, senza trascurare le altre fonti: il "braccio verde" dell'Enel si è appena aggiudicato 90 megawatt eolici in un'area particolarmente ventosa dello Stato di Bahia, in Brasile, che andranno ad aggiungersi ai 155 campi eolici già operativi su 9 Paesi diversi, per 2.355 megawatt complessivi. E dei 1.200 megawatt in via di realizzazione nel prossimo futuro, l'80% sono di fonte eolica, la meno sviluppata del portafoglio.

Ma Starace vuole anche aprire la strada per nuove frontiere, come quella delle centrali solari a concentrazione, di cui ha realizzato un prototipo in Sicilia con una tecnologia molto innovativa, capace di produrre energia anche di notte, quando il sole non splende, risolvendo così uno dei problemi fondamentali dell'energia solare. "Investiremo ancora in tutte le zone che si prestano a questa fonte, dal Nord Africa al deserto di Atacama in Cile, ma quel che ci interessa di più sono le ibridizzazioni tra fotovoltaico, solare termico e termodinamico, per ottenere rendimenti finora mai visti", precisa Starace. Trovare combinazioni che consentano il salto di economia capace di rendere competitive le fonti pulite è il sogno di tutti i pionieri delle energie del futuro. Un sogno che ormai sembra a portata di mano: "Nel giro di 5-10 anni i costi di produzione scenderanno e tutte le fonti rinnovabili riusciranno a camminare sulle proprie gambe, anche quelle oggi più sussidiate", confida Starace. La sfida è trovare il posizionamento migliore per approfittarne.


27 ottobre 2010

Fotovoltaico presto al traguardo dell'1% del fabbisogno elettrico

Perfino Trino Vercellese, paese simbolo del nucleare italiano, con una centrale che al suo avvio nel '64 era la più potente del mondo, si converte al fotovoltaico, avviando la realizzazione di un maxi-parco da 70 megawatt con vista sulla torre di raffreddamento del reattore. L'investimento da 250 milioni andrà ad arricchire il fiume di denaro che si sta riversando sull'energia del sole in Italia, dopo la recente revisione degli incentivi.

Superato lo scoglio della prima parte del 2010 rallentata dal difficile parto del terzo conto energia, ora che le tariffe in partenza da gennaio 2011 sono chiare, il fiume è di nuovo in piena. Secondo uno studio di A.T. Kearney, per fine anno verranno installati altri 850 megawatt, contro i 720 del 2009. In tutto, la potenza del fotovoltaico italiano dovrebbe toccare così i 2.000 megawatt complessivi e la produzione di corrente elettrica arriverebbe all'1 per cento della domanda. Le aziende italiane dell'energia del sole, secondo lo studio, nel 2009 hanno registrato ricavi per 2,35 miliardi di euro, in crescita del 39% rispetto agli 1,69 del 2008, con la prospettiva di arrivare a un valore complessivo del settore di 3 miliardi a fine 2010. Una crescita che si inserisce nel boom mondiale di questa tecnologia sempre più diffusa.

La previsione di Solarbuzz, bibbia globale del solare, è che entro fine anno si arrivi a 15 gigawatt di nuova potenza installata, più del doppio dei 6,4 gigawatt realizzati nel 2009. Avvalora la credibilità di queste proiezioni il fatto che tra maggio e giugno l'installato sia stato quasi il triplo del secondo trimestre 2009, garantendo all'industria fotovoltaica un raddoppio nel giro d'affari, da 6,2 a 12 miliardi di dollari. Un boom come sempre guidato dalla Germania, dov'è concentrato il 60% del nuovo installato, ma subito dopo viene l'Italia, che pure sul suo territorio assolato ha un decimo dei pannelli dei vicini a Nord delle Alpi. Anche in Francia e negli Stati Uniti il fotovoltaico corre a velocità sostenuta.

Sul fronte manifatturiero, invece, è la Cina che  spopola, con ben quattro colossi come Suntech Power, JA Solar, Yingli Green Energy e Trina Solar nella top ten dell'industria solare. La manifattura cinese arriva oggi a coprire il 55% delle celle prodotte su scala mondiale a confronto con i1 43% dello scorso anno. Grazie anche ai cinesi continua il drastico calo dei prezzi, che va più veloce dell'aumento di efficienza dei pannelli e dovrebbe proseguire: secondo la ricerca A.T. Kearney il costo dei moduli potrebbe scendere dagli 1,5-2 dollari attuali a 1 dollaro per Watt nel 2015. Insieme al calo dei prezzi, l'altro grande driver del settore negli ultimi anni è la crescente efficienza delle celle, in cui prevalgono gli americani e i giapponesi. Campione mondiale in questa gara a estrarre più energia possibile dal sole è al momento l'americana SunPower, che dallo scorso giugno ha avviato la produzione industriale di celle con un'efficienza del 24,2%. Ma anche la giapponese Sharp è molto impegnata sul fronte dell'efficienza: le sue celle a concentrazione (molto più care delle altre), con un sistema basato su lenti ottiche, hanno raggiunto un'efficienza del 42,1%, che potrebbe arrivare al 45% entro il 2014.


25 ottobre 2010

Eolico ancora con il vento in poppa, siamo a 5,4 gigawatt

Eolico col vento in poppa. Malgrado la crisi, anche nel 2009 la crescita degli impianti italiani ha sfiorato il 40% (per l'esattezza +38,5%), raggiungendo i 4.898 megawatt di potenza, distribuiti su 294 campi eolici. E la corsa all'energia del vento non si ferma: nel primo semestre del 2010 la potenza installata è cresciuta di un altro 10% a 5.400 megawatt. I dati escono dal rapporto sull'eolico del Gestore dei servizi energetici.
Il business del vento, quindi, fa ancora gola, nonostante le incertezze autorizzative: mediamente trascorrono 4 anni prima di poter accendere un impianto, ma ci sono casi anche di dieci anni. Per gli investimenti, che si aggirano sui 2 milioni per megawatt, i tempi di breakeven si allungano così a 5-10 anni. Non poco, eppure giacciono domande di connessione alla rete per 90mila megawatt. Un dato stratosferico, "ma irreale – osserva Paolo Guaitamacchi, segretario generale di Aper, l'Associazione dei produttori di energia da fonti rinnovabili, e amministratore delegato delle Fattorie del vento – dovuto ai tempi autorizzativi e di sviluppo così lunghi e all'allacciamento in rete così difficile che gli operatori inoltrano diverse domande sperando di vederne approvata almeno una in tempi ragionevoli".

Il volume d'affari nel settore raggiunge livelli sempre più elevati, alla luce degli investimenti in corso e di quelli programmati. Se si considerano i circa 1.400 megawatt installati nel solo 2009, in termini finanziari gli investimenti - tra capitali privati e bancari - hanno raggiunto la cifra di 2,5 miliardi, quasi esclusivamente destinati alla realizzazione di centrali eoliche nel Mezzogiorno, dove c'è più vento. Una manna per la malavita organizzata, a partire da molti finti "sviluppatori" che ricercano i siti di potenziale interesse, elaborano piani preliminari e una volta ottenuta l'autorizzazione, con in mano un progetto cantierabile, lo passano alla mafia. "Un mercato con remunerazioni che si aggiravano nel 2008 intorno agli 8 milioni per un'autorizzazione unica alla costruzione di un impianto da 40 megawatt", spiega Giuseppe Mastropieri, direttore dell'Osservatorio WindIT di Nomisma Energia.

Finto "sviluppatore", ad esempio, era Vito Nicastri, di Alcamo, re del vento in Sicilia e in Calabria, ritenuto dagli inquirenti la longa manus imprenditoriale del boss latitante di Cosa Nostra Matteo Messina Denaro, al quale il Tribunale di Trapani il 14 settembre ha sequestrato un patrimonio di circa 1,5 miliardi. "Ma oggi, per effetto concomitante della crisi finanziaria e del calo della redditività dagli investimenti eolici, il mercato delle autorizzazioni si è sgonfiato e i prezzi stanno evolvendo verso soglie più congrue rispetto all'effettivo valore generato", aggiunge Mastropieri. E' segnale di una certa maturazione del mercato, che farà scendere anche l'interesse della malavita organizzata, sempre presente in qualsiasi business che cresce molto, soprattutto se il resto dell'economia è fermo.

A dieci anni dall'installazione delle prime pale, l'Italia è al terzo posto in Europa con 5,4 gigawatt di potenza installata a giugno 2010, poco sopra Francia (4,5 gigawatt) e Regno Unito (4 gigawatt), ma molto dietro Germania (25,8 gigawatt) e Spagna (19,1 gigawatt). La parte del leone – per ragioni naturali – la fa il Sud, che da solo ospita il 98% della potenza installata: in sole tre regioni (Puglia, Campania e Sicilia) si concentrava a fine 2009 il 60% degli impianti. Ora la scommessa per l'eolico italiano è raggiungere l'obiettivo di 16mila megawatt installati al 2020, che il governo si è posto nel suo Piano d'azione nazionale per le rinnovabili, consegnato quest'estate a Bruxelles per soddisfare gli obblighi del programma europeo 20-20-20. Una scommessa che sarà possibile vincere solo grazie alla crescente competitività della tecnologia, come ha spiegato qualche giorno fa il segretario generale del Global Wind Energy Council, Steve Sawyer, alla fiera eolica tedesca di Husum. Con turbine da 3 o 4 megawatt ciascuna, completamente diverse da quelle da 1 megawatt che si usavano all'inizio, diventa più facile moltiplicare la capacità produttiva di un campo eolico, fino ad arrivare a potenze equivalenti a quella di una comune centrale a gas. E diventa doveroso puntare a emanciparsi finalmente dai costosi incentivi statali.


23 ottobre 2010

Altro che bolla del gas! L'Italia in bolletta

Ma non c'era la bolla del gas? I consumi italiani calano per i postumi della crisi, le nuove tecniche di estrazione liberano il metano intrappolato nelle rocce del sottosuolo americano e tagliano l'import di gas degli Stati Uniti, l'offerta globale è abbondante. Invece basta uno smottamento per scatenare l'allarme sugli approvvigionamenti invernali. E la tensione sui prezzi.

A Guttannen, nel cantone di Berna, una frana ha interrotto in agosto il flusso di gas proveniente dal Mare del Nord, 50 milioni di metri cubi al giorno, attraverso il Transitgas. E non è chiaro quando riprenderà: il gasdotto che ci fornisce oltre il 15% del nostro fabbisogno corre lungo un gola di montagna che sta venendo giù a causa delle piogge e dovrà essere spostato, per cui resterà fuori servizio almeno fino alla fine di quest'anno. Nell'ultimo mese, questo blocco ha fatto schizzare in alto i prezzi di 3-4 centesimi al metro cubo, tanto che l'Authority ha aperto un'istruttoria. In più, proprio nel delicato momento dell'accelerazione autunnale necessaria a riempire gli stoccaggi in vista dell'inverno, è chiuso per manutenzione anche il gasdotto Greenstream, quello che dalla Libia importa più del 10% del gas che consumiamo. Così si blocca un quarto delle nostre importazioni, due tubi su quattro: ci resta solo il gas russo e quello algerino. Sperando che non si riproponga il problematico scenario del biennio 2006-2007, quando ci trovammo pericolosamente esposti ai capricci negoziali tra Russia e Ucraina, che portarono a una serie di interruzioni delle forniture a tutta l'Europa, facendo tremare particolarmente l'Italia, che più di ogni altro Paese funziona a gas.

Il blocco riporta alla ribalta i due grandi problemi strutturali del nostro sistema metanifero. In primis il lento procedere nella costruzione dei rigassificatori per differenziare via mare, oltre che potenziare, i nostri approvvigionamenti. Della decina di progetti da anni in pista uno solo è finalmente operativo, quello di Rovigo (Edison-Exxon) da 8 miliardi di metri cubi, che si è aggiunto allo storico impianto Eni di Panigaglia. In secondo luogo l'insufficienza delle strutture di stoccaggio, che nelle intenzioni del governo ora dovrebbero essere rapidamente potenziate grazie al nuovo decreto che incrementa la platea di accesso degli operatori e allo stesso tempo incentiva la costruzione di nuovi depositi.
La questione degli stoccaggi è diventata centrale anche per via dell'assenza di una Borsa del gas, capace di fungere da regolatore. Oggi in Italia, secondo i dati dell'Authority, si contano 10 siti per lo stoccaggio, di cui otto sono gestiti da Stogit (e quindi da Eni) e due appartenenti a Edison. La forza di Eni è ancora più evidente se si considera che governa il 97% della capacità di stoccaggio nazionale, circa 14 miliardi di metri cubi. Oltre all'assenza di concorrenza, un altro limite del sistema era la preclusione per le imprese di utilizzare gli impianti di stoccaggio esistenti. Ma con il recente decreto il governo ha definito nuovi "tetti" antitrust, che dovrebbero far scendere al 65% la quota di mercato garantita all'Eni (l'Authority chiede soglie ancora più rigide, fino al 55%), e ha previsto la realizzazione di nuove infrastrutture di stoccaggio. Stabilendo che i primi 4 miliardi di nuova capacità – una quota importante se teniamo conto che degli attuali 14 miliardi di metri cubi, 5 sono per la riserva strategica – siano disponibili per industrie, pmi e clienti termoelettrici. In questo modo, le aziende con i consumi più elevati potranno acquistare il gas d'estate, quando i prezzi sono più bassi, e utilizzarlo d'inverno, quando s'impennano.

Immediato il rilancio dell'Eni, che ha presentato al ministero dello Sviluppo Economico un piano strategico per la realizzazione di questi primi 4 miliardi di metri cubi di nuova capacità di stoccaggio, attraverso dieci progetti, "a cui potranno partecipare, quali investitori, i clienti industriali, le piccole e medie imprese e i clienti termoelettrici", dice il ministero. A via Veneto sono arrivate oltre 270 richieste di partecipazione "da parte di importanti gruppi industriali, di imprese caratterizzate da elevati consumi di gas (acciaierie, cartiere, ceramiche), di vari consorzi e aggregazioni di piccole e medie imprese, nonché dai principali produttori di energia elettrica tramite impianti alimentati a gas". Leggi Edison, Enel, E.on e così via. Dopo l'accettazione del piano, ci sarà la gara per mettere in palio la nuova capacità di stoccaggio. Ma la corsa che si sta verificando dimostra quanto le imprese italiane abbiano fame di gas a prezzi ragionevoli.

Ora resta il problema delle tariffe da pagare per lo stoccaggio, che dovrebbero essere remunerative per chi decide di investire nella realizzazione dei nuovi impianti ma non troppo onerose per chi avrà diritto di utilizzarli, cioè le imprese industriali. Altrimenti si annullerebbe il vantaggio.


22 ottobre 2010

Teleriscaldamento: a Milano il cerchio si stringe

Non più mille camini fumanti in tutte le case, ma un solo grande camino, molto meno inquinante perché centralizzato e alimentato da energia pulita. E' così che ci si riscalda nel Centro e Nord Europa, in Nord America, in Giappone e adesso anche a Milano. Nell'ultima classifica europea delle 30 città con l'aria più inquinata, Milano figura al quarto posto. Nel 2009 ha sfondato il limite delle PM10 per 111 giorni - contro il tetto di 35 imposto dall'Unione Europea - prevalentemente nel periodo invernale, quando si accendono le caldaie del riscaldamento. Sono questi fumi, oltre ai vecchi camioncini diesel e ai motorini a due tempi, una delle cause principali dei valori eccessivi di PM10, ozono e ossidi di azoto, che impestano l'aria della città. Da qui nasce l'idea di cambiare sistema: dopo la metanizzazione, il teleriscaldamento è il prossimo passo avanti sulla strada del calore pulito.

La nuova frontiera indicata dal Comune - sul modello di Brescia, già tutta teleriscaldata da decenni - è l'abbandono delle caldaie, autonome o centralizzate, per collegarsi a una rete di tubi che in tre anni è cresciuta da 41 a 78 chilometri e deve arrivare a quota 160 entro il 2012, coprendo tutta la cintura urbana attorno alla cerchia dei Bastioni, con l'obiettivo di servire quasi 500mila utenti. Le doppie tubature, una in andata e una in ritorno, porteranno agli edifici posti sulla loro strada acqua calda a 90° - che cede calore all'impianto condominiale attraverso uno scambiatore - e riporteranno indietro acqua a 65° per riscaldarla un'altra volta in centrale. Per A2A è un investimento da 200 milioni di euro. Alla fine del progetto, Milano avrà 8 impianti di teleriscaldamento, di cui quattro alimentati anche da fonti rinnovabili. "Siamo ricorsi a tutte le soluzioni che garantissero la massima sostenibilità nella produzione del calore", spiega Marco Camussi, responsabile della progettazione di A2A Calore & Servizi. "Basti pensare che la pompa di calore geotermica da 15 megawatt installata nella centrale di via Cavriana è la prima in Italia di questa potenza e produce calore senza generare emissioni inquinanti".

Un impianto centralizzato di grandi dimensioni è molto più efficiente di qualunque caldaia condominiale, non solo per le tecnologie più avanzate che utilizza, ma anche perché una caldaia piccola si spegne e si riaccende in continuazione man mano che la casa si scalda e poi si raffredda, mentre in una caldaia più grande tutte queste oscillazioni della domanda si compensano a vicenda, consentendole di funzionare continuamente alla stessa potenza e quindi bruciando meno combustibile a parità di calore prodotto. Milano, in più, si avvantaggia di una fonte rinnovabile naturale: il calore dell'acqua di falda, cui si può attingere per due terzi della potenza termica necessaria alla centrale di via Cavriana, che alimenterà i due chilometri di rete attualmente in costruzione.

Quindi, mano al piccone. I lavori per l'ampliamento della rete verso il centro, fino al Palazzo di Giustizia, ancora riscaldato a olio combustibile e molto inquinante, sono partiti quest'estate e dovrebbero concludersi a fine novembre. Le trincee scavate a Città Studi sono già chiuse, ma restano tratti impegnativi ancora da fare. "Per viale Premuda e corso di Porta Vittoria abbiamo previsto il ricorso a sistemi di posa no-dig, che consentiranno di installare le tubazioni senza aprire la strada", spiega Alessandro Modonesi, il responsabile del progetto per A2A. In pratica, si tratta di scavare un buco molto profondo da un lato per inserire una talpa che procede sotto il manto stradale e riemerge dall'altro lato. Per i milanesi si prospetta ancora qualche disagio. In prospettiva, la linea attualmente in costruzione potrebbe essere la prima di una serie per teleriscaldare tutto il centro storico. Ma alla fine potranno godersi vantaggi notevoli anche dal punto di vista economico-logistico. "A Brescia - commenta Modonesi - la rete del teleriscaldamente serve tutto il centro storico e dopo gli inevitabili disagi la soddisfazione dei cittadini è stata unanime". L'utente non deve più comprare il combustibile, metano, gasolio o carbone che sia: paga solo il calore consumato, così come rilevato dai contatori installati presso ogni abitazione. In più, si libera della caldaia, dell'eventuale cisterna del gasolio e di tutte le relative manutenzioni, comprese quelle sulla canna fumaria e sugli scarichi di sicurezza. E recupera spazio.

Manhattan ha la rete più grande del mondo

Camminando per le strade di Manhattan ci s'imbatte spesso negli sbuffi di vapore che sfuggono alle griglie dei seminterrati: l'isola è teleriscaldata dal 1882 e ha il più grande sistema di district heating del mondo, da Battery fino alla 96.ma. Il vapore che scorre nelle vene sotterranee di Gotham City non provvede solo al riscaldamento e all'acqua calda dei suoi abitanti, ma è anche usato nei ristoranti per bollire i cibi, nelle tintorie e in altri esercizi commerciali. Oltre a New York, in tutto il Nord America il sistema è molto diffuso, dal Canada fino in California: Detroit e San Francisco dispongono delle due reti più capillari. In Europa, Vienna e Berlino sono i due colossi del calore pulito, quasi sempre associato alla termovalorizzazione. A Vienna i tre impianti d'incenerimento dei rifiuti forniscono al teleriscaldamento il 22% del calore, che altrimenti andrebbe perso. La più alta penetrazione del sistema si registra invece in Scandinavia e in Est Europa: in Danimarca, Svezia e Finlandia è coperta oltre metà della popolazione complessiva, con tassi del 95% nelle grandi città. In Polonia, Estonia e Slovacchia quasi altrettanto. In Italia la diffusione è molto più recente, ma ci sono alcuni esempi virtuosi, come Brescia, Reggio Emilia o Torino. In complesso, sul territorio nazionale sono serviti 2 milioni di cittadini in 145 Comuni grandi e piccoli, a partire dal 1972.

 


20 ottobre 2010

Un mercato bloccato: gas più caro anche se calano i consumi

Un mercato "atipico", dicono gli esperti. In Italia scendono i consumi di gas, l'offerta aumenta (almeno fino a quest'estate), ma i prezzi non si muovono. Anzi. Nel periodo dal giugno 2009 al luglio 2010 il costo delle forniture di gas per i consumatori industriali è cresciuto del 12,3 per cento, fino a 31 centesimi di euro per metro cubo di metano, a fronte di un calo dei consumi dell'8 per cento, secondo un'indagine di Nus Consulting. Mentre per le utenze familiari è rimasto quasi fermo, con una discesa nel 2009 e una risalita quest'anno.

Con il blocco del Transitgas dalla Svizzera, poi, c'è stata un'ulteriore impennata del 15% per le utenze industriali, rincaro considerato ingiustificato dall'Authority, dato che un altro gasdotto, il Tag, è attualmente sottoutilizzato per ammissione di Snam e della stessa società che controlla l'infrastruttura dalla Russia. Un rincaro di questo genere, dice l'Autorità di Sandro Ortis, è "tipico di situazioni in cui in cui la capacità di trasporto risulta completamente utilizzata, non sembra congruente con il mancato incremento dell'import di gas naturale in Italia attraverso il punto di entrata di Tarvisio". Per Fabio Santorum della svizzera Openlogs, primo trader indipendente attivo sul nostro mercato dalla sua apertura nel 2000, l'Italia è un'isola: "Il mercato più lungo d'Europa, dove i consumi sono scesi da 85 a 76 miliardi di metri cubi di gas all'anno e l'offerta da 90-95 è salita a 100 miliardi, senza nessun beneficio sui prezzi".

Ora l'Authority ci sta provando a tagliare la bolletta gas delle famiglie, con un piccolo ribasso dello 0,1% a partire dal 1° ottobre, ma un gruppo di compagnie lo contesta e ha fatto ricorso al Tar Lombardia per sospendere il taglio. Se il Tar accordasse una sospensiva, i consumatori rischiano di veder risalire di botto le bollette di un altro 3%, dopo quello di luglio, di aprile e di gennaio (in tutto +9,6% nel 2010). I primi operatori che sono ricorsi al Tar sono cinque: Eni, Enel, A2A, Gas Plus e Phlogas, ma se ne potrebbero aggiungere altri. Gli operatori contestano il nuovo metodo di calcolo dell'Authority, deliberato dopo le necessarie audizioni a fine settembre, con cui Sandro Ortis ha "aggiustato" le sue correzioni tariffarie tenendo conto dei prezzi internazionali del metano, che in Europa sono decisamente convenienti in questo periodo di abbondanza di offerta.

Visto che il ribasso internazionale si ferma ai confini dell'Italia, la delibera taglia-tariffe vorrebbe spingere gli operatori a rivalersi di questa anomalia sull'Eni, che detta i prezzi al confine, essendo il principale importatore di metano dall'estero. Ma gli operatori da quest'orecchio non ci sentono. E per il prossimo aggiornamento delle tariffe, che cade il 1° gennaio, "questa" Autorità non ci sarà più, visto che il mandato di Sandro Ortis e Tullio Fanelli scade improrogabilmente il 15 dicembre e dei loro successori non si sa ancora nulla. Di qui l'allarme delle associazioni consumatori, che in un comunicato congiunto hanno attaccato duramente i ricorrenti: "Non possono pretendere di far pesare sulle bollette degli italiani la difesa dei loro alti margini di guadagno: invece che andare contro i consumatori, si diano da fare per acquistare al meglio e sfruttare le riduzioni dei prezzi a livello internazionale".

Di fatto, il mercato del metano è liberalizzato da dieci anni, ma solo 800mila famiglie hanno cambiato fornitore, pari al 4% degli utenti domestici, e se si aggiungono anche le utenze industriali non si supera il 7%, a differenza dell'elettricità dove ormai 3,2 milioni di famiglie e 2,6 milioni di imprese, pari al 34% del totale, hanno cambiato fornitore, pur essendo la sua apertura ben più recente. Molti consumatori gas non lo sanno nemmeno di poter optare per il mercato libero: il 27% è convinto che solo i consumatori industriali possano scegliere liberamente l'azienda del gas, secondo una ricerca Bip-Nielsen. L'8,8 per cento addirittura è convinto che in Italia esista una sola azienda del gas e che non ci sia alcuna possibilità di scelta. Per questa liberalizzazione a due velocità, l'Autorità punta come al solito il dito su Eni, "operatore dominante che controlla ancora il 92% delle infrastrutture di import e il 65% delle immissioni sul mercato nazionale", al contrario dell'ormai ex-monopolista Enel, la cui quota sul mercato italiano si è ridotta al 30%. In pratica, i vantaggi di prezzo che si riescono a spuntare sono talmente minimi in un mercato così poco concorrenziale, che decade ogni incentivo a cambiare fornitore.


15 ottobre 2010

Da Edoardo I a Formigoni: i divieti di bruciare biomasse senza filtri

«Fair is foul, and foul is fair: Hover through the fog and filthy air», minacciano le tre streghe in Macbeth. E già dal tono si capisce che ai tempi di Shakespeare il problema dell'aria inquinata dava parecchio da pensare ai londinesi. Non a caso il termine smog è stato coniato a Londra nel 1905, da una contrazione di smoke e fog.

Per i lombardi il problema è più recente, ma anche qui la famosa nebbia padana ha sempre avuto una componente rilevante di «fumo di Londra», in forma di particolato, emesso dalla combustione di biomasse e carbone senza filtri. Per non parlare delle caldaie a olio combustibile, oggi più diffuse e quindi più importanti nella formazione del mix micidiale che chiamano aria in Lombardia.

La Regione Lombardia cerca di risolvere il problema, vietando anche quest'anno, per la terza volta, l'accensione di stufe e camini senza filtri certificati e di caldaie a olio combustibile per scaldarsi d'inverno in tutti gli agglomerati urbani (definiti zona A1) e nei Comuni al di sotto dei 300 metri di altitudine. Il limite dei 300 metri è giustificato da un noto fenomeno termo-climatico: tutto ciò che viene immesso nell'atmosfera sotto i 300 metri non si disperde, come se ci fosse una sorta di tappo che non consente il ricambio d'aria.

Ma il divieto regionale, che scatta venerdì 15 ottobre e resta in vigore fino al 15 aprile, è del tutto teorico, dato che non esiste un censimento dei camini fuori norma. La Regione intende avviare a breve un censimento, per registrarli al catasto regionale degli impianti termici e arrivare, in futuro, a una certificazione di questo tipo di impianti come avviene oggi per le caldaie a gas. Ma sarà una battaglia lunga: nemmeno quella contro le caldaie a olio combustibile è stata ancora vinta.

Nel frattempo, i lombardi continuano allegramente ad accendere stufe e caminetti senza rendersi conto di quanto sia pericoloso quello che buttano fuori (e dentro casa). La combustione di biomasse senza controllo, e quindi senza postcombustione, con bassa temperatura dei fumi e senza filtri al camino, emette quantità enormi di polveri, diossine e furani. Non a caso, è una delle principali cause di morte nei Paesi in via di sviluppo, dov'è usata comunemente anche per la cottura dei cibi. Tanto è vero che la legge italiana, così permissiva con i privati, è invece molto rigorosa con le imprese che bruciano biomasse e le obbliga a utilizzare sistemi sofisticatissimi di depurazione, simili a quelli dei termovalorizzatori.

Divieti simili a quello lombardo, ma presi molto più sul serio, esistono in tutto il Centro e Nord Europa, da almeno cinquant'anni e, in particolare, nel Regno Unito dal 1956, quattro anni dopo la terribile strage di Londra del dicembre 1952, quando ben 12mila morti furono attribuiti ai fumi delle stufe. In quei drammatici primi giorni di dicembre, che i londinesi ricordano come «The Great Smog», una forte inversione termica creò una cappa letale formata principalmente da particolato e biossido di zolfo sulla città: si stima che i valori di PM10 tra il 5 e il 10 dicembre si aggirasse sui 5000 microgrammi per metro cubo.

Per fare un confronto, i valori di punta raggiunti a Milano non vanno oltre i 400 microgrammi. Le cronache del tempo riportano che in alcune zone di Londra fosse impossibile vedersi i piedi, sia fuori che dentro casa. Una rappresentazione teatrale de «La Traviata» venne sospesa, per l'impossibilità di vedere il palco. Le autorità sconsigliarono in alcuni quartieri di far andare i figli a scuola da soli, per paura che si perdessero e gli autobus andavano letteralmente a passo d'uomo: il bigliettaio li precedeva a piedi per evitare gli incidenti e gli investimenti dei pedoni. La mattina del 6 dicembre l'aria era completamente irrespirabile e la gente accusava malori di ogni tipo. La mortalità salì in città a 900 decessi giornalieri, contro i normali 270 e continuò così fino ai primi giorni di gennaio.

Quella del 1952 non fu la prima strage da inquinamento e non sarà nemmeno l'ultima: è solo la meglio documentata. Episodi paragonabili a questo si ripetono dal lontano 1200: il primo editto contro la combustione del carbone a Londra fu emesso da Edoardo I nel 1272. Riccardo III (1377-1399) e Enrico V (1413-1422) fecero del loro meglio per limitare i danni. Invano. Roberto Formigoni sembra sulla buona strada per l'iscrizione allo stesso club.