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26 settembre 2005

Carbone, piace a tutti ma nessuno lo usa

Il parere del governo in carica si conosce: «Entro il 2010 dovremo essere in grado di sostituire il petrolio con il carbone pulito e il gas», dice il ministro delle Attività Produttive Claudio Scajola. Perfino il ministro dell' Ambiente, Altero Matteoli, sostiene che «il carbone non va criminalizzato». E il premio Nobel Carlo Rubbia concorda: «Il carbone è oggi sulla terra il combustibile più ricco, ne abbiamo per 230-240 anni, contro i 30-40 anni di petrolio e gas». Un coro di consensi, eppure il piano di riconversione di Enel dal petrolio al carbone stenta ad avanzare. La trasformazione della centrale di Civitavecchia procede a rilento per le continue proteste locali, a Porto Tolle non sono ancora complete le lunghissime procedure autorizzative, mentre la battuta d' arresto per Rossano Calabro, destinata a uscire dal mercato se non si converte al carbone, è ormai considerata definitiva. E anche sull' ipotesi carbone per Montalto si sta scatenando un diluvio di polemiche. Perché? L' unico produttore italiano impegnato fortemente sul fronte del carbone oggi è l' Enel. Tutti gli altri fanno solo centrali a gas. Edison sta costruendo con ExxonMobil un terminale di rigassificazione da 4 miliardi al largo di Rovigo, che alla fine del 2007 consentirà d' importare dal Qatar 8 miliardi di metri cubi di gas all' anno, il 10% dei consumi italiani. «Il carbone non riduce le bollette degli utenti ma i costi di produzione delle aziende elettriche», sostiene Umberto Quadrino, presidente di Edison. E la battaglia di Eni contro il carbone è nota: prima del varo della riforma Marzano, che promuove il suo uso, l' ex amministratore delegato Vittorio Mincato è intervenuto davanti alla commissione Industria del Senato con un invito al legislatore ad essere «molto cauto nel sostenere la generazione di energia elettrica attraverso il carbone, perché il carbone più pulito inquina comunque molto». L' Enel invece è di tutt' altro avviso. «Con la conversione a carbone delle nostre centrali di Civitavecchia e Porto Tolle - spiega il nuovo amministratore delegato Fulvio Conti - ridurremo drasticamente i costi di produzione e così i prezzi dell' energia potranno scendere del 20 per cento, riavvicinando la bolletta italiana a quella media europea. Useremo una tecnologia all' avanguardia - spiega Conti - che riduce fino all' 80 per cento i livelli d' inquinamento rispetto agli impianti tradizionali» e consente di tagliare «anche del 18% le emissioni di anidride carbonica per chilowattora prodotto». Con le nuove tecniche di combustione, oltre ad abbattere il particolato, gli ossidi di azoto e di zolfo, si migliora talmente l' efficienza da ottenere un vantaggio anche sulle emissioni di carbonio, che alimentano l' effetto serra e sono ormai limitate per legge in base al protocollo di Kyoto. «Ma per fare un confronto corretto fra gas e carbone - sostiene Andrea Clavarino, presidente di Assocarboni - bisogna prendere in esame anche le emissioni precombustione, che nei giacimenti di gas da cui si approvvigiona l' Italia sono altissime: in particolare in Russia, la percentuale di CO2 nel gas naturale arriva al 20% del volume e al momento dell' estrazione viene semplicemente rilasciata nell' atmosfera. Mettendo a confronto le emissioni complessive, si scopre che fra gas e carbone non c' è poi tanta differenza». Non a caso il carbone galoppa: «Nel 2004 la domanda globale è cresciuta del 7%, un balzo più che doppio rispetto agli altri combustibili fossili (il petrolio è cresciuto del 3%, il gas del 2,7%) - spiega Clavarino -. Negli ultimi sei anni i consumi di steam coal, quello che serve per mandare avanti le centrali, sono cresciuti del 60 per cento». Già oggi viene dal carbone il 32% dell' elettricità europea e il 39% di quella mondiale, mentre in Italia la sua quota si ferma al 14%.

22 settembre 2005

L'irresistibile ascesa dell'etichetta intelligente

Il codice a barre può fare molte cose per un tubetto di dentifricio, ma non può rivelare al padrone del negozio la sua provenienza o il suo sapore, né comunicargli quando è stato tirato giù dallo scaffale o se qualcuno sta cercando di rubarlo. Inoltre il codice a barre è capace di dire tutto quello che sa solo se messo faccia a faccia con un lettore, a pochi centimetri di distanza. Mai potrebbe farlo senza tirare fuori il tubetto di dentifricio dal carrello del supermercato e men che meno al buio, cioè attraverso una confezione già incartata o uno strato di ghiaccio, condensa, sporco. Le etichette intelligenti Rfid, dotate di un minuscolo chip e di un'antennina in grado di trasmettere via radio le informazioni utili sull'oggetto che le ospita, invece, sono capaci di fare tutto ciò. Ecco perché stanno sostituendo i codici a barre in moltissimi prodotti di largo consumo. Wal-Mart, il più grande dettagliante del mondo, ha imposto ai suoi fornitori l'uso dei radio tag in tutta la catena logistica entro la fine di quest'anno e anche in Europa le più grosse catene di supermercati, come Tesco e Metro, stanno sperimentando: Metro ha aperto un grande negozio basato su questa tecnologia alla periferia di Duesseldorf e Tesco ha fatto lo stesso a Hazel Grove, vicino a Manchester. Non stupisce l'ottimismo di Kevin Ashton, direttore dell'AutoID Center del Massachusetts Institute of Technology (punto di riferimento centrale dello studio su questa tecnologia nel mondo), che calcola "venti miliardi di tags in uso entro il 2006 e mille miliardi entro il 2010". Ma la nuova frontiera dei chip Rfid, detti anche radio tag, sta nel terziario. Dai servizi bancari alle cantine di stagionatura del parmigiano, dalle sale del pronto soccorso ai pacchi postali, passando per i biglietti della metropolitana e per gli skipass. In Giappone, grazie all'iMode, i cellulari dotati di chip Rfid possono già essere utilizzati per i micropagamenti. Negli Stati Uniti la JP Morgan Chase ha lanciato in giugno una nuova carta di credito chiamata Blink, che oltre alla tradizionale banda magnetica dispone di un chip a radiofrequenza capace di dialogare con uno speciale lettore a diversi metri di distanza. Con questo nuovo sistema i clienti potranno pagare il conto in meno di 20 secondi, il che dovrebbe ridurre sensibilmente le attese alla cassa. Stesso discorso, in Italia, per gli impianti di risalita sulle Dolomiti, dove a partire dall'ultima stagione invernale 4 milioni di pass sono stati muniti di chip Rfid per sveltire le code degli sciatori. Nel consorzio di latterie sociali mantovane Virgilio, invece, l'Rfid viene utilizzato, affogato in una placca di caseina, per facilitare la tracciabilità delle forme nel corso del processo di stagionatura, che dura diversi mesi. Poi c'è l'universo della sanità: dalla tracciabilità del farmaco al monitoraggio del tempo di permanenza di un paziente in ospedale. Tutti usi già sperimentati negli Stati Uniti. In realtà la tecnologia alla base dei radio tag, chiamata Radio Frequency Indentification, è applicata da anni sotto diverse forme nei processi industriali. I sistemi anti taccheggio, ad esempio, sono uno degli usi più comuni, ma anche il telepass si basa sullo stesso concetto: un circuito radio ridotto ai minimi termini che nella sua forma più tipica dispone di un'antenna ricevente, un trasmettitore, una batteria e una memoria. Nati dalla ricerca militare nei primi anni del dopoguerra, questo tipo di apparecchi - molto più voluminosi e costosi di un radio tag - vengono usati in tutto il mondo per identificare oggetti in transito, ad esempio per localizzare vagoni merci sulla rete ferroviaria o colli sui tapis roulant di un centro d'interscambio logistico, per definire con esattezza il contenuto di un container o di un camion anche mentre questo è in movimento, per dialogare con le componenti di una catena di montaggio nell'industria automobilistica… Il salto di qualità che sta segnando il passaggio dell'Rfid dalle applicazioni industriali a quelle retail dipende dalla progressiva miniaturizzazione del chip, che ora non ha più nemmeno bisogno di una batteria perché sfrutta direttamente il segnale radio inviato dal lettore per attivarsi. L'assenza di batterie garantisce ai radio tag passivi una durata illimitata, un peso irrisorio e un costo minimo (dai 5 ai 50 centesimi di euro a seconda della capienza). Il chip, non più spesso di un capello, viene incastonato tra due fogli di carta insieme a un'antenna sottilissima - avvolta a spirale attorno al microprocessore - per produrre un'etichetta non più grande di quella del codice a barre. Anzi, oggi viene spesso incastonato nella stessa etichetta del codice a barre, per consentire una doppia lettura. Ma può venire immesso tranquillamente anche nel ciclo produttivo, ad esempio inserendolo nel tessuto dei capi di abbigliamento (come ha fatto Prada nel suo famoso megastore interattivo di Soho, a Manhattan). E' proprio questo che preoccupa le associazioni impegnate sul fronte della tutela della privacy, che temono scenari alla Grande Fratello con milioni di chip inseriti in tutti i prodotti di consumo, capaci di comunicare alle case di produzione tutti i nostri movimenti, gusti e abitudini. Katherine Albrecht, fondatrice e presidente di Caspian (Consumers Against Supermarket Privacy Invasion and Numbering), ha lanciato una vera e propria crociata contro i radio tag negli Stati Uniti, sostenendo che molti produttori le utilizzano in gran segreto per controllare meglio i propri canali di vendita e scatenando una profonda diffidenza nei consumatori per questa nuova tecnologia. "Una lattina di aranciata sarà il nuovo volto nascosto del Grande Fratello", ammonisce la Albrecht. La risposta di Ashton e compagni alle critiche della vestale della privacy sono prudenti, ma ferme: "I chip più pervasivi saranno quelli più economici, cioè quelli senza batteria, il che riduce drasticamente a meno di cinque metri la distanza da cui un oggetto può essere tracciato. Sarà quindi impossibile per i produttori seguire i loro prodotti fin dentro le nostre case. Ma anche se fosse possibile, come potrebbero seguire miliardi di tag e riuscire a dare un senso a questa enorme massa d'informazioni?" Malgrado ciò, l'AutoID Center consiglia ai suoi clienti, cioè a tutte le grandi multinazionali dei prodotti di consumo, da Procter & Gamble a Unilever, di informare sempre con accuratezza in quali prodotti è inserito un radio tag e di offrire alla gente la possibilità di neutralizzarli con un apparecchio che potrebbe essere collocato all'uscita di ogni supermercato.

19 settembre 2005

Skype, l'ammazzabolletta arriva sul cellulare

Skype, con il suo servizio di voce su protocollo Internet, sta rivoluzionando il mondo della telefonia fissa. Ma non è che l' inizio: dal fisso ormai si può passare al mobile, con almeno tre programmi. Niklas Zennstrom e Janus Friis, i due fondatori di Skype, hanno aperto i loro codici in primavera e nel giro di pochi mesi è cominciata la fioritura: tra le applicazioni più interessanti c' è un software americano, iSkoot, e due europei, IPdrum e Jajah Mobile. In più, la settimana scorsa, prima di firmare l' accordo con eBay, i due scandinavi hanno concluso la prima alleanza ufficiale di Skype con un operatore mobile, il tedesco E-Plus. I norvegesi di IPdrum sono stati i primi. Con questo software di trasferimento è possibile fare e ricevere chiamate con il telefonino in modalità IP, cioè usando la connessione a banda larga del pc e quindi spendendo molto meno. Il vantaggio è eclatante soprattutto per le telefonate internazionali. Il trucco è facile se si ha un pc sempre acceso con una connessione a banda larga, il programma Skype già caricato e una Sim associata: bisogna chiamare il secondo cellulare, collegato con il pc attraverso un cavetto Usb, e dare il numero con cui si vuole essere collegati. Il software norvegese usa il pc come router per trasferire gratuitamente la chiamata dal primo al terzo telefonino, che può anche essere dall' altra parte del globo. Resta il costo della telefonata locale: abbattibile con le tariffe agevolate degli operatori per un numero predefinito. I due fratelli Guedalia, fondatori di iSkoot, hanno messo in rete il loro prodotto alla fine di agosto per 10 dollari all' anno e sono già sommersi dalle richieste, perché elimina la chiamata locale, riducendola a un semplice sms. Il messaggio può contenere un numero telefonico normale o la sigla di un altro utente Skype. Il software iSkoot estrae dal messaggio il numero da chiamare e usa il pc di casa come ponte per avviare la conversazione direttamente in modalità IP, un processo che normalmente dura dagli otto ai quindici secondi. Se la chiamata è verso un altro utente Skype, è gratis. Altrimenti costa due o tre cent al minuto per il Nord America, l' Europa o l' Estremo Oriente, qualcosa in più per i Paesi in via di sviluppo. Tipico frutto di Kendall Square, il quartiere di Cambridge che si estende attorno al Massachusetts Institute of Technology, iSkoot è un prodotto già molto sofisticato, ampiamente testato e messo in vendita da una compagnia abbastanza strutturata da reggere l' impatto di una vasta clientela. Jacob Guedalia, laureato in fisica all' Istituto Weizmann, è una vecchia conoscenza negli ambienti più innovativi di Boston, perché ha già avviato e venduto tre diverse start-up, fra cui Mobilee, un' azienda che produce sistemi di riconoscimento della voce, ceduta l' anno scorso a Nms Communications per 13 milioni di dollari. I principali operatori mobili nordamericani, come Verizon o Cingular, lo prende molto sul serio, tanto che hanno già minacciato di verificare la legalità del loro sistema. Gli austriaci di Jajah, che hanno appena messo in rete una versione beta del loro software, rientrano in una categoria diversa: non si appoggiano al software Skype ma si considerano suoi diretti concorrenti, perché operano anche nel campo del fisso, lasciando però dialogare liberamente i loro clienti con gli utenti Skype (che invece è un sistema chiuso). La versione Jajah Mobile per i telefonini funziona solo dai cellulari con un browser da cui bisogna collegarsi direttamente al sito di Jajah per poi chiamare in modalità IP anche qui soprattutto sulle telefonate internazionali o ad altri utenti Jajah o Skype.

12 settembre 2005

Scaroni cambia cappello e opinione

A quattro mesi dalla nomina a capo dell' Eni, Paolo Scaroni si presenta la prossima settimana al mercato con qualche prima indicazione sui suoi piani per il futuro e gli analisti non cessano di aggiornare all' insù i target di prezzo, in attesa di consistenti novità. Ma in questo periodo di assestamento il nuovo timoniere dell' unica vera multinazionale italiana si è perfettamente sintonizzato sulla diversa lunghezza d' onda: se prima, quand' era a capo di Enel, era tutto per il carbone, ora è tutto per il gas; se prima si batteva per la neutralizzazione della rete Snam (di cui era il principale cliente), ora sembra deciso a difendere il suo asset fino in fondo. Cambiamento legittimo: come ha scritto nel suo libro Professione manager, l' interesse dell' azienda è sovrano. Ma data la profonda rivalità delle due società che si è trovato a guidare, oggi la sua posizione è particolarmente delicata, anche perché senza precedenti. Il primo nodo importante cui va incontro Scaroni è la cessione della rete: «Procederemo a breve allo scorporo della rete Snam dall' Eni», ha dichiarato l' interventista Claudio Scajola, lasciando tutti interdetti. In realtà, la rete è già stata scorporata e anche parzialmente privatizzata (l' Eni ne controlla circa il 50%), ma quel che intende Scajola è ben altro: una vera e propria smobilitazione, al di sotto del 20 per cento o addirittura del 5 per cento, come chiedono le autorità regolatrici. Vittorio Mincato, del resto, aveva già deciso di mollare. E lo stesso Scaroni, quand' era all' Enel, si era spinto molto in là sulla necessità di neutralizzare la rete, magari fondendola con Terna: «Fra Terna e la rete Snam ci possono essere delle sinergie vere», ragionava all' inizio del 2003. «Ho esaminato attentamente quello che è successo in Inghilterra tra National Grid e Lattice - precisava, sostenuto dall' allora ministro delle Attività produttive Antonio Marzano, che aveva già incaricato Mediobanca e Goldman Sachs di studiare i particolari di fusione e privatizzazione delle due reti - e ho visto che le sinergie hanno superato le aspettative». Ma ora che è passato ai vertici del cane a sei zampe, Scaroni ha cambiato idea: «Le terapie suggerite dall' Authority sono un unicum in Europa», è stato il suo commento critico alla recente relazione annuale di Alessandro Ortis, che chiede da anni l' uscita di Eni dalla rete. «Nella seconda direttiva europea - ha insistito Scaroni - non si parla di terzietà ma solo di separazione della rete». Altro che neutralizzazione. Il dietro-front è stato profetico: nel corso del suo recente incontro con Silvio Berlusconi a Sochi, sul Mar Nero, Vladimir Putin ha indicato il suo interesse per una partecipazione diretta di Gazprom nella rete Snam. La prospettiva di una smobilitazione precipitosa, entro il luglio 2007, come quella che si profila, ha acceso dunque l' appetito dei concorrenti stranieri, soprattutto alla luce del responso dell' Antitrust sull' operazione gemella, con cui l' Autorità di Antonio Catricalà si è opposta al trasferimento di una corposa quota azionaria di Terna alla Cassa depositi e prestiti, se non ridurrà drasticamente la sua partecipazione in Enel, ora al 10%. Anche per Snam Rete Gas si prospettava il timone della Cassa, che ha già il 10% dell' Eni. Ma ora il ruolo della Cdp è congelato. E Scaroni si trova a fronteggiare i primi pretendenti con le spalle un po' scoperte. Sulla questione dei combustibili più convenienti, il manager fa oggi altre valutazioni e sottolinea come il problema centrale sia ampliare l' offerta di gas. Scaroni, che aveva messo il carbone al centro della strategia di Enel per la prima volta nella storia della compagnia, nei suoi tre anni di gestione non si era mai stancato di rimarcare l' eccessiva dipendenza dell' Italia dal gas: «In Europa l' energia elettrica viene prodotta al 70% da carbone e nucleare, mentre in Italia al 70% da olio combustibile e gas. Il risultato di questa differenza si traduce in un costo del kilowattora diverso: se il costo variabile, ovvero il costo del combustibile di un kilowattora, in Italia è 100, allora in Germania è 55, in Spagna è 53 e 38 in Francia. «Da questi numeri si può capire perché l' energia elettrica prodotta in Italia costi di più che nel resto d' Europa», spiegava nel maggio 2003. La predilezione per il carbone per il capo di un' azienda elettrica in cerca di competitività era inevitabile. Ma la riscossa del carbone promossa da Scaroni mandava su tutte le furie Vittorio Mincato, preoccupato dal rischio incombente di un eccesso di gas nel caso venissero a mancare i consumi delle centrali Enel. La strategia di Scaroni - accusava Mincato - vorrebbe sacrificare l' obiettivo di un ambiente più pulito sull' altare di un' ipotetica riduzione dei costi». Ora che è passato all' Eni, Scaroni del gas dice: «Capisco le preoccupazioni dell' Autorità - commenta Scaroni - per un andamento che si acuisce quando il prezzo del greggio sale. Anche l' Eni è preoccupato, ma vorrei ricordare che dall' avvio della liberalizzazione le tariffe del gas hanno registrato un calo dell' 8% in termini costanti».

1 settembre 2005

Codice a barre contro "radio tag": non c'è gara

Il codice a barre può fare molte cose per un tubetto di dentifricio, ma non può rivelare al padrone del negozio la sua provenienza o il suo sapore, né comunicargli quando è stato tirato giù dallo scaffale o se qualcuno sta cercando di rubarlo. Inoltre il codice a barre è capace di dire tutto quello che sa solo se messo faccia a faccia con un lettore, a pochi centimetri di distanza. Mai potrebbe farlo senza tirare fuori il tubetto di dentifricio dal carrello del supermercato e men che meno al buio, cioè attraverso una confezione già incartata o uno strato di ghiaccio, condensa, sporco. Le etichette intelligenti dotate di un minuscolo chip chiamato radio tag, invece, sono capaci di fare tutto ciò. Ecco perché sono avviate a sostituire i codici a barre. Gillette ha già cominciato a inserire queste etichette intelligenti in tutti i suoi prodotti (pare ne abbia ordinate un miliardo al produttore, Alien Technology) e Wal-Mart, il più grande dettagliante del mondo, ha deciso d'imporre ai suoi primi cento fornitori l'uso dei radio tag in tutta la catena logistica entro la fine di quest'anno, mentre gli altri 12mila fornitori avranno tempo fino alla fine dell'anno prossimo per adeguarsi. Anche in Europa le più grosse catene di supermercati, come Tesco e Metro, stanno sperimentando: Metro ha inaugurato qualche mese fa a Rheinberg, vicino a Duesseldorf, un negozio tutto basato su questa tecnologia e Tesco ha fatto lo stesso a Hazel Grove, vicino a Manchester. Non stupisce la previsione dell'istituto di ricerca Vdc, secondo cui il mercato dei radio tag sta crescendo del 25% all'anno. E nemmeno l'ottimismo di Kevin Ashton, direttore dell'AutoID Center del Massachusetts Institute of Technology (punto di riferimento centrale dello studio su questa tecnologia nel mondo), che calcola "venti miliardi di tags in uso entro il 2006 e mille miliardi entro il 2010". In realtà la tecnologia alla base dei radio tag, chiamata Radio Frequency Indentification e abbreviata in RFID, è già in uso da anni a monte dei supermercati, sotto diverse forme di applicazioni industriali. I sistemi anti taccheggio, ad esempio, sono uno degli usi più comuni, ma anche il Telepass si basa sullo stesso concetto: un circuito radio ridotto ai minimi termini che nella sua forma più tipica dispone di un'antenna ricevente, un trasmettitore, una batteria e una memoria. Nati dalla ricerca militare nei primi anni del dopoguerra, questo tipo di apparecchi - molto più voluminosi e costosi di un radio tag - vengono usati in tutto il mondo per identificare oggetti in transito, ad esempio per localizzare vagoni merci sulla rete ferroviaria o colli sui tapis roulant di un centro d'interscambio logistico, per definire con esattezza il contenuto di un container o di un camion anche mentre questo è in movimento, per dialogare con le componenti di una catena di montaggio nell'industria automobilistica… Il salto di qualità che sta segnando il passaggio dell'RFID dalle applicazioni industriali a quelle retail dipende dalla progressiva miniaturizzazione del chip, che ora non ha più nemmeno bisogno di una batteria perché sfrutta direttamente il segnale radio inviato dal lettore per attivarsi. L'assenza di batterie garantisce ai radio tag passivi una durata illimitata, un peso irrisorio e un costo minimo (dai 5 ai 50 centesimi di euro a seconda della capienza). Il chip, non più spesso di un capello, viene incastonato tra due fogli di carta insieme a un'antenna sottilissima - avvolta a spirale attorno al microprocessore - per produrre un'etichetta non più grande di quella del codice a barre. Anzi, al momento attuale viene spesso incastonato nella stessa etichetta del codice a barre, per consentire una doppia lettura. Ma in teoria potrebbe venire immesso direttamente nel ciclo produttivo, ad esempio inserendolo nel tessuto dei capi di abbigliamento (come ha fatto Prada nel suo famoso megastore interattivo di Soho, a Manhattan). E' proprio questo che preoccupa le associazioni impegnate sul fronte della tutela della privacy, che temono scenari alla "Grande Fratello" con milioni di chip inseriti in tutti i prodotti di consumo, capaci di comunicare alle case di produzione tutti i nostri movimenti, gusti e abitudini. Katherine Albrecht, fondatrice e presidente di Caspian (Consumers Against Supermarket Privacy Invasion and Numbering), ha lanciato una vera e propria crociata contro i radio tag negli Stati Uniti, sostenendo (forse a ragione) che non solo Gillette ma molti altri produttori la utilizzano già da tempo in gran segreto per controllare meglio i propri canali di vendita e scatenando una profonda diffidenza nei consumatori per questa nuova tecnologia. "Una lattina di aranciata sarà il nuovo volto nascosto del Grande Fratello", ammonisce la Albrecht. La risposta di Ashton e compagni alle critiche della vestale della privacy sono prudenti, ma ferme: "I chip più pervasivi saranno quelli più economici, cioè quelli senza batteria, il che riduce drasticamente a meno di cinque metri la distanza da cui un oggetto può essere tracciato. Sarà quindi impossibile per i produttori seguire i loro prodotti fin dentro le nostre case. Ma anche se fosse possibile, come potrebbero seguire miliardi di tag e riuscire a dare un senso a questa enorme massa d'informazioni?" Malgrado ciò, l'AutoID Center consiglia ai suoi clienti, cioè a tutte le grandi multinazionali dei prodotti di consumo, da Procter & Gamble a Unilever, di informare sempre con accuratezza in quali prodotti è inserito un radio tag e di offrire alla gente la possibilità di neutralizzarli con un apparecchio che potrebbe essere collocato all'uscita di ogni supermercato.

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