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28 febbraio 2011

Petrolio: andrà a finire come nel 2008?

La domanda da cento milioni è: andrà a finire come nel 2008? Il 2011 è cominciato con il prezzo del Brent allo stesso livello: 94,5 dollari al barile nel 2008, 95,1 nel 2011. Nel 2008 fu l'intervento militare turco al confine con l'Iraq ad accendere la speculazione e poi il fuoco divampò con la crisi dei test atomici iraniani, portando il barile a quota 145 dollari all'inizio di luglio. Quest'anno siamo già oltre i livelli del 2008, quando il petrolio superò quota 100 solo a fine febbraio.

Ma per Leo Drollas, tra i principali esperti mondiali in materia, è improbabile che si arrivi ai livelli del 2008, perché oggi c'è meno speculazione pura sui mercati. In base ai calcoli del suo Centre for Global Energy Studies, le posizioni degli speculatori, confrontate con quelle di protezione dalle perdite assunte ad esempio dalle compagnie aeree, sono nettamente più contenute di allora e in calo costante dallo scorso settembre. "In più, la capacità produttiva inutilizzata quest'anno è molto più alta rispetto al 2008, quando era scesa sotto al 4% della domanda mondiale, mentre oggi si avvale anche della produzione irachena", ha spiegato a margine dell'International Petroleum Week di Londra. Drollas ha ammesso, però, che la situazione potrebbe precipitare da un momento all'altro se i disordini contagiassero i Paesi del Golfo: "La Libia è il primo produttore colpito dalla rivolta. Ora le compagnie petrolifere sono costrette ad andarsene. Se tutto va bene torneranno presto, ma ci vorrà comunque del tempo per riprendere la produzione. E se la rivolta dovesse estendersi ai Paesi del Golfo, allora i rischi per il mercato petrolifero diventerebbero altissimi. Di fronte a uno scenario simile è impossibile fare previsioni". A prescindere da questa ipotesi preoccupante, comunque, Drollas è convinto che le quotazioni del Brent siano destinate a rimanere alte anche sul lungo termine, sempre attorno ai 100 dollari al barile da qui al 2020.

La precipitosa fuga dai mercati emergenti, registrata nella prima settimana di febbraio dalla società di analisi Epfr, si può riallacciare all'ondata d'incertezza scatenata dalla violenza in Egitto e dal caro-greggio, ma non solo. In base al monitoraggio di Epfr, i mercati emergenti hanno perso ben 7 miliardi di dollari in investimenti azionari nei primi giorni del mese, altri 3 miliardi nella seconda settimana e oltre 6 miliardi nella terza. Da fine gennaio ad oggi, quasi 18 miliardi di dollari si sono spostati dai mercati emergenti a quelli sviluppati, principalmente verso gli Stati Uniti. Una cifra senza precedenti, per un'area che prima della fuga era arrivata ad attrarre 720 miliardi di dollari, di cui ben 95 affluiti solo nell'ultimo anno. All'interno degli emergenti, poi, c'è stato un travaso dall'Asia verso la Russia, su cui si sono riversati 1,22 miliardi dall'inizio dell'anno, mentre Cina e India insieme ne hanno persi 3 nello stesso periodo. Tutto merito delle risorse energetiche che caratterizzano il mercato russo e ne costituiscono la principale attrazione, di questi tempi.

La fiammata delle rivolte in Nord Africa e delle quotazioni petrolifere non sono l'unica ragione della fuga dagli emergenti. "Ma se un gestore stava già pensando di uscire, i disordini in Egitto gli hanno dato la spinta finale", commenta Cameron Brandt di Epfr. La paura dell'inflazione, spinta dai rincari degli alimentari e delle materie prime, è un altro fattore decisivo. Tutti i grandi emergenti, dalla Cina all'Indonesia, dal Brasile all'India, stanno combattendo il surriscaldamento dell'economia a colpi di rincari del costo del denaro: Pechino ha alzato i tassi per tre volte da ottobre, fino al 6,06%, Giacarta è intervenuta il 4 febbraio portandosi a quota 6,75%, il Brasile è stato ben più aggressivo, con quattro rialzi fino all'11,25%, e la banca centrale indiana è arrivata al 6,5% con sette correzioni.

Resta da chiedersi se la grande fuga è solo una reazione a caldo o si trasformerà in un trend stabile, come tendono a pensare molti analisti del settore. Salta all'occhio anche in questo caso la somiglianza con un ciclo analogo partito all'inizio del 2008, in parallelo con la fiammata dell'oro nero. Nel 2008 gli emergenti persero in complesso 40 miliardi e l'Msci Emerging Market Index scivolò del 54%. Considerando che allora i mercati sviluppati erano nel bel mezzo di una crisi nera, mentre oggi sono in fase di ripresa, quest'anno potrebbe andare anche peggio.


24 febbraio 2011

La verità sugli incentivi: le rinnovabili pesano meno della metà

La polemica sugli incentivi al fotovoltaico divampa grazie all'autogol della legge salva-Alcoa (vedi post precedente), ma la verità - come dice giustamente il senatore Francesco Ferrante in un intervento sul sito QualEnergia - è che "nel nostro Paese i costi più gravosi sulle bollette energetiche non sono certo quelli dovuti alle rinnovabili". Gli incentivi per le fonti rinnovabili pesano infatti per meno della metà del totale degli oneri di sistema: "nel 2010 circa 2,7 miliardi su un totale di oltre 5,8 miliardi di euro ".

Oneri-bolletta_totale


Dalla torta qui sopra si vedono gli oneri in bolletta pagati dagli utenti nel 2010. Semplificando, si deduce che su 5,8 miliardi di euro complessivi, sborsati dagli utenti elettrici attraverso le varie voci che compongono la bolletta (individuate dalle sigle in parentesi), abbiamo speso:
- 2,7 miliardi per incentivare le fonti rinnovabili,
- 1,2 miliardi per incentivare le fonti fossili beneficiate dalla frazione "assimilate" del CIP6,
- 968 milioni di Iva (più volte denunciata dall'Authority come illegittima),
- 355 milioni di agevolazioni tariffarie per le Ferrovie,
- 285 milioni di oneri nucleari,
- 230 milioni di elargizioni varie, che non c'entrano con le fonti rinnovabili.

Per il passato, quindi, i detrattori degli incentivi alle fonti rinnovabili possono starsene tranquilli: non si sono certo svenati per l'energia verde, ma molto di più per le fonti fossili: negli ultimi dieci anni, il famigerato CIP6 ci è costato complessivamente 23 miliardi, finiti quasi tutti nelle tasche dei grandi baroni del petrolio.

Resta da chiedersi che cosa ci riserva il futuro, visto che incentivare 7 megawatt di fotovoltaico peserà sulla bolletta complessivamente 3 miliardi, da quando questi impianti cominceranno a funzionare.

Ma la prima cosa da fare, è rimettere ordine negli altri sussidi, spostandoli nella fiscalità generale.

 


21 febbraio 2011

Fotovoltaico: scottature da troppi sussidi

Cresce l'allarme per i mega-incentivi al fotovoltaico, i più alti d'Europa, che hanno finito per scatenare una corsa da tutto il mondo al sole del Bel Paese. A fine 2009, in Italia c'erano solo 1.142 megawatt di fotovoltaico, un quarto della Spagna e un ottavo della Germania. A fine 2010, potremmo sfiorare i 7mila megawatt, salvo registrazioni fraudolente che dovessero emergere dai controlli in corso.

Com'è potuto accadere un balzo di questa dimensione? Già l'aumento degli impianti allacciati alla rete nel 2010 è stato spettacolare: 1.850 megawatt, con un incremento del 160% rispetto alla potenza entrata in esercizio nell'anno precedente (711 megawatt), per arrivare a un installato complessivo di 3.070 megawatt. Ma fin qui siamo nei limiti del fisiologico. Anche in Germania l'anno scorso c'è stato un incremento maggiore rispetto al 2009: 3.300 megawatt installati contro i 3.100 dell'anno prima, toccando quota 11.500 megawatt a fine 2010. Oltre agli impianti regolarmente allacciati alla rete, però, a fine 2010 sono arrivate al Gestore dei Servizi Energetici comunicazioni per circa 55.000 ulteriori impianti, con una potenza di 3.771 megawatt, che a seguito della cosiddetta legge salva-Alcoa (un provvedimento omnibus nato per evitare la chiusura dello stabilimento Alcoa di Portovesme, concedendo alcuni privilegi alle isole) avranno diritto alle tariffe incentivanti 2010 anche se verranno allacciati entro giugno 2011, purché abbiano terminato i lavori di realizzazione entro il 31 dicembre 2010. Sono questi 3.700 megawatt che ballano a fare la differenza. In pratica, la corsa ai vecchi incentivi, più favorevoli rispetto alle nuove regole entrate in vigore all'inizio del 2011, ha provocato il balzo di fine anno.

"Un contesto in cui l'operatore non ha certezze normative, come si è visto con i certificati verdi, e viene continuamente sballottato da iniziative estemporanee, induce purtroppo un atteggiamento speculativo: appena si apre una finestra, tutti si precipitano a rastrellare quello che si può", spiega Vittorio Chiesa, direttore dell'Energy & Strategy Group del Politecnico di Milano. "Un sistema come quello tedesco, invece, dove gli incentivi si riducono automaticamente di anno in anno in base al numero delle installazioni, offre agli operatori ragionevoli certezze e un orizzonte temporale molto ampio per fare i propri calcoli, favorendo una costante evoluzione verso l'auto-sostenimento del settore". Anche il sistema italiano, in verità, aveva funzionato abbastanza bene fino all'anno scorso, con una spesa per gli utenti elettrici che lievitava gradualmente: nel 2008 il fotovoltaico pesava sulle bollette per 80 milioni, nel 2009 per 270 milioni e nel 2010 si sarebbe fermato a 755 milioni, contando solo gli impianti allacciati. Una bella cifra, ma di gran lunga inferiore a quella sborsata dagli utenti elettrici per i baroni delle fonti fossili, quei tre o quattro giganti del petrolio e del gas beneficiati dal Cip6 per le assimilate, che nel 2009 pesava per 900 milioni sulle bollette degli italiani.

Il discorso cambia aggiungendo anche i 3.700 megawatt della legge "salva-Alcoa", con cui si arriva a un peso complessivo di 3 miliardi. Decisamente troppi per scaricarli tutti d'un botto sulle spalle degli utenti elettrici. Ora bisognerà vedere se gli impianti comunicati al Gse erano stati effettivamente completati entro la fine del 2010 e quindi hanno diritto ad accedere alle tariffe 2010. In base ai primi controlli, il Gse parla di un 15% di irregolarità, cioè impianti che a fine 2010 in realtà non erano ancora completi o addirittura neanche iniziati. In base al volume degli investimenti passati dalle grandi banche e all'importazione di pannelli, c'è chi stima che addirittura la metà degli impianti comunicati sia "virtuale". A seconda delle regioni, poi, ci possono essere variazioni anche molto importanti su queste percentuali: in Sicilia sono emerse infiltrazioni mafiose nel settore e ci sono già diverse inchieste in corso nelle provincie di Trapani, Agrigento ed Enna. Il problema è che la legge "salva-Alcoa" ha aperto la falla ma non dà indicazioni su come chiuderla: il Gse non ha le forze per organizzare verifiche a tappeto e per ora ha controllato poche centinaia di impianti su 55mila. Intanto il tempo passa e chi non aveva terminato i lavori al 31 dicembre 2010 ora ci mette una pezza. Assosolare propone di istituire l'obbligo, per tutti quelli che chiedono l'applicazione della legge "salva-Alcoa", di produrre al Gse anche i documenti di fornitura e le bolle di consegna dei materiali, che dovrebbero far fede. "E' il minimo che si possa fare, per riportare in una cornice di eticità un provvedimento che era nato solo per correggere l'anomalia della lentezza degli allacciamenti alla rete e poi si è trasformato in una corsa disordinata", commenta Gualtiero Seva di Assosolare.

Resta il fatto che prima o poi quei 3.700 megawatt verranno in gran parte allacciati: se non si qualificheranno per gli incentivi 2010, rientreranno in quelli partiti dall'inizio di quest'anno, ridotti in media del 18%. Di conseguenza, già nel corso del 2011 si potrebbe raggiungere il target di 8.000 megawatt fotovoltaici, che il Piano d'Azione Nazionale sulle fonti rinnovabili aveva previsto per l'anno 2020. Un'accelerazione anomala, che rischia di costare cara agli utenti elettrici e di ritorcersi contro un settore che sembrava un fiore all'occhiello dell'Italia abbattuta dalla crisi.


18 febbraio 2011

La sfida di GreenTouch: un'antenna 100 volte più efficiente

Un'antenna per i cellulari capace di seguire ogni singolo utente con un unico "raggio" dedicato, invece di trasmettere il segnale radio a pioggia: GreenTouch parte da qui per la sua crociata, dedicata a ridurre di mille volte i consumi elettrici delle reti per bit trasportato, ossia comprimere i consumi unitari di tre anni al livello di quelli di un giorno. La nuova antenna, presentata a Londra, potrebbe ridurre di 100 volte il consumo di energia delle comunicazioni mobili, se utilizzata in multipli di cento. In pratica, sostituendo un singolo traliccio con cento piccoli trasmettitori, si consumerebbe solo l'un per cento dell'energia richiesta dall'antenna più grande per ottenere la stessa qualità del servizio. Ma questo è solo l'inizio.

L'obiettivo del consorzio - costituito un anno fa su iniziativa dei mitici Bell Labs di Alcatel-Lucent e ora partecipato da una quarantina di centri di ricerca privati e pubblici, compreso il Politecnico di Milano - è di presentare entro il 2015 una serie di elementi-chiave in grado di aumentare drasticamente l'efficienza energetica delle reti di comunicazione. E' un obiettivo ambizioso, considerato l'arco temporale limitato, ma non impossibile da raggiungere: GreenTouch raccoglie il meglio del know-how mondiale, dai laboratori privati di aziende anche concorrenti - come Huawei e Samsung, Swisscom e Telefónica - e dalla ricerca pubblica, come l'università di Cambridge o la Tsinghua University. "Abbiamo già in piedi 15 progetti che potrebbero rappresentare le specifiche di una nuova architettura, con una sostanziale revisione delle tecnologie correntemente impiegate", spiega Gee Rittenhouse, direttore dei Bell Labs e presidente di GreenTouch.

Rittenhouse è convinto che non ci sia tempo da perdere: "Già oggi, l'impronta ambientale delle comunicazioni è equivalente a quella di 50 milioni di auto, come dire tutte le auto circolanti negli Stati Uniti, ma nel giro di dieci anni è destinata a una crescita esponenziale". Si moltiplicano gli utenti, esplodono i dati e le applicazioni video stanno generando un'ondata senza precedenti di traffico. Prolungate sessioni con trasporto di grandi quantitativi di bit sono ormai la regola anche sulle reti mobili e quindi sui link radio, con un traffico dati che raddoppia di anno in anno. Nel prossimo futuro, ulteriori scenari stanno facendo intravedere grandi cambiamenti: il cloud computing, con la distribuzione di utenti, applicazioni, dati, risorse di calcolo e di archiviazione è il primo di questi. Le reti di comunicazione stanno per attraversare una trasformazione che farà impallidire quella pur rilevante del traffico stradale. Senza interventi radicali, i consumi energetici diventeranno un problema. Non a caso, Telecom Italia è il secondo consumatore di energia in Italia, dopo le Ferrovie dello Stato.

"L'unico sistema per migliorare in maniera rilevante l'efficienza energetica delle comunicazioni, è ripensare radicalmente l'architettura delle reti", precisa Rittenhouse. Al momento attuale, infatti, le reti si chiamano così, ma non sono una vera rete, a maglie omogenee: non assomigliano alle sinapsi che connettono fra loro i neuroni ma piuttosto a grandi arterie, che raccolgono il traffico periferico e lo convogliano tutto verso un punto solo. "In questo modo, si spreca un sacco di energia, che si risparmierebbe se le reti fossero più magliate e omogenee", fa notare Rittenhouse. Per far funzionare il cervello, abbiamo bisogno solo di 20 watt: l'uomo è un animale efficiente, dal punto di vista energetico. Se le sinapsi assomigliassero alle reti tlc, ci servirebbe molta più energia per pensare. L'obiettivo di GreenTouch è far diventare intelligenti anche le reti tlc. "Dai nostri calcoli risulta che basterebbe aumentare anche di poco la magliatura, per arrivare a una riduzione dei consumi di mille volte, come ci siamo prefissi", sostiene. Perché non si fa? "E' una questione di costi: l'attuale architettura delle reti è più economica dell'altra. Noi puntiamo a inventare delle tecnologie nuove, capaci di rendere altrettanto economica anche una rete più magliata e quindi più efficiente". In soli cinque anni, è una bella sfida.


13 febbraio 2011

New York, da incubo ambientale a città verde

La prima preoccupazione è logistica. Nel 2050 saremo oltre 9 miliardi, di cui l'80 per cento insediati nei centri urbani. Come faranno a funzionare le metropoli del futuro? Riusciranno ad accogliere i nuovi arrivati senza scivolare nel caos, senza far saltare le regole della convivenza civile? Ma soprattutto, come faranno a contenere l'impatto ambientale di questa trasformazione epocale entro limiti accettabili? Le metropoli più lungimiranti hanno già definito una strategia preventiva, per non farsi travolgere dalla marea montante.

Prendiamo New York: nel 2030, secondo le stime attuali, avrà un milione di abitanti in più rispetto agli 8,2 milioni dell'inizio millennio, con un aumento di 750mila posti di lavoro e un maggiore afflusso di turisti. Il sindaco Michael Bloomberg si è posto questo problema già nel 2005 e ha interrogato i cittadini. La risposta è stata corale, raccolta in migliaia di sedute del consiglio comunale, delle assemblee di zona e di quartiere. Bisogna pianificare in anticipo, altrimenti la nuova ondata potrebbe trasformarsi in un incubo. Così è nato PlaNyc, il nuovo dipartimento comunale per disegnare la New York del futuro. L'obiettivo è già delineato. Bisogna creare 265mila alloggi in più per accomodare i nuovi abitanti, rendendo al tempo stesso più economico e sostenibile il tessuto residenziale esistente. Bisogna aggiungere capacità ai trasporti pubblici, soprattutto le linee di metropolitana e i treni leggeri per i pendolari provenienti dall'entroterra, per ridurre i tempi di percorrenza. Bisogna dare a ogni newyorkese una zona verde nel raggio di dieci minuti a piedi dal suo alloggio.

A questo fine, è stato modificato il piano regolatore, per concentrare i nuovi insediamenti nelle zone ben servite dalla metropolitana e consentire il risanamento di 100mila alloggi già esistenti. Sono state installate 200 miglia di nuove piste ciclabili. E' stata varata una normativa che costringe all'upgrade energetico di tutti i grandi edifici esistenti e impone standard molto restrittivi alle nuove costruzioni. Sono stati piantati 320mila alberi. Sono stati riqualificati e aperti al pubblico 113 spazi ricreativi fino a ieri riservati alle scuole. Times Square, Herald Square e Madison Square sono diventate pedonali, nell'ambito di un progetto destinato ad allargarsi progressivamente.

Ma New York non diventa solo più grande, sta anche invecchiando. Le reti dell'acqua e dell'energia nel 2030 avranno un secolo di vita: la rete elettrica risale agli anni Venti e i due tunnel dell'acquedotto sono stati completati nel 1936. Il terzo tunnel, recentissimo, finalmente provvederà al backup del sistema in caso di emergenza. Il 70% delle centrali elettriche della metropoli, a sua volta, avrà più di 50 anni nel 2030, con il relativo calo di efficienza: una centrale di più di 30 anni può consumare anche il doppio del combustibile rispetto a una più recente. Bisogna dunque rinnovare le reti, sostituire le centrali obsolete e trovare nuove fonti per coprire l'aumento della domanda.

La sfida più ampia è disinnescare i rischi ambientali derivanti dalla crescita e dalle fragilità infrastrutturali: è qui che si riallacciano tutti i fili della strategia complessiva di PlaNyc.

Il primo obiettivo, su questo fronte, è di ottenere l'aria più pulita fra le grandi città americane. Sono già stati fatti progressi su quasi tutti gli inquinanti, dagli ossidi di azoto alle PM10 - che oggi rientrano nei limiti prescritti dall'Environmental Protection Agency - ma non sulle PM2,5 e sull'ozono, che sforano regolarmente i valori di legge. Questi sono i due punti dolenti, che New York condivide con Los Angeles, Chicago, Houston e Washington, ma si sta impegnando a migliorare, con la riconversione all'ibrido delle sue auto gialle e con severe restrizioni sugli scuolabus, ad esempio. Altro punto dolente sono i terreni contaminati: il comune ne ha censiti a decine, occupati da ex complessi industriali oggi in gran parte dismessi, per un'estensione complessiva di 700 ettari, e li sta bonificando uno ad uno. Poi ci sono le vie d'acqua: già oggi sono più pulite di prima della rivolzione industriale, ma il sindaco Bloomberg vuole fare di meglio. L'obiettivo è di aprirne il 90% all'utilizzo ricreativo dei newyorkesi, dal nuoto alla pesca, passando per il canottaggio. Le acque esterne sono già quasi tutte pulite, ma per le acque interne resta il problema degli sversi fognari insufficientemente depurati, oltre ad alcuni scarichi industriali. La prima mossa è stata di potenziare i 14 impianti di depurazione. E sul lungo termine l'obiettivo è rivitalizzare le zone umide della città, che rappresentano un filtro naturale: ne sono rimaste solo 14 miglia quadrate, contro le 100 miglia dell'inizio del '900. Con la protezione di queste zone, Bloomberg vuole invertire il trend, che fino ad oggi le ha viste progressivamente sparire dal territorio cittadino.

Mettendo insieme tutte queste misure, il risultato in termini di riduzione delle emissioni, dovrebbe essere un taglio del 30% al 2030, rispetto ai valori del 2005. Ma su questo numero, che rappresenta un distillato di tutta la strategia, si sta ancora discutendo. Il taglio conseguito in questi tre anni è già del 9%. Gli edifici comunali arriveranno a una riduzione del 30% entro il 2017. Può essere che in sede di aggiornamento, la prossima primavera, venga annunciato un obiettivo ancora più ambizioso.


11 febbraio 2011

Smart grid: all'incrocio fra energia e informazione

La sfida è imponente. Il consumo di energia elettrica è destinato a crescere esponenzialmente a livello globale: si calcola che bisognerà aggiungere 1 gigawatt di potenza alla settimana per i prossimi vent'anni. E il sistema si farà sempre più complicato: una parte di questa potenza aggiuntiva verrà da fonti rinnovabili come il vento e il sole, per loro stessa natura incostanti e parcellizzate. Il flusso dell'energia elettrica non sarà più unidirezionale, dalla centrale di generazione all'utente: con i pannelli solari su ogni tetto, sarà l'utente stesso a fornire energia alla rete. I consumi, a loro volta, si evolveranno: mentre ora i picchi della domanda sono concentrati nelle ore diurne della produzione industriale, con la diffusione dell'auto elettrica potrebbero spostarsi verso le ore notturne e con l'avanzare dei cambiamenti climatici il raffrescamento diventerà sempre più necessario, spostando i picchi stagionali dall'inverno all'estate. L'intelligenza delle reti sarà lo strumento principale per gestire questa complessità e consentire il bilanciamento del sistema, migliorando al tempo stesso il monitoraggio dei consumi, con conseguenti risparmi.

La parola d'ordine del futuro, dunque, è smart grid. "Dalla fonte di energia fino ai terminali di consumo, la rete dovrà essere sempre più intelligente, sempre più magliata, sempre più interattiva e capace di correggere i problemi in tempo reale, in modo da utilizzare al meglio le risorse a disposizione", spiega Keith Redfearn, responsabile delle smart grid per l'Europa del Nord all'interno di General Electric. Grazie allo sviluppo dell'eolico nel Mare del Nord, è proprio da queste parti che si stanno sviluppando le soluzioni più intelligenti per gestire le nuove sfide della produzione incostante. Non a caso è in Inghilterra, nel suo centro di ricerca di Bracknell, che General Electric ha aperto il suo primo Smart Grid Center. L'Italia, d'altra parte, è all'avanguardia su un altro tassello fondamentale delle reti intelligenti: il contatore elettronico. Con i nostri trenta milioni di smart meters, diffusi grazie a una decisione lungimirante dell'Enel, siamo diventati i pionieri di questo tipo di tecnologia a livello globale. La Francia, la Spagna e il Regno Unito ora ci stanno seguendo e si calcola che entro il 2015 saranno 100 milioni gli utenti europei dotati di un contatore elettronico. La diffusione di smart meters nell'80 per cento delle utenze è uno degli obiettivi ufficiali dell'Unione Europea al 2020. La crescita media di questo mercato è quasi del 20% all'anno.

Ma tutte le componenti sono importanti per costruire una rete intelligente. "Bisogna sviluppare una visione olistica del sistema, non ci sono killer application in questo business", precisa Redfearn. In pratica, si tratta di informatizzare a tappeto un'infrastruttura tipicamente old economy, come la rete ad alta tensione, in modo da farla diventare sempre più dinamica e interattiva. In una rete elettrica, infatti, è necessaria una perfetta corrispondenza fra domanda e offerta: se vi si immette troppa energia si sovraccarica e rischia di saltare, così come si rischia il blackout in caso di eccesso di domanda. Oggi l'energia viene prodotta da una serie di grandi centrali: basta metterle in ordine, in una scala dalle più alle meno efficienti (anche in termini di combustibile, dal più economico carbone al carissimo petrolio) e far partire le ultime solo in caso di bisogno. In questo modo i prezzi si orientano automaticamente al rialzo man mano che la domanda aumenta e le produzioni più costose si mettono in moto. Il flusso di energia nella rete non viene monitorato passo passo: si deduce semplicemente dal numero e dal tipo di centrali in funzione, senza bisogno di dialogare direttamente con gli snodi del sistema. Ma questo approccio deduttivo si sta rivelando sempre più obsoleto. In una giornata particolarmente assolata o ventosa ormai ci possono essere migliaia di piccole produzioni distribuite sul territorio che s'immettono in rete, senza una possibilità di controllo e di modulazione da parte degli operatori. Di qui la necessità sempre più urgente di applicare dei sensori sulla rete e di installare nelle centrali operative i relativi software geospaziali di monitoraggio, per dialogare direttamente con il territorio. "Solo così si potranno avere informazioni dirette e localizzabili sul flusso dell'energia elettrica, si potrà correggere rapidamente ogni errore di valutazione, migliorare la sicurezza, ottimizzare le risorse e prevedere le emergenze", commenta Redfearn.

Le reti elettriche del futuro, quindi, stanno all'intersezione fra energia e informazione. Ma la rivoluzione delle smart grid parte dall'utente: l'impegno dei consumatori è essenziale per renderle efficaci. Grazie agli elettrodomestici intelligenti e ai contatori elettronici, si può abbattere la domanda almeno del 10%, in base ai risultati di tutti i progetti pilota. E questo sarà l'effetto più spettacolare delle smart grid: introdurre nelle case di tutti noi una maggiore consapevolezza nell'utilizzo dell'energia, con il monitoraggio in tempo reale dei consumi. Un taglio che si aggiunge alle minori perdite di rete e si traduce in meno centrali da costruire, meno combustibili da bruciare e meno CO2 in atmosfera.


9 febbraio 2011

Alitalia con Solena alla prova bio-kerosene

Alitalia e Solena uniscono le forze nel settore biocarburanti.

Sul modello dell'accordo già raggiunto con British Airways, finalizzato alla riconversione dei rifiuti solidi urbani dell’area metropolitana di Londra in jet fuel per gli aeromobili che operano sull’aeroporto di Heathrow, i due gruppi hanno avviato anche in Italia uno studio di fattibilità relativo alla realizzazione di un impianto capace di riconvertire i rifiuti solidi urbani in una quota rilevante del jet-fuel necessario agli aeromobili di Alitalia, garantendo l’abbattimento delle emissioni di gas serra e la stabilità degli approvvigionamenti.

L’impiego della tecnologia di Solena, tramite il partner italiano Enalg, consentirà di produrre carburante aereo alternativo, attraverso un processo di gassificazione ad alta temperatura dei rifiuti che saranno trasformati in "syngas", a sua volta convertito poi in forma liquida.

L'iniziativa è legata alla nuova normativa europea, entrata in vigore anche in Italia all'inizio di questo mese, che estende alle attività di trasporto aereo gli obblighi di riduzione delle emissioni di gas a effetto serra. Rispetto alla media storica (2004-2006), le emissioni dovranno essere ridotte del 3% nel 2012 e del 5% nel 2013. Quando i vettori continentali dovranno iniziare a ridurre la CO2 o in alternativa acquistare i diritti di emissione corrispondenti, allora il kerosene carbon-neutral potrà rivelarsi la carta vincente anche sul piano della convenienza economica.

Nell’attesa, le compagnie aeree più previdenti si stanno adeguando.

Air France-KLM, Lufthansa, Virgin Atlantic e British Airways sono quelle più avanti con progetti mirati alla decarbonizzazione, in quanto prima degli altri si sono date una struttura organizzativa dedicata. KLM e Virgin hanno sperimentato i primi voli (B-747) alimentati a bio-kero già nel 2009, Lufthansa assistita da Airbus quest’anno sarà la prima ad aprire un collegamento di linea con A-321 a biojet, infine British con  Solena ha avviato il già citato progetto di costruire nei pressi di Londra un impianto BTL (Biomass To Liquids) che convertirà rifiuti urbani in biokerosene avio e bionafta, oltre a produrre energia elettrica.


7 febbraio 2011

Il sole del Rajasthan per l'italiana Archimede

Dopo avere conquistato il Portogallo, il solare termodinamico di Archimede Solar Energy arriva fino in India. La società italiana, controllata dal gruppo Angelantoni e partecipata al 45% da Siemens, realizzerà in consorzio una centrale solare termodinamica a sali fusi da 10 megawatt nel deserto del Rajasthan, chiamata Rajasthan Solar One, con un investimento di 60 milioni di dollari. 


4 febbraio 2011

Elettrodotti sottomarini, cresce Prysmian nel Mare del Nord

Procede a ritmo serrato lo sviluppo di nuovi parchi eolici nelle acque dell’Europa settentrionale. Sull’eolico offshore punta anche l’Olanda, il cui operatore della rete TenneT ha ottenuto dalla Bei un prestito di 450 milioni di euro per la costruzione di un elettrodotto di 83 chilometri tra L’Aia a Rotterdam, che permetterà di collegare il sistema elettrico olandese ai parchi eolici del Mare del Nord.

TenneT è anche responsabile del progetto SylWin1, che prevede il collegamento di impianti eolici offshore nel Mare del Nord per 288 megawatt alla terraferma tedesca, e ha affidato una commessa da oltre 250 milioni di euro a Prysmian, ex Pirelli Cavi, per realizzare il collegamento lungo un percorso di 159 chilometri in mare e di 45 chilometri sulla terraferma. Cavi e componenti di rete saranno realizzati tra il 2012 e 2013, mentre l’entrata in funzione del parco SylWin1 è attesa nel corso del 2014.


1 febbraio 2011

Scozia e Norvegia lanciano la sfida di NorthConnect

Il primo ministro scozzese, Alex Salmond, ha lanciato ieri un maxi-progetto per la realizzazione di un elettrodotto sottomarino attraverso il Mare del Nord, che collegherà il Regno Unito settentrionale alla Norvegia permettendo l’interscambio dell’energia pulita prodotta dai parchi eolici offshore britannici e dalle centrali idroelettriche scandinave.

Per la realizzazione del North Sea Interconnector hanno firmato un accordo, alla presenza di Salmond, la britannica Sse, la svedese Vattenfall e le norvegesi Adger Energi, E-Co Energi e Lyse, che hanno costituito la società di scopo NorthConnect con il supporto finanziario dello Scottish European Green Energy Centre. NorthConnect lavorerà per mettere a punto entro 3-4 anni gli studi di fattibilità tecnico-economica dell’elettrodotto, che sarà lungo 550-700 km e potrà funzionare in entrambe le direzioni.

"La Scozia è in una posizione ideale per divenire il magazzino dell’energia verde d’Europa, grazie a risorse stimate in 206.000 megawatt", ha dichiarato Salmond.