Pagine

26 agosto 2011

Dopo-Gheddafi: l'Eni riuscirà a mantenere la supremazia?

La major sono ai blocchi di partenza per riprendere gli affari con la Libia e l'Eni si porta avanti.

Paolo Scaroni ha ribadito, a margine della conferenza stampa del premier Silvio Berlusconi e del primo ministro del Comitato Nazionale Transitorio libico Mahmud Jibril, di non essere preoccupato per la supremazia dell'Eni come operatore estero in Libia a seguito del mutamento degli equilibri politici del Paese: "Sono tutti fatti contrattuali. Non è che uno si sveglia la mattina e cambia un operatore con un altro. Non c'è ragione di cambiare gli operatori che conoscono i campi, le persone, il sottosuolo. Non sono preoccupato".

La posta in gioco, per Scaroni e per l'Italia, è altissima: sotto il regime di Gheddafi, la Libia ci forniva il 23% del nostro fabbisogno di petrolio e oltre il 10% del gas. Ma Tripoli non esporta idrocarburi soltanto verso l'Italia: il 15% dell'export va in Francia, l'11% in Cina, il 10% in Spagna e un altro 10% in Germania. Quindi gli sbocchi alternativi non mancano al nuovo regime, che ha solo l'imbarazzo della scelta.

Garanzie per la validità dei contratti sottoscritti sotto il regime di Gheddafi sono arrivate nei giorni scorsi dal rappresentante dei ribelli per la ricostruzione, Ahmed Jehani. La speranza è che altre ne arrivino lunedì, quando l’Eni firmerà a Bengasi un’intesa per fornire benzina e gasolio al popolo libico in cambio di futuri pagamenti in petrolio. La compagnia guidata da Paolo Scaroni sta "lavorando attivamente per gli studi necessari per il ripristino dei campi petroliferi in Cirenaica e in particolare del campo di Sair".

Scaroni ha come priorità in Libia la ripresa delle forniture di gas, mentre per quelle di greggio si aspetta che la produzione riparta in 6-18 mesi. "Noi privilegiamo la ripartenza del gas. Mentre non esiste alcun problema di approvvigionamento per il petrolio, a me affrontare il prossimo inverno con una delle nostre fonti tradizionali di gas ferme non mi piace per niente", ha dichiarato Scaroni. "Abbiamo già detto che possiamo vivere senza le fonti di gas della Libia, che rappresenta il 10-12% del totale, ma gli altri fronti non ci danno totale tranquillità", ha spiegato. "Il nostro campo di Wafa è stato sempre in funzione, poi abbiamo due campi offshore. Il terreno più complicato è Melita da cui parte Greenstream che riemerge a Gela", ha sottolineato Scaroni.


15 agosto 2011

La guerra delle dighe infuria in silenzio

La guerra delle dighe infuria in silenzio. Scrive Giampaolo Russo, ex direttore affari istituzionali di Edison: "La Corte Costituzionale ha annullato per la seconda volta la norma nazionale volta a disciplinare il tema delle proroghe delle concessioni di grandi derivazioni idroelettriche. Di fatto le motivazioni sono le medesime: in entrambi i casi, non passando dalla Conferenza unificata Stato-Regioni, è stata violata la potestà concorrente delle Regioni. Gli operatori del settore sono sempre più disorientati, almeno quelli le cui concessioni sono scadute nel dicembre 2010 (alcune decine) o scadono entro il 2015".

Come già spiegato in queste pagine, si tratta di un problema gravissimo per il sistema elettrico italiano. L'idroelettrico, con quasi 51 terawattora, copre quasi il 18% della produzione elettrica nazionale e rappresenta oltre i due terzi della produzione da fonti rinnovabili: i ricavi del settore sono di poco superiori ai 3 miliardi di euro. I primi cinque operatori con una quota cumulata di poco superiore al 76%, sono A2a, la valdostana Cva, Edison, Enel e Eon. Enel da sola ha il 51% e ha le concessioni in scadenza al 2029. Parliamo quindi di una produzione sensibilmente rilevante per il bilancio energetico nazionale per la cui disciplina sarebbe (stata) auspicabile una stabilità o quantomeno una prevedibilità degli interventi! Quale impatto per gli operatori? Mettiamo il caso di un operatore che ha acquisito una grande derivazione nel 2001 avente scadenza nel 2010: ai sensi del decreto Bersani del '99, si trovava con una concessione dotata di un diritto di prelazione, assimilabile de facto ad una perpetuità sostanziale. Oggi quell'operatore si trova con una concessione scaduta, senza visibilità né della proroga, né dell'eventuale gara con i relativi requisiti, né dei criteri di valorizzazione dei suoi beni, nel caso di mancato rinnovo, incluso il recupero degli investimenti.

Cosa è successo? La Commissione Ue ha contestato il diritto di prelazione, in quanto ostacolo al mercato interno. Dopo un negoziato, questa è stata rimossa in cambio di una proroga decennale, in qualche modo a titolo di ristoro per gli operatori. Qui arriviamo alla prima tappa del disastro: la Corte Costituzionale, in seguito ai ricorsi di alcune Regioni, abroga le disposizioni contestate. Siamo al gennaio 2008 e gli operatori, direttamente o per il tramite delle loro associazioni, si attivano per ottenere il ripristino della proroga. Ma le trattative vanno per le lunghe e nel gioco s'inseriscono gli appetiti della Lega, che riesce a includere nella finanziaria 2011 un emendamento che estende di cinque anni i diritti di sfruttamento dei bacini idrici per gli operatori tradizionali e in un pugno di province dell'Alta Italia (Como, Sondrio, Brescia, Verbania e Belluno) di sette anni aggiuntivi - totale: dodici anni - a patto che le società elettriche cedano le dighe a società miste controllate dalle province. In pratica, così si ripubblicizza il settore.

Una norma chiaramente illegittima, che a luglio è stata nuovamente bocciata dalla Corte Costituzionale su sollecitazione delle Regioni. Ma non tutte le Regioni sono d'accordo: la Lombardia di Roberto Formigoni, infatti, in attesa della sentenza, ha recepito il provvedimento leghista come legge regionale, dichiarando la superiorità della propria normativa su quella statale.

E così la confusione è completa.


13 agosto 2011

La Germania punta 3,4 miliardi sulla ricerca energetica

Il governo tedesco ha stanziato 3,4 miliardi di euro nei prossimi tre anni per la ricerca e sviluppo nel settore energetico, con l’obiettivo di stimolare le nuove tecnologie che di qui al 2022 dovranno sostituire le centrali nucleari. In base a un piano presentato dal ministro dell’Economia e della Tecnologia Philipp Roesler, i fondi saranno destinati in particolare ai settori delle fonti rinnovabili, efficienza energetica, smart grid e immagazzinamento dell’energia. “Abbiamo bisogno di tecnologie innovative ed efficienti per rendere possibile il passaggio verso un’era di fonti energetiche rinnovabili sicure ed economicamente sostenibili”, ha dichiarato Roesler.
In base alla proposta dei quattro principali operatori di rete tedeschi, saranno eolico e fotovoltaico i due contendenti destinati a sostituire il nucleare nel futuro energetico tedesco. Nella strategia al 2022 (anno in cui sarà chiuso l’ultimo reattore) delineata da Amprion, 50Hertz, EnBw e TenneT, le due fonti potrebbero infatti coprire, non solo gli oltre 20 gigawatt nucleari in funzione nel 2010, ma anche una decisa riduzione della capacità a carbone e lignite.
Lo scenario più favorevole, presentato all'Authority per le reti, assume una domanda elettrica in calo dai 548 terawattora del 2010 a 500 terawattora: in questo caso i combustibili solidi e il gas resterebbero sostanzialmente stazionari intorno a, rispettivamente, 53 e 23 gigawatt e l’atomo sarebbe compensato da un aumento dell’eolico onshore e offshore (+5 e +11 gigawatt) e del fotovoltaico (+17 gigawatt). Ma anche negli altri due scenari, meno ottimistici sul taglio dei consumi, le fonti rinnovabili sono in prima llinea.
Non a caso, Blackstone punta decisamente sulla Germania. Il fondo d’investimento statunitense ha annunciato un investimento di 2,5 miliardi di euro nelle acque del Mare del Nord tedesco per i parchi di Meerwind e Noerdlicher Grund, che avranno assieme una potenza di oltre 600 megawatt. Meerwind, per il quale Blackstone investirà 1,2 miliardi di euro, sarà costituito da 80 turbine per un totale di 288 megawatt che entreranno in funzione nel 2013 a 50 km dalla costa. Noerdlicher Grund sarà invece costituito da 64 turbine per un totale di 320 megawatt installati a 100 km dalla terraferma ed entrerà in funzione nel 2016 grazie a un investimento di 1,3 miliardi di euro.