Pagine

7 gennaio 2003

Il kamikaze della vita

Ci sono i kamikaze della morte e i kamikaze della vita. Josef Itskovitz-Eldor, 53 anni, preferisce collocarsi nella seconda categoria. Tre anni fa il direttore del reparto di ginecologia e ostetricia nell'ospedale Rambam di Haifa, interno all'Università tecnica Technion, ha dato avvio alla prima coltura in vitro di cellule staminali estratte da embrioni umani, utilizzando alcuni embrioni fecondati artificialmente, avanzati nelle pratiche correnti del suo reparto e destinati ad essere eliminati. Dopo aver ottenuto l'autorizzazione dalle coppie che avevano dato origine agli embrioni, è partito con la sua preziosa merce alla volta di Madison, Wisconsin. Lì, alla presenza del collega James "Jami" Thomson, ricercatore dell'Università del Wisconsin, ha estratto le cellule staminali dagli embrioni, che non sono sopravvissuti all'operazione. Le cellule staminali, invece, si sono sviluppate magnificamente, per la prima volta fuori da un corpo umano. A quel punto, non facendo più tecnicamente parte di un embrione, anche il ricercatore dell'Università del Wisconsin ha potuto metterci le mani. Per prima cosa, Jami Thomson ne ha ceduta una parte al collega e partner commerciale Michael West, fondatore dell'azienda californiana Geron (attualmente l'unica ditta privata titolare di una linea di cellule staminali negli Stati Uniti) e anche della più famosa Advanced Cell Technology, che pochi giorni fa ha sollevato un putiferio annunciando con un pizzico di fantasia la prima clonazione umana. In questo primo salto di qualità messo a disposizione della scienza mondiale, il professor Itskovitz-Eldor è stato aiutato, oltre che dalla sua estrema competenza, da altre due caratteristiche fondamentali: la fede ebraica e il passaporto israeliano. In quanto cittadino americano e dipendente di un'azienda sanitaria pubblica, il suo collega Jami Thomson non avrebbe potuto distruggere - da solo - quegli embrioni, perché la legge del suo Paese glielo vieta. Per Itskovitz-Eldor, invece, è tutto più facile: per l'ebraismo, ogni embrione condivide l'anima della madre e non assume valore di essere umano autonomo al di fuori del suo corpo. Discendendo da questa linea di pensiero, la legislazione israeliana non impone restrizioni alla ricerca, pubblica o privata che sia, in questo campo e l'azione pionieristica compiuta da Itskovitz-Eldor non è perseguibile. Anzi, in quanto diretta al sostegno e allo sviluppo della vita, è considerata auspicabile da qualsiasi rabbino. Tanto è vero che, subito dopo il blitz nel Wisconsin, Itskovitz-Eldor ha ripetuto la stessa procedura nel suo laboratorio al Rambam Medical Center, dove ha messo in piedi una vera e propria banca di cellule staminali, aperta alle collaborazioni esterne in nome del progresso scientifico. E non è il solo: il collega ginecologo Benjamin Reubinoff ha ottenuto un risultato analogo nell'ospedale Hadassah dell'Università di Gerusalemme, inaugurando la seconda linea di cellule staminali in mano pubblica. Del resto, lo stesso presidente della commissione per la bioetica dell'Accademia delle scienze israeliana, Michel Revel, 63 anni, direttore del centro di genetica molecolare dell'Istituto Weizmann, è anche direttore scientifico della Interpharm e produce un farmaco contro la sclerosi multipla da lui sviluppato, con un fatturato di 254 milioni di dollari nell'anno che si è concluso a settembre 2001. In pratica, sono gli stessi ricercatori a giudicare il valore etico della ricerca. In quanto ebreo ortodosso, Revel considera positivamente ogni progresso nella conservazione e nella difesa della vita. Come ha affermato il rabbino capo d'Israele, Meir Lau, qualche mese fa in risposta al dibattito sulla clonazione: "L'ebraismo approva qualsiasi sviluppo della tecnica medica che contribuisca a salvare una vita umana". Inoltre, gli israeliani non hanno mai dimenticato il monito del primo presidente dello Stato ebraico, il chimico Chaim Weizmann: "L'intelligenza è l'unica materia prima di cui disponiamo". E continuano ad attenersi a questa regola. Ecco perché il piccolo Stato ebraico è un gigante delle biotecnologie: secondo l'ultimo report del Comitato nazionale sul biotech, nel 2000 c'erano 160 aziende biotech in Israele, con quattromila dipendenti e un volume d'affari di 800 milioni di dollari, in crescita del 33% rispetto all'anno precedente. Nei primi sei mesi del 2001, gli investimenti nel settore sono stati di 180 milioni di dollari (circa 400 miliardi in lire, 204 milioni di euro), quasi il doppio rispetto allo stesso periodo del 2000. Secondo le previsioni, il giro d'affari del biotech dovrebbe raggiungere i 1.800 milioni di dollari nel 2003. Non a caso l'esperimento portato a termine da Michael West in Massachusetts è stato accelerato di proposito per battere sul tempo l'équipe di Abaclon, un'azienda di Cesarea che sta lavorando nella stessa direzione. Ma in Israele il grosso della ricerca sul biotech si svolge in istituti pubblici, non privati. E il Rambam è il centro più all'avanguardia. L'ultima scoperta uscita dal piccolo laboratorio di Haifa ha fatto scalpore in tutto il mondo: per la prima volta l'équipe del professor Itskovitz-Eldor ha sviluppato delle cellule cardiache da una massa indifferenziata di cellule staminali, arrivando a produrre i primi stadi di un cuore nuovo di zecca. L'ovvia applicazione di questa scoperta è l'inseminazione di cellule nuove in un cuore umano danneggiato o inefficiente, favorendone la rigenerazione senza necessità di trapianto. Una buona notizia per migliaia di cardiopatici che rischiano di morire ogni anno per mancanza di donatori. "Prima di raggiungere questo risultato - precisano al Rambam - ci vuole ancora tempo. Ma ci arriveremo". Forse prima degli altri.

Nessun commento: