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31 marzo 2008

Tentazione italiana: rompere il tabù nucleare

La rinascita dell' industria nucleare è un fenomeno globale: dalla Francia agli Stati Uniti, passando per la Russia e per la Cina, ovunque ci siano centrali atomiche in funzione si stanno mettendo in moto gli investimenti per cominciare a rimpiazzarle con una nuova generazione di reattori, più efficienti e più sicuri. In Francia, su 54 centrali una trentina andranno sostituite, la Russia ne ha in programma venti, mentre negli Stati Uniti ci sono 32 richieste di autorizzazione pendenti alla Nuclear Regulatory Commission per la costruzione di nuovi impianti. Per non parlare di Cina e India. Ma anche in Italia, unico Paese del G8 privo di centrali nucleari, il vento sta cambiando. Con la partecipazione dell' Enel alla costruzione dell' Epr, il nuovo reattore europeo di terza generazione a Flamanville, in Normandia, e l' acquisizione di quattro reattori operativi più altri due da completare in Slovacchia, il ritorno al nucleare dell' industria italiana è già cominciato. Finmeccanica, con Ansaldo Nucleare, è molto impegnata nella centrale di Cernavoda in Romania e partecipa allo sviluppo del reattore B1000 con la Westinghouse, che potrebbe diventare l' elemento pilota di molte operazioni future. Ora ne sono stati ordinati quattro dalla Cina, per cui a Genova ci si aspetta dei subappalti. Ansaldo e Sogin sono attive anche nel «decommissioning», un business in cui nei prossimi anni ci sarà molto da fare: si prevede la necessità di smantellare 2-300 reattori obsoleti da qui al 2020. Nel dibattito sempre più acceso sui danni dell' effetto serra e sull' eccessiva dipendenza dell' Italia dagli idrocarburi, si muove qualcosa anche sul fronte dell' opinione pubblica. Secondo un sondaggio svolto in febbraio dalla società specializzata Harris Poll per il Financial Times su diversi Paesi europei, gli italiani sono risultati i più nuclearisti di tutti, con un 58% di favorevoli all' atomo. E i politici, che ne stanno facendo un tema della campagna elettorale, se ne sono accorti. Per Silvio Berlusconi e Pier Ferdinando Casini il ritorno dell' Italia al nucleare è un cavallo di battaglia. Anche sul versante del Partito Democratico c' è qualche timida apertura. E di fronte alle riserve del ministro uscente Pier Luigi Bersani, che invita i nuclearisti a «fare due conti» invece di dare tutte le responsabilità agli ostacoli politici, per la prima volta alcuni industriali italiani in lotta contro il caro-greggio sono scesi sul piano pratico, ispirandosi al modello finlandese, dove la corsa al nucleare è già ripresa da anni con un reattore in costruzione e altri due in progetto. A2A, la multiutility nata dalla fusione tra Aem Milano e Asm Brescia, ha commissionato al Politecnico di Milano uno studio di fattibilità per la realizzazione di un presidio nucleare strutturato su almeno 4-6 impianti con una capacità installata di 10 o 15mila megawatt. Lo studio si occuperà anche dello stoccaggio delle scorie radioattive. Si tratta di rispondere a una serie di quesiti ingegneristici, geologici e finanziari, per offrire una possibile soluzione sulla scelta degli impianti, dei siti e dei costi che andrebbero affrontati nell' eventuale ricostituzione di un sistema nucleare italiano. Un compito essenziale per gettare le basi di un ragionamento obiettivo, che potrebbe aiutare la politica a superare le paure scatenate dall' incidente di Chernobyl e sfociate nel referendum dell' 87. L' esperienza finlandese, come quella italiana, parte dall' esigenza di abbattere la bolletta elettrica, molto sentita dalle industrie, grandi consumatrici di energia. La risposta a questo problema può venire solo da un consorzio. In Finlandia si sono raggruppate 60 imprese, impegnandosi a prelevare tutta l' energia prodotta dal nuovo impianto di Olkiluoto con contratti di lungo termine. Questo accordo ha annullato il rischio di mercato dell' operazione, consentendo di ottenere dalle banche un finanziamento a tasso molto favorevole. Così, malgrado l' elevato costo dell' impianto (stimato in 4 miliardi), si abbatte di molto il prezzo finale dell' energia: a Olkiluoto il megawattora costerà circa 30 euro, contro un prezzo medio di 75 euro sulla Borsa elettrica italiana. Meno della metà. * * * Pro Ricotti: «Può coprire il 20% del fabbisogno senza evidenti impatti sull' ambiente» Marco Ricotti, vicedirettore del dipartimento Energia del Politecnico di Milano, è stato chiamato da A2A ed Edison a stilare uno studio di fattibilità sul ritorno dell' Italia al nucleare. Si parte dall' esempio finlandese puntando alla realizzazione di un presidio nucleare da 15-20mila MW di potenza, quindi una decina di centrali. Perché sì al nucleare? «La questione va vista all' interno del problema energetico, che ha bisogno di risposte molteplici. Non si tratta di privilegiare il nucleare su altre fonti, ma di sfruttarle tutte nelle proporzioni adatte alle loro caratteristiche. Il nucleare si presta a fornire energia a basso costo a copertura del fabbisogno di base, con una piccola quantità di combustibile e un impatto nullo sull' ambiente». Come impatto nullo: e le scorie? «Le scorie prodotte da un presidio nucleare come quello preso in considerazione, che coprirebbe il 20-30% del fabbisogno energetico italiano, sono talmente ridotte da non presentare alcun problema. Ogni cittadino italiano produce circa 3.000 chili di rifiuti, di cui 100 tossici e di questi solo un chilo sarebbero nucleari. Ma in questo chilo rientrano anche le tute irraggiate degli addetti e gli strumenti utilizzati nel reattore. Le scorie pericolose, radioattive per più di 30 anni, peserebbero 50 grammi e finirebbero vetrificate in una sfera che sta nel palmo di una mano. Se gli altri Paesi trovano le risorse per stoccarle, perché non noi?» * * * Contro Zorzoli: «Difficile trovare nuovi siti e spingere le imprese a fare consorzi» Il problema essenziale? «È che l' Italia ha completamente smantellato il sistema di procedure su cui l' industria nucleare si regge». Gian Battista Zorzoli, esperto di energia e docente nei vari master dedicati all' argomento, non è un antinuclearista di principio ed è stato ai vertici dell' Enea e dell' Enel quando l' Italia era nel settore. Perché no al nucleare? «Lasciamo da parte la considerazione elementare che in un Paese dove non si riesce a costruire un termovalorizzatore sarebbe impossibile realizzare delle centrali nucleari. Resta un problema normativo di non poco conto: per costruire una centrale bisogna stilare un rapporto di sicurezza che a suo tempo era affidato alla direzione sicurezza e protezione del ministero dell' Industria. Senza questa struttura una centrale nucleare non è licenziabile. Ma quanti anni ci vorrebbero in Italia per rimettere in piedi un impianto regolatorio di questo tipo?». Me lo dica lei... «Tantissimi anni, mi creda. E poi i siti dove sono? Si parla dei siti originari, ma su quei terreni, dopo vent' anni, è ancora in corso lo smantellamento, per cui non sono praticabili: non si può costruire un impianto nuovo dove si sta ancora smantellando quello vecchio. Infine il progetto è finanziabile solo applicando il metodo finlandese, con un consorzio di imprese impegnate a ritirare l' energia a lungo termine. Questo consorzio dov' è? Per ora ho sentito solo dei forse. Come per Alitalia...»

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