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2 dicembre 2012

Parigi chiama Berlino: nasce l'Airbus delle rinnovabili?

Parigi chiama Berlino per agganciarsi alla transizione energetica del potente vicino, in uscita dal nucleare. Laurent Fabius e Delphine Batho, ministri degli Esteri e dell'Energia, hanno lanciato un deciso appello pubblico a favore di una politica comune "rinnovata, solidale e aggressiva" e per la "costituzione di un campione europeo dell'energia rinnovabile", un Airbus delle fonti verdi, a partire dalle eccellenze europee già presenti nel settore, dall'eolico al solare, dai veicoli elettrici alle energie marine, passando per l'efficienza energetica.

Eia
Dopo la Germania, anche la Francia comincia a prendere sul serio l'idea di una politica energetica che guardi oltre l'atomo. Non a caso Edf, Areva e Alstom si sono lanciate nel mondo delle fonti rinnovabili, costruendo dal nulla e con successo, ad esempio, un comparto eolico che fino a poco tempo fa non avevano. Sull'altra sponda del Reno, Siemens ha deciso di uscire completamente dal nucleare e si è buttata a corpo morto nell'eolico offshore, dove ormai ha una quota di mercato del 75%. Con un'alleanza in questo settore, Parigi e Berlino potrebbero creare un campione europeo imbattibile, capace di far fronte alla potente concorrenza cinese. Altrettanto potrebbero tentare mettendo a fattor comune le eccellenze di Alstom e Siemens sulle smart grid o sull'efficienza energetica. Per non parlare del solare, dove i big tedeschi, da Solarworld a Q-Cells, potrebbero felicemente coniugarsi con le regine francesi, come Soitec o Photowatt, recentemente acquisita da Edf.
L'appello dei ministri francesi è tanto più significativo, in quanto arriva dal campione mondiale dell'industria nucleare, che per cinquant'anni si è mosso in totale autarchia rispetto alla politica energetica europea. Ma dopo Fukushima anche la Francia, estremamente legata all'atomo con il 75% di produzione elettrica nucleare, ha deciso di scendere a quota 50% al 2025, limite entro il quale il Belgio si è dato l'obiettivo di uscire completamente dal nucleare, da cui oggi deriva il 51% della sua produzione elettrica. La Germania, da parte sua, conta di abbandonare l'atomo entro il 2022 e la Svizzera, con il 40% di produzione elettrica da nucleare, è intenzionata a seguirla. La decisione sulle tecnologie da privilegiare per sostituire quella parte del parco nucleare, che sta diventando progressivamente obsoleto e verrà spento, è la più importante scelta industriale cui sono chiamati i governi europei attualmente in carica.
Fabius e Batho non citano a caso l'esempio di Airbus, il consorzio d'imprese aeronautiche francesi e tedesche - cui si sono poi aggiunti spagnoli e britannici - creato nel 1970 per competere ad armi pari con i colossi americani del settore. Proprio Louis Gallois, ex numero uno di Airbus, è il mandarino a cui François Hollande ha affidato il compito di dare la sveglia alla competitività francese, commissionandogli un rapporto su cui è in corso un furioso dibattito interno. Lo stesso Hollande ha già suggerito, in un discorso sul futuro industriale europeo, che Parigi e Berlino "potrebbero costituire un'avanguardia, lanciando una cooperazione tra le aziende dei due Paesi impegnate nella transizione energetica". Un dibattito analogo infuria in Germania, dove Michaele Schreyer, ex commissaria europea dei verdi, combatte da anni per il lancio di un'agenzia europea per le rinnovabili, Erene, che faccia le funzioni svolte un tempo dall'Euratom per il nucleare. La grande industria ha preso perfettamente sul serio Angela Merkel nella sua svolta energetica fuori dall'atomo, che il ministro dell'Ambiente, il cristiano democratico Peter Altmaier, ha definito "il nostro sbarco sulla luna", intendendo con questo l'apertura di un orizzonte industriale totalmente nuovo. Ma la spartizione della nuova torta per ora è una battaglia tutta interna.
I francesi invece vogliono capire se la Germania, al cui recente miracolo economico ha contribuito non poco la crescita fenomenale dell'industria delle rinnovabili, vorrà "sbarcare sulla luna" da sola o in compagnia. Ha senso tappezzare di pannelli solari Made in China i campi del Nord della Germania, dove il sole non c'è, solo per mancanza di un progetto comune? Non sarebbe meglio lanciare una strategia continentale delle fonti rinnovabili, mettendo in rete il vento del Nord e il sole del Sud, le biomasse dei campi e le correnti marine della Manica, per convogliarle in un mercato comune, facendo leva sulle eccellenze di ogni Paese? E' quello che si chiede anche il commissario europeo Günther Oettinger quando invita i tedeschi a "includere l'Europa" nella loro svolta: "I costi della transizione saranno più bassi". E' quello che chiederanno anche Laurent Fabius e Delphine Batho "al Consiglio Energia della Ue in programma il prossimo maggio, facendo leva sulla cooperazione franco-tedesca". Gli altri, intanto, stanno a guardare.

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