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26 ottobre 2003

L'ultima frontiera dell'outsourcing

All'inizio si affidava all'esterno la sicurezza, i servizi di pulizie o di catering. Poi i servizi tecnici e informatici. Ora è il servizio clienti, la contabilità e perfino l'ufficio personale a migrare all'esterno. Grandi imprese con uno staff tecnico di migliaia di persone si svegliano una mattina chiedendosi che cosa fa tutta questa gente e quando non trovano nessuno capace di rispondere decidono di delegare in blocco l'argomento a una società specializzata, che si occupa solo di quello e dunque saprà fare il suo mestiere. Ormai l'outsourcing è diventato un modo per liberarsi di un problema che non si è capaci di risolvere da soli. "Ma andate a vedere che cos'è successo in quell'azienda cinque anni dopo - scrive Michael Dell, enfant prodige dell'industria informatica e fondatore di Dell, in un saggio su Harvard Business Review - è non sarà un bel panorama". Le prime voci contro un outsourcing sempre più indiscriminato cominciano a levarsi su entrambe le sponde dell'Atlantico. Un caso classico di ripensamento è quello di Network Rail, la società che gestisce tutte le infrastrutture ferroviarie britanniche: dopo il deragliamento di Kings Cross, l'azienda ha deciso di rescindere il contratto con Jarvis, un'impresa specializzata cui aveva delegato la manutenzione di tutti i binari. Ma si possono citare anche altri esempi più di largo respiro: dopo anni di spinoff sempre più chirurgici e di focalizzazione sempre più spinta sul proprio core business, Ibm si è recentemente presa in casa l'intero settore consulenza di PricewaterhouseCoopers (30mila dipendenti). Lo stesso aveva fatto alcuni anni fa Electronic Data Systems, il numero uno a livello Usa (Ibm è il numero uno mondiale) nella gestione di servizi informatici, con l'acquisizione della società di consulenza A.T. Kearney. Perché le imprese si sono accorte che è difficile scindere l'organizzazione del business dalla sua gestione informatica. Così com'è difficile sostenere con un cliente imbufalito che l'azienda non ha più la responsabilità dei servizi clienti o con un utente rimasto ferito in un incidente che la responsabilità della manutenzione dei binari non è più della compagnia ferroviaria. Delegando queste competenze all'esterno, le aziende consegnano a qualcun altro la propria reputazione e spesso non sono più nemmeno in grado di controllare con quanto impegno venga tutelata. "Il concetto che molte aziende sembrano ignorare è che dare un servizio in outsourcing non significa cessare di occuparsene, ma cominciare a occuparsene in maniera diversa e spesso più difficile di prima. Invece di assicurarsi che i propri dipendenti svolgano il loro lavoro correttamente, bisogna assicurarsi che lo faccia qualcun altro. E bisogna ottenere questo risultato senza avere più a disposizione i soliti strumenti: dall'assunzione al licenziamento, dalla promozione all'ammonizione", commenta Michael Skapinker sul "Financial Times" intitolato Unhappy with outsourcing. Ecco perché il disagio nei confronti di questa pratica cresce a vista d'occhio, non solo fra i clienti stufi di dialogare con i call center delle banche, delle compagnie aeree o delle utilities, ma anche fra i manager preoccupati dal divario crescente fra il costo dei servizi appaltati all'esterno e i risultati ottenuti. Secondo un recente sondaggio internazionale di PA Consulting ben due terzi delle aziende intervistate hanno dichiarato di essere deluse dai risultati dei loro contratti in outsourcing e il 17% ha sostenuto di voler riportare all'interno alcuni dei servizi appaltati. Solo il 39% delle aziende hanno intenzione di rinnovare il contratto agli attuali fornitori: un altro segnale che indica un ripensamento. Non si tratta certo di tornare ai tempi di Henry Ford - come fanno notare ammiccando John Micklethwait e Adrian Woodridge nel loro libro The Company, pubblicato da Modern Library - che possedeva la terra dove brucavano le pecore da cui si ricavava la lana per foderare i sedili delle sue macchine. O di John Rockefeller che possedeva i boschi da cui si tagliava il legno per fare i barili che contenevano il suo petrolio. Ma una riflessione più accurata su quali sono i settori non core che in effetti è meglio appaltare all'esterno e quali invece sono servizi essenziali che non possono essere abbandonati a terzi, s'impone. Concentrandosi su una parte sempre più limitata del loro business, ad esempio, le compagnie automobilistiche prima hanno messo da parte le pecore e poi fette sempre più vaste del loro know-how. Ma in un recente rapporto di McKinsey si avanza un sospetto: "Nella fretta di scaricare su terzi attività manifatturiere ad alta intensità di capitale, le aziende stanno forse cedendo quegli stessi talenti che le hanno rese famose". Attenzione, quindi, ai pezzi che si perdono per strada. Perché poi è molto difficile recuperarli. Lo stesso Michael Porter, il guru della competitività che insegna a Harvard, mette in dubbio i vantaggi di un outsourcing troppo spinto: "Qualsiasi attività venga appaltata a terzi non darà mai alla vostra azienda un vantaggio competitivo, per il semplice fatto che altre aziende possono offrire un identico servizio. Dare un'attività in gestione all'esterno equivale a eliminarla dal tavolo strategico". Non che questo sia di per se stesso sbagliato, se in tal modo si ottiene un buon servizio a costi più contenuti, ma è un processo che ormai rischia di sfuggire di mano. "Molte aziende convinte che l'outsourcing consenta un significativo taglio dei costi restano deluse - spiega Porter - perché il prezzo offerto la prima volta dal fornitore spesso lievita al momento del rinnovo del contratto, quando ormai l'azienda non ha più al suo interno le competenze date in outsourcing e quindi sarebbe molto difficile tornare indietro. A quel punto il fornitore ha già il coltello dalla parte del manico e sarà molto difficile liberarsi di lui, anche nel caso di un declino della qualità del servizio". Naturalmente si possono inserire nei contratti dei "livelli di qualità" molto dettagliati, sotto cui il fornitore non dovrebbe mai scendere. Ma di qui a imporre il rispetto degli accordi, minacciando di non rinnovare il contratto, ce ne corre.

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