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6 ottobre 2003

Gabriel Hawawini

«Dobbiamo smettere di pensare ai cinesi solo in termini di manodopera sottopagata. La Cina è un mercato che cresce a velocità supersonica, sia in termini di apertura al nuovo che in termini di potere d' acquisto. E da cui stanno emergendo grandi aziende con ambizioni globali». Gabriel Hawawini, rettore dell' Insead, unica business school occidentale con un doppio campus, a Parigi (Fontainebleau) e a Singapore, ne sa qualcosa: è lui che fornisce a queste grandi aziende i manager globali capaci di portarle al successo. Di passaggio in Italia ospite di Gea, storica società milanese di consulenza aziendale, Hawawini lancia un appello all' industria italiana: «E' inutile tirare su le barricate contro il pericolo asiatico per nascondercisi dietro. Bisogna semmai avere il coraggio di sbarcare in forze a casa loro». Insomma, la miglior difesa è l' attacco. Una strategia particolarmente calzante per uno come Hawawini, nato in Egitto e cresciuto in Francia, vissuto a lungo negli Usa dove ha studiato e insegnato finanza alla New York University e alla Columbia prima di arrivare all' Insead, dove ha diretto per sei anni il Centro euro-asiatico da cui è nato il campus di Singapore. La costola asiatica dell' Insead - prima business school europea nelle classifiche del Financial Times, di Forbes e di Business Week - oggi ospita ben 200 degli 800 alunni complessivi. E conta di allargarsi a 300 in tempi brevi, perché la domanda è altissima. In particolare fra gli studenti provenienti dall' Italia, una cinquantina, il campus di Singapore è molto popolare e spesso chiedono di cominciare da lì il loro Mba. «Abbiamo preso la decisione di allargarci a Singapore alla fine degli anni ' 90 - racconta Hawawini - quando le tigri asiatiche erano ancora sotto choc dopo la drammatica crisi finanziaria del ' 97 e tutti le davano per spacciate». Oggi che l' Estremo Oriente è tornato alla ribalta come l' economia più dinamica del mondo, con una crescita stimata del 6% malgrado la Sars, con un quarto del Pil e dell' export globale, quella decisione suona profetica. «Nell' area del Pacifico c' è uno straordinario interesse per le tecniche manageriali occidentali e noi siamo ben contenti di insegnarle, ma siamo andati laggiù anche per imparare. Cerchiamo di prendere i lati positivi del modello aziendale occidentale e di quello orientale, il rigore scientifico dell' Occidente e la fortissima etica del lavoro dell' Oriente, per fonderli in un unico approccio». Che sarà, secondo Hawawini, quello vincente. «L' Asia non è più una fortezza impenetrabile - spiega Hawawini - dominata dal dirigismo statale e da aziende legate a doppio filo con le banche come un tempo. In molti Paesi si è fatta pulizia: in Corea del Sud, in Thailandia, in Indonesia e in parte anche in Giappone. La nuova frontiera di queste aperture ora è la Cina, che avanza con passi da gigante verso il libero mercato. Le imprese asiatiche non vengono più salvate a tutti i costi, né schermate dalla concorrenza a colpi di barriere commerciali. In realtà a questo punto l' Europa è molto più chiusa dell' Asia: basta guardare cos' è successo la settimana scorsa con il gruppo Alstom, che sarebbe andato in bancarotta senza i finanziamenti del governo francese. Ma a nessuno è venuto in mente di bloccarli». Perfino il settore finanziario, finora il più protetto del mercato asiatico, si sta aprendo alla concorrenza occidentale. E questi cambiamenti avvengono molto velocemente, dimostrando che ormai le aziende asiatiche si sentono abbastanza forti da affrontare i rivali in campo aperto. Sta all' Europa, ora, accettare la sfida senza farsi prendere dal panico. In fin dei conti, se è vero che la Cina è il nuovo Giappone, non ci sono solo aziende aggressive da combattere ma anche milioni di consumatori da conquistare. «I cinesi sono sempre più attratti dai marchi occidentali - commenta Hawawini - e cominciano ad essere abbastanza ricchi da poterseli permettere. Non tutti, naturalmente. Ma ci sono già consistenti fasce sociali ansiose di vedere il mondo e di comperare le cose migliori. A Hong Kong, ormai, i turisti cinesi spendono ben più degli americani. E da questo punto di vista le aziende europee hanno un vantaggio competitivo straordinario. Ma bisogna sfruttarlo in fretta, altrimenti si rischia di perdere il treno della competizione».

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