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18 gennaio 2004

Codice a barre contro "radio tag": non c'è gara

Il codice a barre può fare molte cose per un tubetto di dentifricio, ma non può rivelare al padrone del negozio la sua provenienza o il suo sapore, né comunicargli quando è stato tirato giù dallo scaffale o se qualcuno sta cercando di rubarlo. Inoltre il codice a barre è capace di dire tutto quello che sa solo se messo faccia a faccia con un lettore, a pochi centimetri di distanza. Mai potrebbe farlo senza tirare fuori il tubetto di dentifricio dal carrello del supermercato e men che meno al buio, cioè attraverso una confezione già incartata o uno strato di ghiaccio, condensa, sporco. Le etichette intelligenti dotate di un minuscolo chip chiamato radio tag, invece, sono capaci di fare tutto ciò. Ecco perché sono avviate a sostituire i codici a barre. Gillette ha già cominciato a inserire queste etichette intelligenti in tutti i suoi prodotti (pare ne abbia ordinate un miliardo al produttore, Alien Technology) e Wal-Mart, il più grande dettagliante del mondo, ha deciso d'imporre ai suoi primi cento fornitori l'uso dei radio tag in tutta la catena logistica entro la fine di quest'anno, mentre gli altri 12mila fornitori avranno tempo fino alla fine dell'anno prossimo per adeguarsi. Anche in Europa le più grosse catene di supermercati, come Tesco e Metro, stanno sperimentando: Metro ha inaugurato qualche mese fa a Rheinberg, vicino a Duesseldorf, un negozio tutto basato su questa tecnologia e Tesco ha fatto lo stesso a Hazel Grove, vicino a Manchester. Non stupisce la previsione dell'istituto di ricerca Vdc, secondo cui il mercato dei radio tag sta crescendo del 25% all'anno. E nemmeno l'ottimismo di Kevin Ashton, direttore dell'AutoID Center del Massachusetts Institute of Technology (punto di riferimento centrale dello studio su questa tecnologia nel mondo), che calcola "venti miliardi di tags in uso entro il 2006 e mille miliardi entro il 2010". In realtà la tecnologia alla base dei radio tag, chiamata Radio Frequency Indentification e abbreviata in RFID, è già in uso da anni a monte dei supermercati, sotto diverse forme di applicazioni industriali. I sistemi anti taccheggio, ad esempio, sono uno degli usi più comuni, ma anche il Telepass si basa sullo stesso concetto: un circuito radio ridotto ai minimi termini che nella sua forma più tipica dispone di un'antenna ricevente, un trasmettitore, una batteria e una memoria. Nati dalla ricerca militare nei primi anni del dopoguerra, questo tipo di apparecchi - molto più voluminosi e costosi di un radio tag - vengono usati in tutto il mondo per identificare oggetti in transito, ad esempio per localizzare vagoni merci sulla rete ferroviaria o colli sui tapis roulant di un centro d'interscambio logistico, per definire con esattezza il contenuto di un container o di un camion anche mentre questo è in movimento, per dialogare con le componenti di una catena di montaggio nell'industria automobilistica… Il salto di qualità che sta segnando il passaggio dell'RFID dalle applicazioni industriali a quelle retail dipende dalla progressiva miniaturizzazione del chip, che ora non ha più nemmeno bisogno di una batteria perché sfrutta direttamente il segnale radio inviato dal lettore per attivarsi. L'assenza di batterie garantisce ai radio tag passivi una durata illimitata, un peso irrisorio e un costo minimo (dai 5 ai 50 centesimi di euro a seconda della capienza). Il chip, non più spesso di un capello, viene incastonato tra due fogli di carta insieme a un'antenna sottilissima - avvolta a spirale attorno al microprocessore - per produrre un'etichetta non più grande di quella del codice a barre. Anzi, al momento attuale viene spesso incastonato nella stessa etichetta del codice a barre, per consentire una doppia lettura. Ma in teoria potrebbe venire immesso direttamente nel ciclo produttivo, ad esempio inserendolo nel tessuto dei capi di abbigliamento (come ha fatto Prada nel suo famoso megastore interattivo di Soho, a Manhattan). E' proprio questo che preoccupa le associazioni impegnate sul fronte della tutela della privacy, che temono scenari alla "Grande Fratello" con milioni di chip inseriti in tutti i prodotti di consumo, capaci di comunicare alle case di produzione tutti i nostri movimenti, gusti e abitudini. Katherine Albrecht, fondatrice e presidente di Caspian (Consumers Against Supermarket Privacy Invasion and Numbering), ha lanciato una vera e propria crociata contro i radio tag negli Stati Uniti, sostenendo (forse a ragione) che non solo Gillette ma molti altri produttori la utilizzano già da tempo in gran segreto per controllare meglio i propri canali di vendita e scatenando una profonda diffidenza nei consumatori per questa nuova tecnologia. "Una lattina di aranciata sarà il nuovo volto nascosto del Grande Fratello", ammonisce la Albrecht. La risposta di Ashton e compagni alle critiche della vestale della privacy sono prudenti, ma ferme: "I chip più pervasivi saranno quelli più economici, cioè quelli senza batteria, il che riduce drasticamente a meno di cinque metri la distanza da cui un oggetto può essere tracciato. Sarà quindi impossibile per i produttori seguire i loro prodotti fin dentro le nostre case. Ma anche se fosse possibile, come potrebbero seguire miliardi di tag e riuscire a dare un senso a questa enorme massa d'informazioni?" Malgrado ciò, l'AutoID Center consiglia ai suoi clienti, cioè a tutte le grandi multinazionali dei prodotti di consumo, da Procter & Gamble a Unilever, di informare sempre con accuratezza in quali prodotti è inserito un radio tag e di offrire alla gente la possibilità di neutralizzarli con un apparecchio che potrebbe essere collocato all'uscita di ogni supermercato.

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