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11 gennaio 2004

ICT: da vantaggio competitivo a commodity

Il primo a gettare il sasso nello stagno è stato Nicholas Carr, esperto di strategia aziendale ed ex-direttore di Harvard Business Review, la Bibbia dei top manager americani: in un articolo su HBR ha sostenuto qualche mese fa che gli investimenti aziendali in tecnologia non assicurano più alle imprese un vantaggio competitivo, perché l'Ict ormai è diventata un'infrastruttura di base come l'energia elettrica o il telefono. "Per un breve periodo - scrive Carr - quando non erano ancora state incorporate completamente nel sistema, tutte queste tecnologie avevano fornito reali vantaggi alle aziende più lungimiranti che le utilizzavano, ma appena la loro diffusione è aumentata e il loro costo è diminuito, si sono trasformate in materie prime: da un punto di vista strategico, sono diventate invisibili, hanno perso la loro rilevanza. Lo stesso sta succedendo oggi anche all'information technology e le implicazioni di questa svolta sono molto profonde". La sua tesi, che sta per uscire in forma di libro ("Does IT Matter?" verrà pubblicato in aprile dalla Harvard Business School Press), ha suscitato una vera e propria tempesta nell'industria informatica americana: da Bill Gates a Carly Fiorina, tutti i grandi del settore hanno lanciato i loro strali sul capo del povero Carr. Ma nel mondo del management non sembra aver lasciato grandi tracce: gli investimenti in tecnologia delle imprese americane sono aumentati dai 385 miliardi spesi nel 2001 ai 445 miliardi del 2003 e i pronostici più modesti prevedono un'ulteriore crescita del 16% nel 2004, a 532 miliardi. E' dunque sbagliato dire che l'information technology non offre più un vantaggio competitivo? Qualche risposta alla provocazione di Carr si può trovare in due studi appena usciti, uno di Erik Brynjolfsson, professore alla Mit Sloan School, e l'altro di Bart van Ark, dell'università di Groningen in Olanda. Entrambi gli studi tentano di fare luce sul crescente gap che allontana gli Usa dall'Europa in materia di produttività: il rendimento dei lavoratori americani, infatti, è cresciuto del 2,8% nel 2002 (oltre il doppio rispetto all'1,2% degli europei) e dovrebbe sfiorare il 3% nel 2003. E' opinione comune fra gli economisti che la corsa della produttività americana sia alla base delle migliori performance dell'economia Usa rispetto a quella europea, pur limitando le prospettive di un ritorno alla piena occupazione. Ma non è sempre stato così: dal '73 al '95 i lavoratori yankee erano i fanalini di coda del mondo, con un tasso di crescita della produttività dell'1,4%, contro una media europea del 2,3%. Nel '95 si è verificata la famosa svolta che ha portato la macchina economica americana a girare con un'efficienza senza precedenti: la media '95-2000 è del 2,5% e negli anni successivi migliora ulteriormente, fino ad arrivare all'incredibile balzo del 9,4% nel terzo trimestre 2003 (ultimi dati disponibili). Sia secondo Brynjolfsson che secondo van Ark il segreto di questa crescita sta nell'information technology: non solo la quantità, ma anche la qualità degli investimenti in Ict delle imprese americane è profondamente diversa rispetto alle imprese europee. Un sondaggio di Morgan Stanley presso i manager responsabili degli acquisti identifica nei servizi di sicurezza, nel potenziamento delle capacità di memoria e nei software di pianificazione strategica le aree prioritarie su cui queste spese si concentreranno nel 2004. Le imprese americane sono dunque focalizzate sui sistemi più adatti per conservare e inviare informazioni, ma anche per organizzare la produzione. E' qui che Brynjolfsson individua il punto essenziale: "La stessa quantità di denaro spesa per un medesimo sistema può fornire un vantaggio competitivo a un'impresa e diventare soltanto carta straccia per altre. Questo perché un fattore chiave per estrarre un elevato ritorno economico dall'innovazione nell'IT, è l'efficace utilizzo delle informazioni che riguardano le performance dell'organizzazione". Solo combinando l'introduzione di nuovi sistemi informatici con l'innovazione nell'organizzazione aziendale si ottengono risultati soddisfacenti: "Le aziende che hanno investito in IT senza cambiare le loro pratiche di lavoro non hanno avuto grandi vantaggi". Brynjolfsson, che ha setacciato ben 1.167 aziende americane per arrivare a queste conclusioni, porta l'esempio di Wal-Mart, il più grande innovatore nel settore del commercio al dettaglio: l'inventario gestito direttamente dai fornitori, la catena di approvvigionamento "intelligente", le tecniche just in time sono tutte innovazioni realizzate tramite la tecnologia, ma nate dalla visione strategica dei manager. "Kmart - dice Brynjolfsson - non eguaglierà mai il suo rivale semplicemente installando un nuovo sistema informatico". Secondo lo studio di van Ark è proprio il commercio, in Europa, il settore più arretrato nell'utilizzo delle nuove tecnologie rispetto ai concorrenti americani. E in complesso tutto il terziario - proprio dove l'uso dell'information technology è più importante - sembra molto restio all'innovazione: mentre negli Usa è responsabile del 26% della torta tecnologica, in Europa solo del 20%. Nel suo studio Van Ark non esclude che si tratti di un gap temporaneo: forse l'Europa si trova oggi in quel periodo iniziale di utilizzo delle nuove tecnologie che gli Stati Uniti hanno attraversato nei primi anni Novanta, quando la spesa delle imprese in innovazione tecnologica era altissima, ma non si vedevano ancora le ricadute sui profitti e sulla produttività. "La diffusione dell'Ict in Europa - scrive van Ark - segue modelli analoghi a quelli già visti negli Usa, ma a un ritmo molto più lento". E i danni alla competitività si vedono.

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