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26 luglio 2004

Jean-Paul Fitoussi

Investimenti in ricerca e innovazione. E' questo che manca all'economia italiana, ma anche a quella francese e tedesca, secondo Jean-Paul Fitoussi, presidente dell'Ofce, il prestigioso Osservatorio francese della congiuntura economica.
Lei preferisce parlare di un problema europeo, ma l'export italiano perde più quote di mercato degli altri europei. Perché?
"Italia, Francia e Germania soffrono dello stesso male: la sopravvalutazione dell'euro, che colpisce la competitività delle imprese esportatrici. Certo in Italia gli effetti sono più marcati, perché la vostra economia si basa di più sulla piccola e media impresa, particolarmente esposta alla concorrenza della Cina e degli altri Paesi asiatici emergenti. L'estrema frammentazione della struttura industriale italiana la rende più vulnerabile delle altre. Ma i problemi di fondo sono i medesimi".
Soluzioni?
"Bisogna puntare su una politica espansiva, basata sulla ricerca, l'innovazione, le infrastrutture. Bisogna trasformare l'economia italiana, insieme a quella europea, in un'economia del sapere. Gli americani, che l'hanno inventata, la chiamano knowledge economy. E' inutile combattere i cinesi sul loro stesso terreno, puntando sulla manifattura di base. E' una battaglia persa. Bisogna buttarsi sulle produzioni avanzate, ad alto valore aggiunto. Quindi bisogna investire nelle università e nella ricerca scientifica".
Tremonti aveva proposto di non conteggiare nel deficit le spese per la ricerca e quelle infrastrutturali. Lei sarebbe d'accordo?
"Qualsiasi misura espansiva va bene, purché coordinata a livello europeo. Per quanto mi riguarda, avevo proposto che l'Europa sottoscrivesse un prestito internazionale di importanti dimensioni a favore dei finanziamenti alla ricerca. Ma non è stato fatto nulla. Questa incapacità di coordinamento è il motivo per cui l'economia europea è così debole e non va mai oltre una crescita del 3%, che per i nostri standard è già miracolosa, ma non ha niente a che fare con la vera espansione come la conoscono gli Stati Uniti".
Meglio aumentare gli investimenti o tagliare le tasse?
"Per uscire dalla stagnazione le strade sono due: una di sinistra, attraverso l'aumento della spesa pubblica, e una di destra, attraverso la diminuzione delle tasse. Due politiche diverse ma entrambe valide, sia l'una che l'altra con opportuni accorgimenti possono essere indirizzate a un rilancio dell'innovazione e della diffusione del sapere. Ma l'importante è reagire per tempo, possibilmente di concerto con gli altri Paesi europei. Non lasciarsi andare come ha fatto l'Europa fino ad oggi. Gli Usa e l'Asia hanno reagito prontamente, mentre la risposta europea, sia sul fronte monetario che fiscale, è stata debolissima, se non controproducente".
E' un problema di tassi d'interesse?
"La Bce è troppo ingessata, ma in questo momento non abbiamo tanto un problema di tassi d'interesse, che sono abbastanza adeguati, quanto di cambio. L'euro è sopravvalutato e andrebbe tenuto a freno. In Europa manca una politica di cambio. Negli Stati Uniti la politica di cambio la fa il segretario al Tesoro, non la Fed. I governi europei devono mettersi d'accordo su questo punto e, se serve, devono intervenire sui cambi comprando dollari".
E il Patto di stabilità?
"Il Patto di stabilità ha costretto l'Europa a una politica restrittiva proprio quando c'era bisogno di una strategia di crescita. Quelle regole vanno cambiate, o almeno bisogna trovare un'interpretazione più flessibile, che rientri in una strategia economica complessiva di lungo periodo. Altrimenti l'Europa è destinata ad aspettare sempre che la crescita venga dall'esterno. Ma quando manca una strategia autonoma i problemi di competitività, come quelli dell'Italia, diventano subito più acuti".
Quindi lei sostiene la necessità di una governance europea?
"Non c'è altra scelta, non possiamo rimanere a lungo a metà del guado, perché è la posizione più scomoda. Ormai i governi nazionali non hanno più l'autonomia necessaria per gestire e imporre una politica economica efficace. Il caso di Tremonti, ma anche quello di Mer, dovrebbero insegnarci qualcosa. I ministri dell'Economia saltano perché sono dicasteri strategici, ma hanno una sovranità limitata. Per questo è urgente creare una governance economica europea in grado di fissare e coordinare una politica comune".

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