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12 gennaio 2005

La storia infinita delle scorie nucleari

Scanzano ha vinto la sua battaglia contro le scorie nucleari: non finiranno sepolte nelle miniere lucane di salgemma le migliaia di barre radioattive ancora stipate a Caorso, nel Piacentino, e nei depositi piemontesi di Saluggia. Dopo quasi vent'anni di “sonno”, la decisione di trasferire in Francia e in Gran Bretagna per il riprocessamento tutto il materiale fissile che ci è rimasto in eredità dall'esperienza nucleare, al modico prezzo di 300 milioni di euro, rappresenta una vittoria clamorosa per gli attivisti che hanno animato un anno fa la rivolta popolare contro la designazione di Scanzano Ionico come sito ideale per lo stoccaggio. Dopo la Sardegna, prima sede scelta dal governo per smaltire i 70 mila metri cubi di scorie radioattive prodotte dalla stagione italiana dell'atomo, la ribellione localistica contro i rifiuti scomodi è passata in Basilicata, per toccare anche Sicilia e Toscana, sull'onda delle voci che le vedevano come probabili localizzazioni alternative. Eppure l'energia atomica, fin che c'era, veniva utilizzata da tutti. Ma oggi è l'Italia intera, in ordine sparso, a rigettare l'ipotesi di ospitare sul proprio territorio le scorie derivate da quella produzione elettrica. Salvo poi riporsi il problema fra vent'anni, quando il materiale residuo verrà rispedito al mittente, a conclusione del riprocessamento. Con l'ordine impartito alla fine di dicembre dal commissario alla sicurezza nucleare Carlo Jean, che ha affidato alla Sogin il compito di svuotare i depositi italiani per dare avvio all'operazione, si dà per la prima volta ufficialmente ragione a chi punta sulla rissa per anteporre i veti locali all'interesse nazionale: la sindrome Nimby, acronimo inglese per "not in my backyard" (non nel mio cortile), ha colpito ancora. E non sarà l'ultima volta. Secondo il censimento del Nimby Forum, un progetto di monitoraggio promosso da Allea, oggi in Italia gli impianti fermi a causa di proteste di piazza sono 130, in aumento rispetto ai 92 casi contati sei mesi fa. Fra i più contestati sono i progetti nel campo dello smaltimento dei rifiuti: una trentina di impianti d'incenerimento ("termovalorizzatori" secondo la nuova definizione), destinati a bruciare i rifiuti ottenendo energia elettrica da vendere alla rete nazionale, sono bloccati dall'opposizione locale in giro per l'Italia. Quello di Acerra è il caso più eclatante: il cantiere avviato dal gruppo Impregilo alle porte di Napoli è fermo da anni grazie alle contestazioni e alle minacce personali, culminate alla fine dell'estate scorsa con l'occupazione delle strade e i blocchi dei collegamenti Roma-Napoli, con le posizioni barricadere del sindaco Espedito Marletta e con il blitz delle forze dell'ordine. Il commissario straordinario per l'emergenza rifiuti in Campania, Corrado Catenacci, aveva assicurato che in settembre avrebbe imposto la ripresa dei lavori, ma a tutt'oggi il cantiere è fermo, presidiato dalla polizia, e nessuno crede veramente che il termovalorizzatore si farà. "La malavita - sostiene Catenacci - è fortemente impegnata nel business delle discariche: se calcoliamo il valore degli appalti in tutta la regione, il giro d'affari su cui può contare il circuito malavitoso è di 500 milioni di euro l'anno, una cifra che la costruzione di termovalorizzatori prosciugherebbe". Ma la sindrome non colpisce solo il Sud: gli attivisti del comitato Nimby (niente a che fare con il Nimby Forum) hanno accumulato ormai quasi trecento giorni di digiuno per protestare contro la costruzione di un termovalorizzatore a Ischia Podetti, in Trentino. Problemi analoghi si riscontrano sulla costruzione di altre infrastrutture, dalle centrali elettriche agli elettrodotti, dai ripetitori telefonici ai porti turistici, dalle strade alle ferrovie. E' della settimana scorsa l'ennesimo appello degli enti locali contro la riconversione a carbone della centrale Enel di Civitavecchia, un'altra storia infinita che non accenna a risolversi, mentre 12mila megawatt di energia a basso costo restano bloccati a Nord delle Alpi dall'opposizione a 41 linee d'interconnessione transfontaliera. Un quarto di queste linee ad alta tensione attraverserebbero la Val Chiavenna e la Valtellina, dove gli elettrodotti si abbattono a colpi di cheddite, l'esplosivo da cava che la scorsa primavera ha abbattuto un pilone lungo la linea che scende dalla Svizzera, rischiando di colpire uno stabilimento Vallespluga. Nel campo della viabilità, i progetti colpiti e spesso affondati dalla sindrome Nimby non si contano: ultima vittima è la BreBeMi, la direttissima Milano-Brescia pensata per sgravare il tratto dell'A4 tra i due centri lombardi, congelata in dirittura d'arrivo, dopo cinque anni di dibattito, dalla nuova giunta provinciale perché presenterebbe problemi d'impatto ambientale. Fioriscono le proteste locali, con allegre grigliate sul tracciato autostradale e presidi in ogni paesino, contro le varie pedemontane in Piemonte, Lombardia e Veneto. E una discarica che non si vuole spostare blocca da sei mesi i lavori dell'alta velocità ferroviaria in Emilia-Romagna, su un tratto di 800 metri a Modena, dove le opere per la Tav sono già quasi ultimate.Resta da chiedersi: ha senso condurre le diatribe sulle opere pubbliche a colpi di risse, piazzate, manifestazioni e blocchi ai pubblici servizi? La vittoria di Scanzano dimostra di sì.

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