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6 giugno 2005

Italia-Ucraina, il patto d'acciaio

Chi l' ha detto, che in Europa per l' acciaio non c' è futuro? L' accordo di collaborazione fra l' italiana Duferco e l' Industrial Union of Donbass, che sarà firmato venerdì a Kiev alla presenza del premier ucraino Yulia Timoshenko, di Gianfranco Fini, Adolfo Urso e dell' amministratore delegato di Sviluppo Italia, Massimo Caputi, dimostra il contrario. Con l' incrocio di partecipazioni fra il gruppo Duferco di Bruno Bolfo e il primo produttore ucraino di acciaio, si gettano le basi per un nuovo modello di mantenimento delle attività siderurgiche in un' economia sviluppata. Unendo la produzione di acciaio grezzo in Est Europa, competitiva, con l' attività di trasformazione e distribuzione ad alto valore aggiunto dell' Europa occidentale. Le due aziende, dopo avere già collaborato alla privatizzazione della siderurgia ungherese con il consorzio Dunaferr, venerdì concluderanno una joint venture fra l' impianto ucraino di colate continue di Dneprovsk e lo stabilimento Duferco di Giammoro in Sicilia, prima linea di produzione italiana di travi d' acciaio per le costruzioni. Con lo scambio di partecipazioni, che comporta un investimento da 35 milioni per gli ucraini a Giammoro e di 25 milioni per l' azienda italiana a Dneprovsk, Duferco si assicura l' esclusiva della produzione del colosso ucraino, l' unico nella regione mineraria del Donbass a continuare indisturbato la sua attività dopo la rivoluzione degli arancioni, grazie agli ottimi rapporti del suo presidente Sergey Taruta con il nuovo presidente ucraino, Viktor Yuschenko. «Lo stabilimento di Dneprovsk - spiega Antonio Gozzi, amministratore delegato di Duferco con Massimo Bolfo, responsabile del trading, in cui la Duferco è leader mondiale - si affaccia sul fiume Dnepr e quindi l' acciaio viene caricato direttamente sulle navi che lo portano in Sicilia attraverso il Mar Nero e il Mediterraneo». Nell' impianto di Giammoro, che sorge sul mare a 20 chilometri da Messina, sono in via di costruzione le banchine adatte a ricevere le grandi navi ucraine. L' accordo - reso possibile anche dal supporto di Sviluppo Italia - avrà una ricaduta sulla competitività dello stabilimento e sulla crescita in occupazione. «Per sfruttare le forniture dall' Ucraina - aggiunge Gozzi - è previsto un ampliamento del laminatoio e la realizzazione di un grande centro di lavorazione per l' acciaio nelle costruzioni». Proprio dall' esigenza di potenziare le forniture per l' edilizia, uno dei pochi settori che non si possono delocalizzare, nasce quest' operazione, in controtendenza rispetto a quello che sembrava il declino ormai inarrestabile del settore, con le chiusure di Thyssen Krupp a Terni e il passaggio della Lucchini alla russa Severstal. «Ormai siamo alla delocalizzazione selvaggia verso i Paesi del terzo mondo - commenta Gozzi, che insegna Economia e gestione delle imprese logistiche all' università di Genova -. Ma attenzione a non esagerare: su alcune produzioni la delocalizzazione è antieconomica, perché i costi e i tempi di trasporto contano». Non che Duferco rifugga dalla delocalizzazione: l' azienda di Bolfo - che nel 2004 ha prodotto 6,3 milioni di tonnellate di acciaio e ne ha commercializzati 16, con un giro d' affari di 6,8 miliardi di dollari e un utile netto di 270 milioni - è presente in 40 Paesi con 11mila dipendenti ed è il primo investitore industriale italiano in Russia con la sua Viz Stahl di Ekaterinburg. «Ben venga la delocalizzazione intelligente - puntualizza Gozzi -, non solo mirata alla ricerca di manodopera a basso costo: in Est Europa, dove abbiamo stabilimenti in 11 Paesi, abbiamo imparato molte cose. A Ekaterinburg abbiamo una produzione avanzatissima di lamierino magnetico con tecnologia russa: per noi è stata un' avventura basata sull' innovazione. E anche un' opportunità per creare un avamposto commerciale in un luogo straordinario, a cavallo fra l' Europa e l' Asia, sugli Urali». Non a caso la Duferco di Ekaterinburg è diventata l' impresa chioccia di uno dei distretti italiani all' estero recentemente avviati, con il sostegno del ministero delle Attività produttive. Attorno alla sua sede si sono installate imprese italiane dei settori più diversi, dal biomedicale (Esaot) alle vernici (Stoppani), dalla meccanica ai tubi. Sempre in joint venture con aziende locali. «Se si vuole arrestare il declino delle esportazioni - fa notare Gozzi - bisogna sfruttare meglio l' antico spirito dei fondaci, con cui le nostre repubbliche marinare creavano le loro reti all' estero». Senza dimenticare la produzione in Italia, quando ne vale la pena.

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