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8 luglio 2009

Natura contro tecnologia, un dilemma virtuale

Natura contro tecnologia. E’ questo il dilemma che l’umanità si trova ad affrontare oggi, a quanto sembra. In realtà, si tratta di un dilemma apparente. Da un lato, è ormai superato, perché la tecnologia prevale. Già nel 1988 Don Norman, un neuroscienziato e informatico dell’università della California a San Diego, calcolò che l’americano medio incontra ben 20mila manufatti nella sua vita quotidiana, molti di più degli animali e delle piante che sarebbe in grado di distinguere. Le specie catalogate sulla Terra, del resto, sono un milione e mezzo in tutto, contro i 7 milioni di brevetti registratti solo negli Stati Uniti. La tecnosfera, quindi, supera di gran lunga la biosfera. Dall’altro lato, però, la natura è talmente ingranata nella psiche dell’uomo, che non c’è gara. La nostra specie ha trascorso gran parte della sua esistenza nella savana africana. C’è dibattito sui dettagli, ma è certo che la nostra mente non si è formata per vivere in un mondo popolato da miliardi di individui: la vita di un milanese o di un newyorkese, circondati da una moltitudine di estranei, è una novità assoluta nella storia dell’evoluzione. Migliaia di anni fa non c’erano la televisione, i McDonald’s, la pillola, la chirurgia plastica, gli orologi o la luce artificiale. C’erano solo alberi, torrenti, animali, il sole e la luna. Questo lungo passato ha lasciato un’impronta indelebile nella nostra mente. La gente ama stare vicina al mare, alle montagne e alle piante. Basta consultare i prezzi degli appartamenti che danno su Central Park o cercare una casa con “vista mare” per rendersene conto. Nei palazzi più lussuosi l’atrio è pieno di verde. Se vogliamo fare un piacere a qualcuno, gli portiamo dei fiori. Teniamo degli animali da compagnia nelle nostre case, un pezzo di natura, per quanto selezionata e “costruita” dagli uomini. E molti di noi fuggono dagli ambienti artificiali non appena possibile, per camminare, remare o andare a vela nella natura. Edward Osborne Wilson, un biologo di Harvard, ha condensato queste considerazioni nel concetto di “Biophilia”, su cui ha scritto un libro uscito nell’84. Non a caso, questo concetto sta alla base di vere e proprie terapie: è noto da innumerevoli test che un bel panorama aiuta la convalescenza e il contatto con gli animali serve per superare certi disturbi nervosi. In pratica, la natura ci fa bene alla salute. Non c’è verso di sostituirla con la tecnologia: ce ne accorgiamo istintivamente. Da questa consapevolezza deriva l’ansia che proviamo di fronte alla sua distruzione. Ci fa star male, ma non è ancora abbastanza acuta per portarci ad agire.

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