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13 settembre 2009

Il carburante biotech emerge dallo stagno

Exxon ha investito 600 milioni di dollari nella società di Craig Venter, il mappatore del genoma umano, che sta cercando di avviare una produzione di massa di biocarburanti dalle alghe. Bp lavora con DuPont. Shell con HR BioPetroleum alle Hawaii. Chevron si è alleata con Solazyme, pioniera californiana del biodiesel dalle alghe. E la lista delle compagnie aeree che stanno testando i combustibili biotech si allunga tutti i giorni, da Continental a Virgin. Le biotecnologie, che hanno sconvolto il mondo della medicina e dato una marcia in più all'agricoltura contro i parassiti, ora si stanno mettendo alla testa della rivoluzione verde nell'energia. Gli imprenditori che si occupano di biocarburanti di seconda generazione, prodotti senza interferire con la catena alimentare, attraggono miliardi di investimenti, sia dalle compagnie petrolifere che dai capitalisti di ventura. Silicon Valley si sta riconvertendo dai microchip alle acque stagnanti che brulicano di microrganismi fotovoltaici. E' proprio da quelle acque stagnanti che potrebbero nascere i protagonisti del nostro futuro energetico: batteri, cianobatteri, funghi e microalghe sono piccoli “impianti chimici” efficienti ed economici per produrre biocombustibili a basso impatto ambientale. Il caso italiano si chiama Microlife ed è nato a Padova dalla determinazione di cinque soci privati, che hanno dato vita alla prima società di biotecnologie fotosintetiche in grado di sviluppare, ingegnerizzare, costruire e condurre impianti su scala industriale per la produzione di microalghe a fini energetici. “Abbiamo un impianto pilota a Roccasecca, sul sito di una discarica molto innovativa, dove recuperiamo l'anidiride carbonica e gli ossidi di azoto, che servono per alimentare le microalghe allevate in quattro fotobioreattori”, spiega l'amministratore delegato Matteo Villa. Microlife è già stata adocchiata dall'Enea e dall'Institut Francais du Pétrole, con cui ha appena stretto un accordo di collaborazione per avviare la coltivazione di microalghe su dieci ettari di terreno, un progetto all'avanguardia in Europa. “Chiuderemo il 2009 con quattro brevetti, non solo in campo energetico, ma anche farmaceutico e alimentare”, precisa Villa. La strada battuta da Villa e compagni è molto importante, perché in tutto il mondo l'obiettivo è svincolarsi dai biocarburanti di prima generazione, che si ottengono principalmente dalla canna da zucchero, dai legumi o dai cereali, con effetti distorsivi del mercato alimentare, accusati di provocare uno sconquasso nei prezzi delle granaglie, oltre a danni ambientali e sociali addirittura superiori all'estrazione dei combustibili fossili: vaste aree di foresta tropicale abbattute per far posto alle coltivazioni di canna da zucchero, di palma da olio o di soia, popolazioni intere spossessate dei loro terreni, specie animali e vegetali minacciate di estinzione. Ma con quali parametri un biocarburante può essere definito sostenibile? La prima società di certificazione indipendente che si è avventurata su questo terreno è la Société Générale de Surveillance, leader mondiale della certificazione con sede a Ginevra, controllata al 15% dall'Ifil (presidente Sergio Marchionne). "L'attuazione di un sistema di certificazione obbligatorio sarebbe uno strumento efficace per distinguere i biocarburanti buoni da quelli cattivi - spiegano alla Sgs - ma una certificazione obbligatoria potrebbe essere considerata una barriera commerciale dalla Wto. Al momento attuale, solo una certificazione volontaria può essere presa in considerazione su larga scala". Uno strumento ancora più efficace sarebbe togliere le sovvenzioni pubbliche ai biocarburanti “cattivi”. L'Unione Europea ha pubblicato le linee guida per una direttiva che dovrebbe ottenere proprio questo, escludendo dagli sconti fiscali tutti i biocarburanti che non consentano di risparmiare almeno il 35% di emissioni di gas serra rispetto ai combustibili fossili, esaminando l'intera filiera produttiva, dal campo alla pompa. Ma la legislazione allo studio taglierebbero fuori dal mercato europeo circa metà del biocarburante attualmente utilizzato, prevalentemente quello prodotto con materia prima proveniente dai Paesi in via di sviluppo, tanto che otto Paesi - dal Brasile alla Malaysia - hanno già protestato con Bruxelles. Sarà una lunga battaglia.

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