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21 gennaio 2010

Batteri, funghi e alghe come raffinerie

Exxon ha investito 600 milioni di dollari nella società di Craig Venter, che sperimenta nella produzione di biocarburanti dalle alghe. Chevron si è alleata con la pioniera californiana Solazyme. Bp lavora con DuPont. Shell con HR BioPetroleum alle Hawaii. Le biotecnologie, che hanno sconvolto il mondo della medicina e dato una marcia in più all'agricoltura, ora si stanno mettendo alla testa della rivoluzione verde nell'industria petrolifera. Gli imprenditori che si occupano di biocarburanti di seconda generazione, prodotti senza interferire con la catena alimentare, attraggono miliardi di investimenti, sia dalle compagnie petrolifere che dai capitalisti di ventura. Silicon Valley si sta riconvertendo dai microchip alle acque stagnanti che brulicano di microrganismi fotovoltaici. E' proprio da quelle acque stagnanti che potrebbero nascere i protagonisti del nostro futuro energetico: batteri, cianobatteri, funghi e microalghe sono piccoli “impianti chimici” efficienti ed economici per produrre biocombustibili a basso impatto ambientale. Il caso italiano si chiama Microlife ed è nato a Padova dalla determinazione di cinque soci privati, che hanno dato vita alla prima società di biotecnologie fotosintetiche in grado di sviluppare, ingegnerizzare, costruire e condurre impianti su scala industriale per la produzione di microalghe a fini energetici. “Abbiamo un impianto pilota a Roccasecca, sul sito di una discarica molto innovativa, dove recuperiamo l'anidiride carbonica e gli ossidi di azoto, che servono per alimentare le microalghe allevate in quattro fotobioreattori”, spiega l'amministratore delegato Matteo Villa. Microlife è già stata adocchiata dall'Enea e dall'Institut Francais du Pétrole, con cui ha appena stretto un accordo di collaborazione per avviare la coltivazione di microalghe su dieci ettari di terreno, un progetto all'avanguardia in Europa.

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