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21 marzo 2011

Dopo Fukushima, riscossa del gas naturale liquefatto

Il Giappone piange sulle macerie del terribile disastro, ma Peter Voser, numero uno di Royal Dutch Shell, non ha potuto reprimere un sorriso annunciando l'invio, già in corso, delle prime forniture straordinarie di gas naturale liquefatto verso i terminali di rigassificazione di Tokyo. Il colosso anglo-olandese sarà il primo ad approfittare del rimbalzo del prezzo del gas, che in pochi giorni è schizzato in su del 12%, mentre le quotazioni dell'uranio crollavano del 20%. Ma non sarà certamente l'ultimo. Gazprom e Qatargas si sono messi subito a disposizione e schiere di trader sono già in caccia di navi gasiere in giro per il mondo, il cui carico possa essere dirottato sul Giappone.

Il trend sul mercato delle materie prime rispecchia il panico scatenato dall'incidente nucleare di Fukushima. In particolare, salgono i prezzi sulla piazza del National Balancing Point inglese, uno dei principali punti di negoziazione europei, considerato il mercato di riferimento per il Gnl, un idrocarburo liquido ottenuto raffreddando a -162° il gas naturale appena estratto, per poi poterlo trasportare liberamente via nave. Nel 2010, l'Europa ha ricevuto 76 miliardi i metri cubi di questo gas, di cui 26 a destinazione flessibile. Quest'anno, Deutsche Bank prevede che verranno dirottati dall'Europa al Giappone fra i 5 e i 12 miliardi di metri cubi, mandando in orbita i prezzi europei. Tokyo è il primo importatore mondiale di gas naturale liquefatto - con cui alimenta un terzo del suo imponente sistema elettrico - e ne avrà ancora più bisogno nei prossimi mesi: solo per rimpiazzare la produzione di Fukushima dovrebbe aggiungere quest'anno 12 miliardi di metri cubi di Gnl agli 88 miliardi importati nel 2010, già una cifra da record. Ma la rivoluzione che si sta profilando sul mercato delle materie prime energetiche va al di là del problema giapponese.

La chiusura di 7 centrali in Germania, il ripensamento degli svizzeri sui 2 reattori in progetto, il congelamento delle 23 centrali in costruzione in Cina e degli 11 previsti in Russia non depongono a favore di una grande crescita del nucleare nel prossimo futuro. A tutto vantaggio del gas, oltre che del carbone e delle fonti rinnovabili. "Un evento come questo potrebbe riagganciare al petrolio il prezzo europeo del gas, che si era staccato dalla cavalcata del greggio", ha spiegato Simon Henry, direttore finanziario di Shell, presentando la strategia della major. Nell'ultimo anno, infatti, le quotazioni del gas si erano disaccoppiate dal petrolio grazie a un surplus di offerta, derivato dalle abbondanti estrazioni di gas non convenzionale che hanno inondato di metano a buon prezzo il mercato americano, liberando vasti volumi di Gnl per il resto del mondo. Si era interrotto così un legame storico, con il petrolio in continua turbolenza per le tensioni geopolitiche e il gas al bello stabile. Ma ora il rimbalzo dei prezzi indica una netta inversione di tendenza, alla luce della reazione emotiva che sta bloccando in tutto il mondo i programmi nucleari esistenti.

"Se davvero dovessimo andare verso un mondo senza il nucleare, il gas sarebbe senz'altro la soluzione più efficiente per sostituire quella quota di produzione elettrica", spiega Davide Tabarelli, presidente di Nomisma Energia. In base ai suoi calcoli, studiati per CorrierEconomia, bisognerebbe estrarre globalmente 1000 miliardi di metri cubi di gas in più da qui al 2020 per "tappare il buco" lasciato aperto dal tramonto dell'atomo. Una quantità gigantesca, quasi equivalente alla produzione combinata di Stati Uniti e Russia, le due grandi potenze gasiere del mondo. "Più plausibile sarebbe uno scenario in cui la quota del nucleare venisse coperta al 40% dal gas, al 40% dal carbone e al 20% dalle fonti rinnovabili", commenta Tabarelli. Ma anche così, si tratterebbe di estrarre quasi 300 miliardi di metri cubi di gas e oltre 500 milioni di tonnellate di carbone in più. "Sotto il profilo ambientale, sarebbe un disastro", ammette Tabarelli, ricordando le 300mila vittime annuali attribuite all'inquinamento delle 400 centrali a carbone cinesi. Già la chiusura di 7 reattori tedeschi rischia di causare problemi enormi alla Germania, cui mancherà di colpo quasi un decimo della produzione di energia elettrica. Con cosa sostituirla? "Il gas sarebbe la soluzione meno inquinante, ma più cara. Il rischio è invece che si ricorra all'economica ma pestilenziale lignite", precisa.

E le fonti rinnovabili? Anche per loro il disastro giapponese può rappresentare una bella spinta. Nei giorni immediatamente successivi, mentre tutte le Borse cadevano, i titoli delle compagnie legate al solare o all'eolico hanno preso il volo. Fra i produttori di turbine e aerogeneratori, Nordex è salita del 19 per cento, Broadwind Energy del 24. Nel solare, la tedesca SolarWorld ha guadagnato il 23 per cento, l'americana Sunpower l'11, la Suntech il 10, First Solar l'8, invertendo una serie nera dovuta al taglio dei sussidi statali europei e in particolare italiani. Fra le società nostrane, splende Enel Green Power, che ha in programma investimenti per 6,4 miliardi nelle fonti rinnovabili, da qui al 2015. Ma corrono anche Kerself, KR Energy, Kinexia, Falck e Alerion. A livello globale, l'indice dell'energia pulita, l'S&P Global Clean Energy Index, ha registrato un balzo del 6 per cento. Potrebbere essere la riscossa per un settore sempre troppo dipendente dagli incentivi pubblici.


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