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23 dicembre 2011

Shale gas: arriva la rivoluzione, ma non per l'Italia

Il XXI secolo sarà l'era del gas naturale, così come il XX è stato l'era del petrolio. Grazie alla rivoluzione in atto da qualche anno nel mercato del gas, che fino alla fine del secolo scorso era ancillare a quello dell'oro nero, questo combustibile considerato un tempo di scarto sta diventando il vincitore della guerra tra fonti scatenata dalle disavventure del nucleare. Le nuove tecnologie di estrazione del metano da formazioni argillose, chiamate scisti, hanno liberato il potenziale di crescita del cosiddetto shale gas, che in pochi anni ha saturato il fabbisogno americano e ora abbonda, tanto che diversi operatori hanno cominciato a venderlo all'estero, inondando il mercato libero di materia prima. Le quotazioni del gas americano così si sono disaccoppiate da quelle del greggio e ai prezzi attuali sono molto più convenienti rispetto al gas europeo. Ma per approfittare di questa rivoluzione, ci vogliono gli impianti giusti, perché il gas americano arriva liquefatto via nave e per riceverlo servono terminali di rigassificazione.

L'Italia, invece, ha scelto i tubi: due terrestri, che ci portano il metano dal Mare del Nord e dalla Russia, e due sottomarini, provenienti dalla Libia e dall'Algeria. Queste infrastrutture, che fanno capo all'Eni, ci legano mani e piedi alle forniture provenienti da Paesi non proprio campioni di stabilità politica. E a contratti fissi detti take or pay, che ci inchiodano a prezzi oggi molto penalizzanti rispetto a quelli correnti sul mercato spot. Eppure l'Italia avrebbe un fortissimo interesse a ricevere metano a buon mercato, visto che manda avanti a gas anche il suo sistema elettrico, oltre alle industrie e al riscaldamento delle case. Siamo il quarto importatore mondiale di gas e l'unico Paese al mondo che alimenta il 60% delle sue centrali elettriche con il metano. Quel prezzo determina dunque anche la nostra bolletta elettrica. Per di più, se manca il gas, in Germania si resta al freddo, mentre da noi si resta anche al buio. Con 80 miliardi di metri cubi di fabbisogno, il nostro sistema produttivo beve gas quanto l'economia giapponese, che ha un Pil triplo. Ma il Giappone ha 28 rigassificatori, noi solo due: uno piccolo a Panigaglia, in Liguria, sempre del Cane a sei zampe, e uno più grande al largo di Rovigo, di ExxonMobil, QatarPetroleum e Edison.

Per fortuna, la rivoluzione del gas americano non è che all'inizio: il ministero dell'Energia stima le riserve di shale gas tecnicamente recuperabili in 187mila miliardi di metri cubi, che amplierebbero del 40% le riserve mondiali di gas. C'è sempre tempo per correggere il tiro.


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