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18 giugno 2010

La scure di Calderoli sull'energia del vento

Non c'è crisi per l'eolico a livello globale, ma l'Italia rischia una brusca frenata quest'anno. Nell'ultimo decennio il settore è cresciuto con una media annua del 23% e il futuro prossimo promette bene: i 158 gigawatt installati nel mondo a fine 2009 potranno essere oltre 400 nel 2014 per il Global Wind Energy Council. In Italia, il 2009 è stata un'annata record: la potenza totale accumulata è cresciuta del 30%, arrivando a 4.850 megawatt a fine anno e ha continuato la sua corsa nel 2010, fino a 5.200 megawatt a fine maggio. Puntava già su quota 6 giga per l'inizio del 2011.


"Invece, qui ci fermiamo", commenta mestamente Simone Togni, direttore dell'Associazione nazionale energia del vento. Con l'articolo 45 della finanziaria, infatti, il ministro Roberto Calderoli ha calato la scure sull'eolico italiano, abolendo l'obbligo per il Gestore dei servizi elettrici (con valore retroattivo) di acquistare i certificati verdi rimasti invenduti sul mercato. Sono appunto i certificati verdi che finanziano tutte le fonti rinnovabili, tranne il fotovoltaico: non con i soldi dei contribuenti, ma delle compagnie energetiche che producono elettricità da fonti fossili. In pratica, il certificato verde è una penalità: chi genera energia ha l'obbligo di produrne una quota (ora del 6%) da fonti rinnovabili, ma se non ci arriva deve acquistarla sul mercato, in forma di certificati verdi, venduti dalle aziende specializzate nelle fonti rinnovabili per finanziare la propria attività. Il Gestore dei servizi elettrici fa da camera di compensazione di questo mercato: ne vende se c'è carenza di offerta e ne acquista se c'è carenza di domanda. I guadagni e le perdite vanno a incidere sulle bollette, abbassando o alzando la componente A3, che finanzia per l'appunto lo sviluppo delle fonti rinnovabili.


Il governo ha deciso a suo tempo che questo meccanismo deve restare in piedi finché l'Italia non avrà raggiunto l'obiettivo richiesto dall'Europa al 2020: una quota del 30% di fonti rinnovabili sul mix energetico nazionale. Negli anni di vacche magre, quando le fonti rinnovabili erano merce rara, il Gse ha fatto lauti guadagni su questo mercato, vendendo i certificati che mancavano. Ma dall'anno scorso c'è un'eccedenza di certificati verdi sul mercato e quindi il Gse deve comprare, per non far crollare i prezzi. Questi titoli, che premiano la produzione di energia da fonti rinnovabili, ad oggi sono venduti in media a 88 euro per megawattora. Ma se mancasse l'intervento del Gse, come indicato dall'emendamento Calderoli, i prezzi scenderebbero a 60-65 euro. Equita Sim ha esaminato i possibili effetti negativi della nuova norma sulle aziende quotate attive su questo mercato e le ricadute stimate sul margine operativo lordo 2010-2011 rischiano di essere notevoli: del 20-25% per Alerion e per Erg Renew, del 6-7% per Iride, del 5% per Enel Green Power (debuttante in autunno), dell'1-2% per Hera e dell'1% per Edison.


"Interrompendo questo meccanismo, per di più con valore retroattivo, il governo ha generato sui progetti già in essere una grave situazione di insolvenza", spiega Togni. "Il sistema creditizio, che ha partecipato al finanziamento di circa 2,5 gigawatt di potenza concedendo finanziamenti per 4 miliardi e mezzo di euro, valuta che tali investimenti siano già a rischio default, per non parlare di quelli futuri per ulteriori 1,75 gigawatt di potenza", precisa Togni. In pratica, dalla pubblicazione in Gazzetta Ufficiale le erogazioni dei finanziamenti già in essere verranno sospese e le distribuzioni di eventuali dividendi già maturati verranno bloccate, con impatto sui nuovi investimenti e sulla liquidità dei produttori. Non a caso, il provvedimento ha scatenato una vera e propria levata di scudi fra gli operatori, con reazioni di tutte le associazioni di categoria, dall'Aper all'Anev, dalla Fiper a Federambiente, passando per Fise Assoambiente. Perfino Emma Marcegaglia è intervenuta in prima persona a favore di una correzione.


"Speriamo che la norma venga rivista nel corso del dibattito in Parlamento - auspica Togni - ma anche in questo caso, con un fermo di almeno un paio di mesi, la crescita dell'eolico quest'anno resterà azzoppata e una parte dei 25mila lavoratori dell'eolico rischia il posto per il default tecnico degli impianti. Per non parlare della perdita di credibilità del Paese nei confronti di chi è venuto dall'estero a investire sul vento italiano".


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