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4 giugno 2010

Per l'acqua serve una vera Authority

La consapevolezza passa per la trasparenza. «Ma se i dati sul sistema idrico non ci sono, come fanno a essere trasparenti?». Questo, secondo Roberto Passino, presidente del Commissione nazionale di vigilanza sulle risorse idriche, è il problema fondamentale. Passino, che è anche direttore dell' Istituto di ricerca sulle acque al Cnr, ne sa qualcosa: «L' ultimo quadro aggiornato del fabbisogno lo abbiamo fatto noi dell' istituto nel ' 99 - dice -. Una ricerca molto approfondita, ma anche quella basata su stime, mai su dati a consuntivo, perché gran parte dei consumi non si pagano o vengono pagati a forfait. Dopo di che, il nulla. Come si può pensare di governare un sistema su queste premesse?». Appunto. «Non si può. Del resto, manca un' Authority unitaria, come quella per l' energia. Il sistema idrico è frammentato e difficile da controllare. La struttura dell' approvvigionamento potabile, che pure soffre di innumerevoli allacciamenti abusivi e falle di ogni tipo, è l' unica di cui si può tracciare un perimetro relativamente preciso, se non altro perché gestita da aziende che hanno interesse a farsi pagare. Ma interessa meno del 20% del sistema». E il resto? «Il grosso del nostro patrimonio idrico è dato in concessione ai consorzi di bonifica, per soddisfare le esigenze irrigue degli agricoltori. Ma il sistema normativo che ha istituito i consorzi risale agli anni Trenta, quando si voleva incentivare l' uso dell' acqua per modernizzare un' agricoltura ancora arretrata, basandosi su una risorsa abbondante, anzi eccessiva. Erano gli anni in cui le pompe idrovore bonificavano le paludi della Pianura Padana aspirando l' acqua dalla terra e scaricandola nel Po. Oggi succede l' esatto contrario, con le chiatte che aspirano l' acqua del Po e la indirizzano verso i terreni agricoli». Senza monitoraggio? «Nella maggior parte dei casi, le tariffe non sono a consumo e quindi non c' è ragione di misurare precisamente i prelievi. I dati sul fabbisogno degli agricoltori sono stimati su parametri soggettivi e probabilmente riduttivi rispetto alla realtà. E se gli acquedotti italiani perdono il 40% dell' acqua prelevata alla fonte, non è nemmeno immaginabile la quantità di perdite delle reti irrigue. Per non parlare dei prelievi abusivi, che nel settore agricolo sono all' ordine del giorno, come anche negli usi industriali». I pozzi non vanno autorizzati? «Certamente. Ma da quando la legge Galli ha imposto il censimento dei punti di prelievo sotterraneo, nel ' 94, tutti si sono affrettati a costruirne di abusivi. Da allora ad oggi la scadenza delle notifiche è stata prorogata per otto volte in sordina, inserendo la norma in provvedimenti omnibus per mimetizzarla. Come con i condoni edilizi, questo modo di procedere incentiva gli abusi». E dunque? «Dunque non si conoscono i punti di prelievo sotterraneo e questo è uno dei motivi della crisi strutturale del sistema. I dati di utilizzo devono essere riordinati e monitorati. In questo modo si incentiverebbe anche l' uso di tecniche d' irrigazione più efficienti. Non dimentichiamo che la madre delle grandi imprese specializzate nelle tecnologie dell' acqua è la normativa restrittiva imposta nei loro Paesi d' origine. La necessità di diventare efficienti aguzza l' ingegno». Ma i titolari delle concessioni dovranno pur pagare un canone. «È un canone ridicolmente basso, che non supera l' 1% del prezzo finale agli utenti. Per di più, molti consorzi di bonifica fanno anche commercio dell' acqua che hanno in concessione, vendendo l' utilizzo di acqua agricola per altri scopi: ad esempio la produzione elettrica, con ottimi profitti». Basterebbe aumentare il canone... «Non è così semplice. Occorre soprattutto rivedere i concetti che stanno alla base delle concessioni, rispettando le compatibilità economiche dei concessionari. Non bisogna dimenticare che anche queste concessioni, come tutte le altre in vigore in Italia, devono essere governate dai concedenti, non dai concessionari. Questo è un concetto che negli anni si è un pò perso di vista». Santuari difficili da smantellare? «I santuari vanno toccati e nella revisione del decreto ambiente, ora allo studio del ministro, ci sono diverse proposte radicali sulla gestione dell' acqua. Il sistema idrico italiano ha già dato troppo da mangiare oltre che da bere. Ora è arrivato il momento di cambiare questa cultura dei grandi finanziamenti e dei grandi sprechi per dedicarsi un po' all' efficientamento delle strutture che ci sono già. L' acqua in Italia c' è, basta smettere di rubarla e di buttarla via».

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