29 settembre 2004
Il nucleare italiano passa per l'Europa
27 settembre 2004
L'Ue spinge, l'America frena, la Russia rinvia
26 settembre 2004
Cinema, dal maxischermo al cellulare
21 settembre 2004
Kyoto ama l'ambiente ma fa soffrire il Pil
20 settembre 2004
Varese Ligure, campione di ecologia
16 settembre 2004
Slovacchia atomica per l'Enel
13 settembre 2004
I nuovi lobbisti non operano nell'ombra
12 settembre 2004
Dan Ahrens
Dopo i fondi socialmente responsabili, ecco un fondo davvero irresponsabile. Perché ha deciso di andare controcorrente? "Non abbiamo niente contro la finanza etica, in via di principio. Ma nel momento in cui i mercati andavano male, fra il 2001 e il 2002, ci siamo accorti che i titoli delle aziende attive negli alcolici, nel gioco d'azzardo, nel tabacco e nelgli armamenti, continuavano a mettere a segno performance soddisfacenti, in netta controtendenza. Così abbiamo deciso di approfondire l'argomento e da questo studio è nato il Vice Fund".
Quattro settori soltanto rappresenta un universo piuttosto limitato da cui scegliere. Saranno poche centinaia di titoli… "Non lo considero uno svantaggio. Questo ristretto numero di titoli da cui scegliere ci consente di identificare e investire nelle idee migliori sul lungo periodo. Non siamo interessati a perseguire la crescita fulminea, ma seguiamo un po' la filosofia di Warren Buffett. Siamo molto concentrati nella ricerca di aziende solide che ci sembrano sottovalutate e quando investiamo in un titolo, di solito lo teniamo per molto tempo. Al momento attuale ne abbiamo soltanto 45, distribuiti abbastanza equamente tra i quattro settori, anche se il tabacco pesa un po' meno degli altri tre".
E il sesso? "Investiremmo volentieri anche in questo settore, ma è povero di grandi aziende quotate. Molti ci hanno suggerito di comprare azioni Playboy: è un'dea divertente, ma non è un buon titolo. Quando investiamo, non andiamo mica alla ricerca del vizio in quanto tale. Anche in questo settore si puo restare con il cerino in mano se non si sta attenti. In generale il vizio è un business fiorente, ma non tutto quello che è vizio paga".
Il settore più rappresentato nel vosto fondo è la difesa, che non rientra precisamente nell'area del vizio… "Abbiamo incluso molte aziende della difesa nel nostro portafoglio proprio perché i fondi socialmente responsabili le evitano e noi puntiamo a essere identificati come un'alternativa a questi fondi. Per di più con tutti i conflitti in corso si tratta di un settore molto remunerativo. Fra i primi dieci titoli del Vice Fund ci sono ben quattro aziende di questo comparto: L-3 Communications, Northrop Grumman, United Technologies e United Defense Industries. Il nostro investimento più consistente in assoluto è L-3 Communications, un'azienda molto all'avanguardia sul fronte della guerra tecnologica. La sua specialità sono i sistemi informativi e di riconoscimento, le attrezzature per la sorveglianza e le scatole nere degli aerei, tutti dispositivi che saranno al centro di ogni azione militare nei prossimi anni. Infatti L-3 è un titolo molto dinamico".
Anche Anheuser-Busch, un'azienda molto più tradizionale, è fra i vostri investimenti principali… "E' il secondo, dopo L-3. E' un titolo che ci piace molto: stabile, remunerativo in ogni contesto. Che i mercati vadano bene o male, i tassi d'interesse siano alti o bassi, la gente continua a bere in ogni caso. Fra i nostri primi dieci titoli abbiamo anche Fortune Brands (produttore di Absolut, ma anche di altri liquori molto conosciuti negli Usa) e Constellation Brands, che produce e distribuisce 200 marche di birra. Non sono titoli molto dinamici, ma crescono sempre in maniera costante. Anheuser-Busch è il più grande produttore di birra del mondo, ha il 50% del mercato americano e sta crescendo molto all'estero con una serie di acquisizioni. Gli analisti erano convinti che avesse raggiunto il suo apice già qualche anno fa e quindi il titolo era un po' sottovalutato. Invece ha continuato a guadagnare quote di mercato, con l'aiuto di un ottimo marketing, e sta dando grandi soddisfazioni agli investitori, sia in anni di crisi che di prosperità".
Si continua anche a fumare, malgrado i rischi alla salute sempre più evidenti? "Mentre il mercato del tabacco è in declino negli Usa, nel resto del mondo sta crescendo rapidamente. Le aziende di questo settore sono sempre più ricche e pagano alti dividendi. Fra i primi dieci titoli del nostro portafoglio abbiamo sia Altria (la casa madre di Philip Morris) che British American Tobacco".
Malgrado i problemi legali e le campagne anti-fumo in tutto il mondo occidentale, lo considera un business in crescita sul lungo periodo? "I rischi legali sono già inclusi nel prezzo di questi titoli. Anzi, sono decisamente sottovalutati proprio per paura delle multe, che ormai mi sembrano vicende del passato. Non bisogna dimenticare che i problemi legali e la forte ostilità nei confronti del fumo sono concentrati perloppiù negli Stati Uniti. Il mercato globale, al contrario, cresce e i marchi più noti - come Marlboro o Davidoff - si espandono, spesso rimpiazzando marchi locali all'estero. Quindi non vedo perché considerarlo un business di corto respiro".
Il terzo titolo nel vostro portafoglio, dopo L-3 e Anheuser-Busch, è Harrah's Entertainment, il gigante dei casinò. Anche questo è un settore in crescita? "Fenomenale. Da un lato l'avvento del gioco d'azzardo online, dall'altro le leggi favorevoli ai casinò promulgate negli ultimi anni da vari Stati americani, hanno generato un boom senza precedenti. Harrah's, con 28 casinò in 13 Stati diversi, è un colosso. Ma c'è un'enorme fioritura d'iniziative in questo campo, anche piccole ma molto remunerative: scommesse sui cavalli e sui cani, giochi reali e virtuali. Tutti in grande crescita".
Ma queste attività non hanno più successo in tempi di crisi? "E' un vecchio cliché che non trova riscontri nella realtà: il vizio non è un settore difensivo. E' semplicemente scorrelato con l'andamento dei mercati. I titoli in cui abbiamo investito hanno messo a segno ottime performance nel 2000, 2001 e 2002, in tempi di crisi, ma anche nel 2003, quando i mercati andavano benissimo. Tant'è vero che nel 2003 il nostro fondo ha superato sia l'S&P 500 che il Dow Jones".
6 settembre 2004
Ma c'è anche un'Italia pulita
2 settembre 2004
Vienna: rifiuti trasformati in calore
1 settembre 2004
Varese Ligure, campione di ecologia
Nella battaglia contro l'effetto serra, l'Italia ha già una schiera di vincitori: da Aosta a Siena, da Rimini a Jesolo, da Cavriago a Laigueglia, tutte amministrazioni locali che hanno ottenuto una certificazione ambientale riconosciuta a livello europeo, con cui si attesta il loro spiccato impegno sul fronte dello sviluppo sostenibile. Negli enti locali certificati, in tutto una quarantina di Comuni e Provincie, vivono un milione e mezzo di fortunati italiani, che si godono il talento dei propri amministratori nella raccolta differenziata dei rifiuti, nell'ottimizzazione delle risorse idriche, nella prevenzione del dissesto geologico, ma soprattutto nella generazione di energia da fonti rinnovabili. La loro associazione si chiama Qualitambiente ed è presieduta da Maurizio Caranza, ex sindaco del primo Comune europeo a ottenere una certificazione ambientale: Varese Ligure. Oggi Maurizio Caranza è l'assessore all'Ambiente di Varese Ligure, il borgo rurale più virtuoso dell'Unione europea. In dieci anni il Comune dell'entroterra spezzino, che attinge il proprio fabbisogno energetico unicamente da fonti rinnovabili, ha fermato lo spopolamento, triplicato il turismo, creato 140 nuovi posti di lavoro, raggiunto il 95% di agricoltura biologica ed è diventato il simbolo di una Liguria "pulita" che cerca d'invertire la rotta dopo anni caratterizzati da una disordinata crescita turistica e urbanistica. "Varese Ligure era un paese che stava morendo, ora è risorto", spiega Caranza, che pochi mesi fa ha ricevuto a Berlino dalle mani della commissaria Loyola De Palacio il premio dell'Unione europea Promote 100, riservato al comune rurale europeo che ha eseguito il più completo e originale progetto di sviluppo sostenibile. La storia recente del borgo spezzino, dove gli abitanti vivono sparsi in 27 frazioni dediti a pastorizia, agricoltura, commercio e turismo, è segnata da premi e certificazioni: Iso 14001, Emas e Promote 100 i più recenti. "Dieci anni fa - racconta Caranza - Varese non lo conoscevano neppure alla Spezia, era destinato a morire per spopolamento. Ci siamo dati da fare e puntando tutto sull'ambiente abbiamo ribaltato la situazione. Oggi la popolazione è stabile, con 15 nascite l'anno, e c'è anzi un piccolo afflusso di famiglie e aziende agricole attirate dall'aria buona e dalla natura incontaminata. Il turismo vive 6 mesi su 12, produciamo latticini, carne e verdure in eccedenza, tutto rigorosamente biologico". Per di più oggi Varese Ligure detiene anche il record di "supernonni": sono otto gli anziani di età compresa tra i 100 e i 103 anni e ben trenta quelli che oscillano tra i 90 e i 100, su un totale di 2.400 abitanti. Da qui i riflettori puntati sul borgo dell'alta Val di Vara da parte dei ricercatori dell'università di Bologna impegnati, per conto della Commissione Europea, in uno studio su undici paesi dell’Unione con alto tasso di longevi. L’immunologo Claudio Franceschi, che sta studiando i supernonni varesini, ritiene che la longevità sia determinata per il 75% dall’ambiente e per il 25% da fattori genetici.E qui l'ambiente è davvero ideale per vivere a lungo. Oggi Varese Ligure produce 4 milioni di Kw con due generatori eolici e ne sta installando altri due per raddoppiare le capacità dell'impianto. Un sistema fotovoltaico produce altri 23.000 Kw. E tutte insieme le installazioni consentono un taglio alle emissioni di ben 9,6 tonnellate di anidride carbonica. Solo l'impianto eolico fa risparmiare 8 tonnellate di anidride carbonica (presto saranno raddoppiate). "Inoltre con l'eolico - spiega Caranza - guadagnamo 30.000 euro l'anno grazie a un accordo con l'azienda pubblica Acam che gestisce l'impianto". Tutta la popolazione è coinvolta in questa sorta di esperimento virtuoso: i negozi, le locande, le piccole aziende e le cooperative hanno tutte la certificazione ambientale di qualità. Facendo gioco di squadra sotto l'attenta regia di Caranza, il paese ha così ridotto la produzione di rifiuti a 350 kg a testa contro i 530 di media della provincia, e ha incrementato la raccolta differenziata fino al 25% del totale. Inoltre 1.600 ettari di terre sono dedicati alla produzione biologica di carni e latticini, grazie all'allevamento di 2000 capi tra bovini e caprini. "Sono stato fortunato - racconta Caranza - perché da quando abbiamo ottenuto i primi risultati, tutti hanno cominciato a cercarmi per fare da cavia, dalla Regione al ministero dell'Ambiente. Abbiamo sperimentato il biologico, varie raccolte differenziate di rifiuti, il risparmio energetico, la produzione di energia da fonti rinnovabili". E i risultati sono sotto gli occhi di tutti.
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Nimby e così sia
2 agosto 2004
Ray Dalio
I rialzi dei tassi stanno mettendo a dura prova il mercato obbligazionario americano e la pressione si estende anche all'Europa. Lei cosa consiglia? "Consiglio di aspettare che il tasso sui Fed Funds arrivi al 4,25%, che sarà il suo picco, e i rendimenti dei Treasury a dieci anni al 5,75%. A quel punto si può essere sicuri che la politica monetaria della Fed avrà già raffreddato abbastanza l'economia per rendere i bond americani di nuovo attraenti. Per quanto mi riguarda, ricomincerò a comprare già quando i Treasury a dieci anni saranno arrivati al 5,25%, se l'economia mostrerà segni di rallentamento, come ad esempio due decimi di punto in più sulla disoccupazione rispetto al tasso più basso raggiunto dopo la recessione, finora il 5,6%. Nel frattempo, consiglio di andarsi a cercare altrove condizioni ambientali migliori".
Difficile, visto che l'economia americana continua a fare da traino per gran parte del mondo… "Anche questo è un mito da sfatare. L'economia mondiale, che nell'ultimo decennio sembrava sempre più sincronizzata su un'unica lunghezza d'onda - quella americana - oggi è di nuovo una cacofonia di mercati che corrono in direzioni divergenti. Merito dei banchieri centrali, che ragionano in maniera indipendente gli uni dagli altri".
Quindi? "Mentre la Fed rialza i tassi per raffreddare un'economia in crescita troppo rapida, il Giappone si è appena avviato verso un periodo di crescita sostenuta. L'Asia sta decelerando dopo una corsa a perdifiato e l'America Latina anche, dopo una modesta espansione. L'Europa invece continuerà a crescere adagio. Ma anche all'interno di queste aree ci sono singole economie nazionali che non vanno al passo con il resto: una delle Borse che ha fatto meglio quest'anno, con un balzo nell'ordine del 20%, è quella ungherese, che sta in Europa, mentre fra le peggiori c'è quella thailandese, che sta in Asia".
Lei come sfrutta questa cacofonia? "Vado in giro per il mondo a cercarmi le obbligazioni prezzate in maniera più attraente, soprattutto fra quelle dove gli emittenti hanno un profilo di rischio in via di miglioramento. Il maggior valore che si può trarre dalle obbligazioni si trova dove il rischio di credito viene prezzato in maniera inefficiente dal mercato".
Quali sono i segnali da guardare? "Bisogna combinare una visione macroeconomica globale con un minuzioso processo di selezione dei singoli titoli. La maggiore o minore volatilità dei mercati e la tenuta dei vari settori sono dati importanti di cui tener conto. Fondamentale è anche costruire un portafoglio che abbia molte parti in movimento, in modo da bilanciare le varie fasi dei cicli economici in giro per il mondo".
In pratica? "I nostri investimenti obbligazionari sono sparsi su 30 Paesi, 40 settori e 10 diverse valute. Questa diversificazione ci tiene al riparo dai problemi delle singole economie nazionali".
Che vantaggi vi ha portato? "Nel 2002, quando il dollaro è caduto, noi avevamo importanti posizioni su valute più piccole come la corona norvegese o il dollaro neozelandese, che sono andate molto bene quell'anno, con guadagni del 30-40%. Il 2002 è stato l'anno di Enron e WorldCom, la gente si è fatta prendere dal panico ed è uscita in massa dai corporate bond. Noi invece abbiamo aumentato la nostra esposizione sia sui titoli più sicuri che su quelli ad alto rendimento. E difatti nel 2003 c'è stato il rally dei corporate bond. Ora però abbiamo ridotto la nostra esposizione sui corporate, soprattutto ad alto rendimento, perché sarà difficile che continuino a correre".
Quali sono i Paesi che privilegiate? "Solo il 30% dei nostri investimenti obbligazionari sono negli Stati Uniti. Il 70% sono bond non denominati in dollari. Un altro terzo è in euro, un po' meno di un decimo in yen, il 7% in sterline e il 6% in dollari canadesi. Il resto sono spiccioli. Per quanto riguarda i Paesi, dopo gli Stati Uniti viene il Canada, poi la Germania, il Regno Unito e l'Olanda".
1 agosto 2004
I compensi imbarazzanti dei manager strapagati
26 luglio 2004
Jean-Paul Fitoussi
Lei preferisce parlare di un problema europeo, ma l'export italiano perde più quote di mercato degli altri europei. Perché? "Italia, Francia e Germania soffrono dello stesso male: la sopravvalutazione dell'euro, che colpisce la competitività delle imprese esportatrici. Certo in Italia gli effetti sono più marcati, perché la vostra economia si basa di più sulla piccola e media impresa, particolarmente esposta alla concorrenza della Cina e degli altri Paesi asiatici emergenti. L'estrema frammentazione della struttura industriale italiana la rende più vulnerabile delle altre. Ma i problemi di fondo sono i medesimi".
Soluzioni? "Bisogna puntare su una politica espansiva, basata sulla ricerca, l'innovazione, le infrastrutture. Bisogna trasformare l'economia italiana, insieme a quella europea, in un'economia del sapere. Gli americani, che l'hanno inventata, la chiamano knowledge economy. E' inutile combattere i cinesi sul loro stesso terreno, puntando sulla manifattura di base. E' una battaglia persa. Bisogna buttarsi sulle produzioni avanzate, ad alto valore aggiunto. Quindi bisogna investire nelle università e nella ricerca scientifica".
Tremonti aveva proposto di non conteggiare nel deficit le spese per la ricerca e quelle infrastrutturali. Lei sarebbe d'accordo? "Qualsiasi misura espansiva va bene, purché coordinata a livello europeo. Per quanto mi riguarda, avevo proposto che l'Europa sottoscrivesse un prestito internazionale di importanti dimensioni a favore dei finanziamenti alla ricerca. Ma non è stato fatto nulla. Questa incapacità di coordinamento è il motivo per cui l'economia europea è così debole e non va mai oltre una crescita del 3%, che per i nostri standard è già miracolosa, ma non ha niente a che fare con la vera espansione come la conoscono gli Stati Uniti".
Meglio aumentare gli investimenti o tagliare le tasse? "Per uscire dalla stagnazione le strade sono due: una di sinistra, attraverso l'aumento della spesa pubblica, e una di destra, attraverso la diminuzione delle tasse. Due politiche diverse ma entrambe valide, sia l'una che l'altra con opportuni accorgimenti possono essere indirizzate a un rilancio dell'innovazione e della diffusione del sapere. Ma l'importante è reagire per tempo, possibilmente di concerto con gli altri Paesi europei. Non lasciarsi andare come ha fatto l'Europa fino ad oggi. Gli Usa e l'Asia hanno reagito prontamente, mentre la risposta europea, sia sul fronte monetario che fiscale, è stata debolissima, se non controproducente".
E' un problema di tassi d'interesse? "La Bce è troppo ingessata, ma in questo momento non abbiamo tanto un problema di tassi d'interesse, che sono abbastanza adeguati, quanto di cambio. L'euro è sopravvalutato e andrebbe tenuto a freno. In Europa manca una politica di cambio. Negli Stati Uniti la politica di cambio la fa il segretario al Tesoro, non la Fed. I governi europei devono mettersi d'accordo su questo punto e, se serve, devono intervenire sui cambi comprando dollari".
E il Patto di stabilità? "Il Patto di stabilità ha costretto l'Europa a una politica restrittiva proprio quando c'era bisogno di una strategia di crescita. Quelle regole vanno cambiate, o almeno bisogna trovare un'interpretazione più flessibile, che rientri in una strategia economica complessiva di lungo periodo. Altrimenti l'Europa è destinata ad aspettare sempre che la crescita venga dall'esterno. Ma quando manca una strategia autonoma i problemi di competitività, come quelli dell'Italia, diventano subito più acuti".
Quindi lei sostiene la necessità di una governance europea? "Non c'è altra scelta, non possiamo rimanere a lungo a metà del guado, perché è la posizione più scomoda. Ormai i governi nazionali non hanno più l'autonomia necessaria per gestire e imporre una politica economica efficace. Il caso di Tremonti, ma anche quello di Mer, dovrebbero insegnarci qualcosa. I ministri dell'Economia saltano perché sono dicasteri strategici, ma hanno una sovranità limitata. Per questo è urgente creare una governance economica europea in grado di fissare e coordinare una politica comune".
19 luglio 2004
Il piano di Terna contro il blackout
6 luglio 2004
Paul Krugman
Tagliare i tassi, quindi. Non le pare un po’ tardi? “In effetti il treno della ripresa è passato da un bel po’, ma l’Europa non ci è ancora montata sopra. La crisi più nera è superata, ma la crescita non ingrana. Perché dunque insistere con una politica monetaria che chiaramente non funziona? Sembra quasi che la crescita economica europea non interessi ai banchieri di Francoforte”.
In effetti il loro compito si limita a garantire la stabilità dei prezzi… “Ma com’è possibile impostare una politica monetaria solo sulla difesa dall’inflazione? Se la minaccia viene da una direzione diversa che cosa si fa, si guarda da un’altra parte?”
C’è sempre la politica fiscale… “Anche su quella la libertà di manovra è molto limitata dal Patto di stabilità, concentrato a regolare il deficit su base annuale, che tutto sommato conta poco. Sarebbe molto più sensato prendere in considerazione il peso complessivo del debito e limitare quello, o tenere sotto controllo il deficit dando un lasso di tempo più lungo di un anno per rientrare. Da quando sono entrate in vigore, le restrizioni imposte alla politica monetaria e alla politica fiscale europea hanno sicuramente aggravato la crisi, anziché alleviarla”.
Quindi via con i tagli alle tasse? “E’ un buon sistema per rimettere in moto la domanda, ma va usato con giudizio, altrimenti si rischia di accumulare troppo debito”.
Preferisce altre misure di stimolo, come l’aumento della spesa pubblica? “Fra le due possibilità nel caso italiano preferirei senz’altro tagliare le tasse, che da voi sono molto alte. I tagli fiscali non possono sostituire del tutto una politica monetaria espansiva, ma sono la misura che più le si avvicina. La spesa pubblica, invece, andrebbe semmai alleggerita ulteriormente, riformando il sistema pensionistico, che è troppo pesante”.
C’è già stato un tentativo in questo senso… “Resta un sistema eccessivo, che incide troppo sul Pil. Non bisogna dimenticare che la popolazione europea – e in particolare quella italiana – sta invecchiando molto più rapidamente della popolazione americana. In queste condizioni un sistema pensionistico come il vostro non è più sostenibile. Non si può caricare sulle spalle dei giovani un peso di queste dimensioni e poi pretendere anche che si mettano a correre per far crescere l’economia”.
Quindi riforme strutturali… “Sì, le riforme strutturali sono il segreto dei pochi Paesi europei, come il Regno Unito o la Spagna, che sono riusciti a mantenere un buon ritmo di espansione anche negli anni più difficili. La Germania invece è ferma, perché non ha messo a segno le riforme più urgenti, come quella del mercato del lavoro”.
E’ un problema anche italiano… “Certo. Se si vuole stimolare la competitività dell’Italia bisognerebbe intervenire anche sul mercato del lavoro”.
In che modo? “Bisogna essere chiari su un punto: la correlazione fra domanda e offerta vale anche per il mercato del lavoro. Se il governo riuscisse a far scendere i costi delle nuove assunzioni, le aziende assumerebbero di più e la disoccupazione scenderebbe”.
Quindi maggiore flessibilità? “Maggiore flessibilità e maggiori incentivi alla mobilità. Assumere e cambiare lavoro deve diventare più facile, più naturale. Anche la contrattazione sui salari dovrebbe essere più flessibile. Queste sono le ragioni per cui negli Stati Uniti si creano più posti di lavoro che in Europa”.
Ma così non si rischia d’importare in Europa anche i problemi di povertà che lei tanto critica nel suo Paese? “La disoccupazione è il male maggiore. Le disuguaglianze sono il male minore. Prima bisogna combattere la disoccupazione, poi le disuguaglianze, applicando misure che non interferiscano troppo con il mercato del lavoro. Quando i sussidi sono talmente alti da disincentivare la gente a trovarsi un lavoro, come in Germania, le ricadute sono devastanti”.