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15 dicembre 2008

Tornado Cina sulle materie prime

È la Cina, naturalmente! Dal petrolio al carbone, dall' oro ai diamanti, tutti i movimenti sul mercato delle materie prime quest' anno e negli anni a venire hanno un solo motore principale: la fame di crescita del colosso asiatico. L' effetto traino del boom che sta interessando il celeste impero, accoppiato a quello dei vicini indiani, farà aumentare d' ora in poi la domanda mondiale di energia dell' 1,6% all' anno, un ritmo ben più sostenuto degli anni scorsi, fino a raggiungere il 50% in più rispetto al fabbisogno attuale nel 2030. Di pari passo cresce il consumo di combustibili fossili, dal petrolio al gas naturale, passando per il carbone. La stessa Cina che spinge la domanda, per fare un esempio, ha in programma l' installazione di nuove centrali a carbone per 50 mila megawatt, una dimensione quasi equivalente alla potenza complessiva di generazione disponibile in Italia. Secondo il World Energy Outlook 2005, il rapporto annuale dell' Agenzia internazionale per l' energia, saranno necessari ben 17 mila miliardi di dollari d' investimenti (sarebbe a dire 1,86 miliardi al giorno), nel prossimo quarto di secolo per far fronte all' aumento del fabbisogno. Il petrolio resterà la principale fonte di energia primaria e la domanda mondiale, oggi a 85 milioni di barili al giorno, salirà a 115 milioni nel 2030. Il gas naturale, per cui l' Aie prevede una crescita folgorante del 75% (a un tasso medio annuo che supera il 2%), scavalcherà il carbone come fonte di energia primaria, mentre la quota percentuale del nucleare è prevista costante e quella delle fonti rinnovabili si manterrà irrisoria, sotto il 2%. In questo scenario si calcola che il prezzo del petrolio sia destinato a scendere un po' sulle prime, attorno ai 35 dollari, per poi stabilizzarsi a 39, un livello più alto rispetto agli ultimi quindici anni, ma non drammatico. «A patto - specifica Faith Birol, capo economista dell' Aie - che i Paesi del Medio Oriente e del Nord Africa siano in grado di estrarre ed esportare le maggiori quantità di idrocarburi richieste dal mercato». In caso contrario, lo scenario prevede che l' aumento dei prezzi cui abbiamo assistito quest' anno diventi strutturale, stabilizzando le quotazioni del greggio sui 52 dollari. Anche se poi la conseguenza sarebbe una contrazione della domanda e il rallentamento del Pil mondiale. Quanto sia cruciale il ruolo dell' area mediorientale nella produzione di idrocarburi si è dimostrato nelle ultime settimane, con la crisi del mercato del gas britannico, dove i prezzi hanno raggiunto in pochi giorni valori 10 volte superiori al normale e di conseguenza le quotazioni dell' elettricità sono schizzate a 80 sterline per megawattora, ben oltre i salatissimi prezzi italiani. «Le cause - spiega Davide Tabarelli del Rie - sono semplici: la capacità produttiva si riduce in presenza di continua crescita della domanda. La produzione del Mare del Nord, che fra il ' 95 e il 2000 era raddoppiata a 105 miliardi di metri cubi, da due anni è in sensibile calo e quest' anno si avvicinerà ai 90 miliardi. Al contrario, la domanda continua stabilmente a salire oltre i 100 miliardi». Sbalzi simili nel prezzo del gas sono accaduti negli stessi giorni anche in Germania e in Francia. Qui non ancora, ma l' Italia è l' unico Paese al mondo che abbia scelto di affidarsi al gas per gran parte della produzione elettrica, circa il 60% nel 2010, mentre negli altri Paesi industrializzati si continuerà ad usare abbondantemente il carbone e il nucleare. La vasta diffusione del carbone in diverse aree del globo ne fa un combustibile sempre più popolare, al riparo dalle incertezze geopolitiche mediorientali: i cinesi, al primo posto nella graduatoria dei produttori, quest' anno ne hanno consumato talmente tanto da far salire l' import del 30%, passando dalla parte degli importatori netti e imprimendo una netta impennata alle quotazioni mondiali. Il fenomeno potrebbe ripetersi anche nel 2006, ma sul lungo periodo la produzione cinese di carbone crescerà, fino a raggiungere nel 2010 la cifra record di 2,4 miliardi di tonnellate. È sempre Pechino ad alimentare l' aumento dei prezzi delle altre commodities: le quotazioni record dell' alluminio subiscono la pressione di una crescita annua dei consumi cinesi del 7,2%, mentre la corsa dell' oro va di pari passo con l' apertura dello Shanghai Gold Exchange e la liberalizzazione del commercio dell' oro nel celeste impero. Per la prima volta in oltre cinquant' anni, i cinesi possono accedere a una forma d' investimento considerata fino a ieri «degenerata» dal partito comunista, che l' aveva severamente proibita fin dai primi giorni del suo regime, nel lontano 1949. Il buon momento dell' oro, dell' argento e del platino, naturalmente, dipende anche dalla loro attrazione generale come beni rifugio contro la minaccia dell' inflazione. Perfino i diamanti, spinti dalla domanda cinese e indiana, brillano più che mai: i prezzi delle gemme grezze continuano a salire e l' offerta non riesce a tenere il passo, mentre i tradizionali centri di taglio soffrono la concorrenza spietata delle nuove realtà asiatiche.

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