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1 novembre 2011

Perotti: gli investitori non si fanno prendere in giro

Dopo l'euforia post-vertice di Bruxelles, con i mercati in festa, per l'Italia è arrivata la doccia fredda dell'asta Btp, con i rendimenti alle stelle: per comperare i titoli italiani, gli investitori chiedono di più. "Evidentemente si sono accorti che il vertice di Bruxelles non ha risolto tutto", commente Roberto Perotti, l'economista della Bocconi che insieme a Luigi Zingales ha stilato un decalogo di misure per portare subito in pareggio i conti pubblici italiani.


Che cos'è successo?
"E' successo che chi investe in titoli di Stato italiano non si fa prendere in giro dalle operazioni di marketing di Angela Merkel e Nicolas Sarkozy: al vertice di Bruxelles hanno suonato la grancassa sulla moltiplicazione dei soldi a disposizione del fondo salva-Stati, ma in realtà i soldi sono sempre gli stessi, 250 miliardi, e non è vero che si possono moltiplicare per quattro".
Quindi ci hanno detto una bugia?
"Hanno cercato di tranquillizzare i mercati, ma in realtà è chiaro a tutti che il fondo non sarebbe in grado di salvare l'Italia o la Spagna, se venissero giù. Quindi il vertice di Bruxelles ha raggiunto alcuni risultati, ma non ha messo la parola fine al problema".
Quali sono le implicazioni per l'Italia?
"Quelle che vediamo. Rendimenti più alti significa maggiori costi per il servizio del debito, che gravano sul bilancio dello Stato. Alla lunga il peso potrebbe diventare insostenibile".
Come ridurli?
"Dando ai mercati un segnale chiaro: l'Italia deve fare un aggiustamento di bilancio più marcato di quello che ha fatto fino ad oggi, perché la Germania, la Francia, l'Olanda e gli altri non pagheranno per noi se andiamo in default. Dobbiamo farcela da soli".
E la lettera di Berlusconi?
"Anche quella è un'operazione di marketing. Sono buoni propositi, ma non sono realistici. Non è possibile che la Merkel non si renda conto che i problemi di bilancio dell'Italia non si possono risolvere con una lettera scritta in 3 ore, se non li abbiamo risolti in 15 anni..."
Nella pratica, cosa si aspettano i mercati?
"Fatti, non parole. Non ci vuole moltissimo, non è che ci chiedano un taglio delle spese macroscopico, come quello fatto ad esempio dall'Indonesia nel '97, ma bisogna tagliare la spesa almeno del 2-3% del Pil, con provvedimenti decisi".
Ad esempio?
"Nel nostro decalogo ne elenchiamo vari, ma su una spesa pubblica che pesa il 48% del Pil, qualsiasi taglio alla macchina dello Stato va bene: i costi della politica, gli stipendi dei dipendenti pubblici, la sanità, le pensioni, le grandi opere, i sussidi alle imprese. Si è fatto l'esempio di dimezzare i deputati: va bene anche quello. L'importante è dare un segnale concreto, deciso, anche se la ricaduta economica sul Pil è modesta. Basta far vedere che qualcosa si muove".

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