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26 novembre 2008

Acqua: in Puglia via alla ri-pubblicizzazione

Dice: «Il mio Acquedotto Pugliese nasce sotto la bandiera della ri-pubblicizzazione e finché sarò presidente, la privatizzazione non si farà». Da oggi Nichi Vendola mette Ivo Monteforte ad agitare quella bandiera. Un bel salto. Dopo le dimissioni di Riccardo Petrella, docente di Mondializzazione all' Università Cattolica di Lovanio e illustre no-global dell' acqua, la presidenza del più grande acquedotto d' Europa, il terzo del mondo, viene affidata all' ingegnere idraulico Ivo Monteforte, direttore generale dell' Azienda Servizi di Pesaro. La ri-pubblicizzazione del gigantesco ente - che attraversa quattro regioni con 20 mila chilometri di tubi ed è diventato società per azioni nel ' 99, grazie a un mutuo ventennale di 392 miliardi di lire a carico dello Stato, concesso dal governo D' Alema - è stata il cavallo di battaglia elettorale del governatore. Appena eletto, nell' aprile 2005, Vendola ha fatto il bel gesto di affidare la presidenza a Petrella, con il mandato di mettere fine alla «gestione economicistica» dell' industriale della pasta Francesco Divella, chiamato a gestirlo dall' allora governatore di centro-destra Raffaele Fitto, nella prospettiva di una futura privatizzazione. Ma il professore no-global, che doveva fare marcia indietro, si è scontrato con qualche difficoltà. «L' Acquedotto Pugliese è un colabrodo», spiega Renato Scognamiglio, l' amministratore delegato che ha combattuto per quasi un anno e mezzo con le manie ideologiche di Petrella e alla fine si è dimesso anche lui per incompatibilità con l' impostazione del governatore. «In Puglia - precisa Scognamiglio - c' è una crisi idrica macroscopica e metà dell' acqua che raccogliamo va persa: bisogna avviare un enorme intervento per la ricerca delle perdite e per la riabilitazione delle reti. Ed è quello che ho cercato di fare, con un intervento da 150 milioni di euro, che avrebbe potuto ridurre le perdite della metà». Ma Petrella era fissato con la ri-pubblicizzazione dell' ente. «Ri-pubblicizzare - è la tesi del guru dell' acqua intesa come "bene comune" - significa che non solo la proprietà delle infrastrutture e delle reti deve essere pubblica, ma lo deve essere anche la gestione dei servizi idrici. Pertanto, se la gestione è stata affidata a un soggetto di natura giuridica privata, quale una società per azioni, come è il caso dell' Acquedotto Pugliese, ripubblicizzare implica dare la gestione dell' acqua a un soggetto di natura giuridica pubblica. Non sono riuscito, in diciotto mesi, a far accettare dalla Regione Puglia l' idea di costituire un gruppo di lavoro incaricato di esaminare e proporre delle soluzioni». Pari e patta. «Resta ancora da chiedersi - commenta Scognamiglio - come si fa a uscire dalla logica clientelare degli investimenti senza svincolarsi dalla longa manus degli enti locali. Duole dirlo, ma nel corso di questi diciotto mesi il principale impedimento a una corretta gestione del patrimonio pubblico è venuta proprio dalle "lista della spesa" dei Comuni: da un lato chiedono investimenti per favorire questo o quel politico locale, dall' altro nessuno tappa le falle vere e d' estate l' acqua arriva a singhiozzo nelle case». Il vero problema, paradossalmente, è abbandonare la caccia al contributo pubblico. «Nessuno si pone il problema - fa notare amareggiato Scognamiglio - se un certo lavoro serve agli utenti». Incanalare l' acqua è molto più difficile che incanalare i fondi.

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