Pagine

27 novembre 2008

Il salvataggio del Warren Buffett della Valcamonica

E' Romain Zaleski, il "Warren Buffett della Valcamonica", la prima vittima italiana della crisi dei subprime. Un anno fa la sua società, la Carlo Tassara (praticamente un hedge fund) aveva un avanzo patrimoniale di 5 miliardi ai valori correnti e gli attivi erano pari al 160% del debito. Era ritenuta solvibile e corretta. Oggi ha all'attivo partecipazioni che valgono 6 miliardi, 5 dei quali in società quotate. Al passivo ha debiti verso le banche per oltre 6 miliardi. Nel frattempo, evidentemente, Zaleski ha fatto qualche scommessa sbagliata, usando denaro preso a prestito per i suoi investimenti. Le banche italiane, preoccupate dal crollo di un pilastro del sistema, gli hanno offerto un piano di salvataggio. Ma lui ha detto di no. Il raider amante delle macchine d'epoca non è disposto a uscire di scena in silenzio.
PARTECIPAZIONI PESANTI
Il problema sta nel fatto che a garanzia dei prestiti ricevuti (1,3 miliardi), le azioni della Carlo Tassara sono in pegno presso alcune banche straniere, principalmente la francese Bnp e la britannica Royal Bank of Scotland. Ora le due banche gli hanno chiesto di rientrare. Ma quelle azioni non sono azioni qualsiasi. La Carlo Tassara, in questi anni, ha comprato partecipazioni "pesanti", fondamentali per gli equilibri di potere in alcuni santuari della finanza italiana come Intesa Sanpaolo, Generali, Mediobanca. Zaleski controlla la Mittel, di cui è presidente Giovanni Bazoli, che guida il consiglio di sorveglianza di Intesa Sanpaolo. E conta in Edison, A2A, Montepaschi, Popolare di Milano, Ubi Banca. In pratica, è il perno attorno a cui gira buona parte del sistema. Un ruolo niente affatto casuale. Se il finanziere franco-polacco è riuscito a entrare in tutti i salotti buoni della finanza italiana, vuol dire che a questi santuari faceva comodo così.
ANGELI CUSTODI
Non è dunque un caso che le banche italiane (UniCredit, Intesa Sanpaolo, Ubi Banca, Bpm e Mps) siano immediatamente accorse al suo fianco, per impedirgli di vendere le sue azioni in Borsa, il che farebbe scendere ancora il valore dei rispettivi titoli. I suoi cinque angeli custodi gli avevano offerto un piano in due fasi. Il primo passaggio era una ricapitalizzazione da 200 milioni di euro della Carlo Tassara. Il secondo passaggio era il salvataggio vero e proprio: un finanziamento da 1,3 miliardi, che doveva servire a Zaleski per ripagare i suoi debiti con Bnp Paribas e Royal Bank of Scotland. In cambio il portafoglio della finanziaria - dov'è custodito il 5% di Intesa SanPaolo, il 2% di Generali, Mediobanca e Ubi, il 10% di Edison e il 2,5% di A2A, più quote di altre società minori italiane ed estere, come l'azienda siderurgica bresciana Metalcam, da cui era partito - doveva essere svuotato con calma, per evitare il crollo delle azioni coinvolte, già tanto provate da questa infelice stagione di Borsa. L'impero finanziario costruito in questi anni da Zaleski, che vale oltre 6 miliardi di euro, doveva essere messo in mano a Pierfrancesco Saviotti, il banchiere di Merrill Lynch che si era preso l'incarico di smontarlo pezzo a pezzo, in pratica un commissario delle banche impegnate nel salvataggio. I potenziali acquirenti non mancano. Pochi giorni fa, l'imprenditore romano Francesco Gaetano Caltagirone aveva detto di essere interessato ad aumentare la partecipazione in Generali e a valutare Mediobanca. Ma all'ultimo momento Zaleski si è tirato indietro: questa "liquidazione extragiudiziale" non gli piace. Cercherà di trovare da solo le risorse per chiudere le posizioni verso le banche estere. Che non significa «arrivederci e grazie», perché la situazione patrimoniale della finanziaria bresciana non è certo florida e quindi ha bisogno di una moratoria da parte delle banche italiane per non andare in bancarotta. Ma Zaleski vorrebbe liquidare gli istituti stranieri non più attraverso il finanziamento bancario, bensì vendendo le azioni date in garanzia, tra cui il 3% del capitale di Intesa Sanpaolo. Alla quale verrebbe chiesta, così come alle altre quattro, una moratoria di dodici mesi sugli interessi relativi all' attuale esposizione, pari a circa 5 miliardi. Su questo è iniziata una nuova trattativa.
DA OUTSIDER A INSIDER
Romain Zaleski è uno dei pochi outsider che siano stati capaci di infiltrarsi e diventare parte di un sistema chiuso e opaco come quello italiano, dove l'appartenenza alla "famiglia" era (e in parte è ancora) fondamentale per poter operare. Tutto il contrario dei sistemi anglosassoni di mercato, molto più simili a una democrazia rappresentativa, dove gli outsider di solito prosperano. Non dimentichiamo che Enrico Cuccia, il grande manovratore della finanza italiana fino alla sua morte nel 2000, era siciliano di Patti.
LA STORIA DI UN MAVERICK
Il percorso di Zaleski dimostra una straordinaria capacità di reagire alle avversità, a partire da quando riuscì a trasmettere alla resistenza polacca un messaggio suggeritogli da sua madre mentre gli uomini della Gestapo la stavano arrestando sotto i suoi occhi, a Varsavia nel 1944. Aveva 11 anni. La sua azione disperata gli costò un soggiorno a Buchenwald. Dopo la liberazione, ritrova la sua famiglia a Parigi, dove si laurea nel '58 all'École nationale supérieure des mines. La sua formazione ingegneristica lo porta a lavorare in diverse aziende metallurgiche, fino all'arrivo in Italia nell'84, quando gli viene affidato il risanamento della Carlo Tassara, un'azienda siderurgica familiare con sede in Valcamonica sull'orlo del dissesto. Zaleski la risana e l'acquisisce: negli anni la trasforma in una holding di partecipazioni, passando dalla siderurgia alla finanza pura. Il suo primo assalto al sistema di Mediobanca è la scalata della Falck con i soldi della Comit nel '96: un'operazione che gli ha fruttato una plusvalenza di 300 milioni di euro. Nel 2000 è appoggiato da Giovanni Bazoli nella battaglia per la Montedison, che ha coinciso con la scomparsa di Enrico Cuccia e il tramonto di Mediobanca. Ora la sua storia sembrava finita. Ma non è mai detta l'ultima parola.

Nessun commento: