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11 novembre 2008

L'Eni muove sull'Alto Adriatico

Messo in sicurezza il «tesoro del Caspio» con l' accordo su Kashagan, intascata la presenza in Russia con la spartizione degli asset Yukos per conto di Gazprom, acquisiti i giacimenti in Congo e in Turkmenistan di Maurel & Prom e di Burren, quelli di Dominion nel Golfo del Messico, i campi gelati in Alaska, quale sarà la nuova frontiera dell' Eni nel mondo? L' Africa, l' Asia, i Caraibi? Macché: l' Alto Adriatico. Con i suoi 30 miliardi di metri cubi di gas già accertati e almeno 100 miliardi stimati, la porzione di Adriatico che si estende fra Chioggia e il Delta del Po, fino alla linea mediana di confine con la Croazia, potrebbe diventare l' Eldorado del gas italiano, se fosse possibile sfruttarlo. Per ora, tutta la zona a Nord del parallelo del Po di Goro è off limits per paura che le estrazioni di gas possano causare l' abbassamento della costa (il fenomeno è chiamato «subsidenza»), già minacciata dall' erosione. Ma con l' inserimento nel decreto Milleproroghe di un provvedimento che impone un parere scientifico in tempi brevi sulla consistenza di questi timori, finalmente il nodo dell' Alto Adriatico sta per essere sciolto. Il via libera è bipartisan: la riapertura della questione, accolta dal governo nel decreto, è stata firmata dal segretario del gruppo Pd alla Camera Erminio Quartiani e dal collega Stefano Saglia, responsabile energia di An. Concordano Sviluppo Economico e Ambiente. «Se si escludono problemi di subsidenza - conferma il ministro Alfonso Pecoraro Scanio - non c' è motivo di bloccare le estrazioni». Naturalmente, precisa Pecoraro, «la difesa dell' assetto idrogeologico dell' Alto Adriatico è prioritaria». Ma «si devono contemperare le esigenze dell' ambiente con le necessità dell' approvvigionamento». Proprio dalla carenza di gas evidenziata in questi ultimi anni discende l' interesse crescente nei confronti del tesoro sommerso in Adriatico. Un tesoro che si era già tentato di estrarre in passato. Tra il ' 67 e il ' 94 si spesero 425 miliardi di lire per le perforazioni esplorative. Ma la memoria delle inondazioni del Polesine, con le conseguenti accuse all' Eni di aver causato abbassamenti del terreno estraendo metano nelle zone colpite, rallentò e poi bloccò tutto. Nel novembre 2000 il ministero dell' Industria emana un decreto che autorizza l' Eni a installare alcune piattaforme. Ma si fa appena in tempo a mettere i giacimenti in produzione che arriva il sequestro della magistratura. Tutti i vertici dell' Eni e alcuni funzionari del ministero vengono rinviati a giudizio con l' accusa di «tentata inondazione». Nel 2002 il governo Berlusconi ha esteso i divieti a tutto il Golfo di Venezia. Il discorso sembrava chiuso. Ma ora si riapre. La nuova commissione ha pochi mesi di tempo per pronunciarsi. E bisogna fare presto, perché nel frattempo c' è già qualcun altro che ha cominciato a sfruttare i giacimenti in Alto Adriatico, sulla sponda di fronte. La stessa Eni, in joint venture paritetica con la società di Stato croata Ina, è andata a estrarre quel gas al largo di Pola. Due giacimenti, Ivana e Katarina, sono già in produzione e convogliano quasi due milioni di metri cubi di gas al giorno verso il mercato italiano. Un altro, Annamaria, entrerà in produzione nel 2009. Per l' Eni, assetata di riserve in un mondo dove ormai le compagnie petrolifere nazionali lasciano agli stranieri soltanto gli spiccioli, la mossa è ragionevole. «Siamo andati lontano per cercarle, queste riserve», dice Paolo Scaroni, anche se «può sembrare paradossale, se si considera che - a differenza della Francia o della Spagna - l' Italia è un Paese petrolifero». Ora, dopo le ultime acquisizioni, la pipeline degli investimenti del cane a sei zampe è quasi vuota. Che sia giunto il momento di estrarre il tesoro nascosto in casa?

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