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18 novembre 2008

La sfida dell'Eni: rinnovare la squadra

Oltre 5,5 miliardi di euro di utili. Una produzione di un milione e mezzo di barili di petrolio al giorno. L' Eni corre per raggiungere il manipolo di testa delle Big Five, da cui ogni anno la distanza si accorcia. Correre è necessario per sopravvivere in un contesto sempre più competitivo, ma crescere a questo ritmo senza seguire la strada delle fusioni, come hanno fatto le altre compagnie petrolifere negli anni ' 90, non è facile. Per farlo serve una squadra compatta, omogenea e leale: impresa non facile in un Paese di primedonne, dove le operazioni grandi e complesse di solito finiscono male. L' Eni questa squadra ce l' ha. Ventuno top manager, accanto al presidente Roberto Poli: Vittorio Mincato (amministratore delegato), i tre direttori generali Stefano Cao, Luciano Sgubini, Gilberto Callera; i nove direttori corporate Fabrizio D' Adda, Vittorio Giacomelli, Carlo Grande, Roberto Jaquinto, Marco Mangiagalli, Leonardo Maugeri, Eugenio Palmieri, Luigi Patron e Renato Roffi; l' assistente dell' amministratore, Piergiorgio Ceccarelli; i presidenti delle società del gruppo Alberto Meomartini (Italgas), Salvatore Russo (Snam Rete Gas), Pietro Franco Tali (Saipem), Giorgio Clarizia (Polimeri Europa), Giuseppina Fusco (Sofid), Carmine Cuomo (Syndial) e Francesco Zofrea (EniTecnologie). Età media 58 anni. Non pochi, ma necessari in un business che ha bisogno di tempi lunghi. Ora la sfida è passare il testimone alla prossima generazione, ai circa 200 dirigenti che sono stati addestrati per impugnarlo. «Il punto forte della squadra sono gli obiettivi, condivisi e conosciuti». Condivisi e conosciuti sono le parole chiave di Stefano Cao, 53 anni, il più giovane dei tre direttori generali. Nato a Roma da una famiglia di origini sarde, Cao ha dal 2000 la responsabilità di esplorazione e produzione, l' attività centrale dell' Eni. Ingegnere meccanico, segue il core business del gruppo dopo 24 anni passati alla Saipem, tra buchi impossibili e piattaforme marine, fino a diventarne presidente nel ' 99. «Sono entrato in Saipem appena laureato e i primi 12 anni li ho trascorsi in mare. Ho contribuito a posare la condotta Italia-Algeria, il cordone ombelicale che ancor oggi ci collega all' Africa. Arrivato al vertice di Saipem mi hanno chiamato in Eni a dirigere esplorazione e produzione. Così ho saltato la barricata e sono passato dalla parte dei clienti». Balzo con ricadute di vasta portata: l' acquisizione delle britanniche British Borneo e Lasmo nel 2000, della finlandese Fortum Norway nel 2002 e l' attribuzione all' Eni nel 2001 della guida operativa nello sviluppo del campo kazako di Kashagan hanno inaugurato la stagione della crescita a tappe forzate che dura ancora. Le acquisizioni hanno portato nel gruppo dirigente di Eni, che conta in tutto circa 1.650 manager, 200 stranieri, fra cui Hugh O' Donnell, capo di Saipem. Esperienza sul campo e disponibilità a lavorare all' estero sono comuni a tutti i componenti della squadra di vertice. Luciano Sgubini, classe 1940, direttore generale della divisione gas ed energia, è stato per 30 anni in Agip fino al ' 98, quando ha gestito l' incorporazione della società di esplorazione e produzione nella capogruppo. «Pochissimi erano preparati a questo passaggio: abbiamo dovuto far incontrare per strada culture diverse, ma il forte senso di appartenenza al mondo Eni ci ha permesso di appianare le difficoltà», racconta. Ingegnere minerario, nato a Roma da famiglia triestina, Sgubini ha passato anni all' estero «prima in Nigeria, poi in Angola e infine in Libia, proprio nel periodo della crisi con gli americani e del bombardamento su Tripoli». Nel ' 96 è amministratore di Agip, poi affronta l' incorporazione. E visto che gli è venuta bene, chiamano di nuovo lui quando arriva il momento di incorporare Snam in Eni e separare la rete gas per quotarla in Borsa nel 2001. Da allora si occupa di gas a tempo pieno, un business in grande evoluzione viste le limitazioni sul mercato domestico, bilanciate con la crescita all' estero. Su questo fronte è stato completato il gasdotto Blue Stream, che trasporterà dalla Russia alla Turchia 16 miliardi di metri cubi di gas, e sono stati assegnati i contratti per la costruzione di Green Stream, che collegherà Sicilia e Libia. Sull' espansione all' estero è concentrato anche Gilberto Callera, «l' uomo del mercato». Nato a Bologna nel ' 39, Callera ha in mano raffinazione e marketing, attività che erano di AgipPetroli prima dell' incorporazione nel 2002. Unico dei tre direttori generali a essersi fatto le ossa fuori casa, per 10 anni in Shell, Callera è approdato all' Agip nel ' 74, arrivando ai vertici di AgipPetroli nel ' 96, per portarla infine all' incorporazione nel 2002. «Come venditori - spiega Callera - trasmettiamo ai vertici Eni la cultura del mercato, le esigenze dei clienti, di cui si devono anticipare gli orientamenti. Ci stiamo sviluppando in Spagna, Francia, Svizzera, Austria, Repubblica Ceca, Ungheria e Romania, con un' espansione che si concentra attorno alle aree dove abbiamo impianti di raffinazione». Callera parla di bisogni, di nuovi prodotti come il bludiesel e si chiarisce il senso dell' integrazione verticale che in questi anni Eni ha portato a termine: eliminando i diaframmi tra le varie realtà del gruppo con l' incorporazione delle tre principali società operative, Eni ha certamente guadagnato in rapidità decisionale e uniformità di gestione. Anche la riunificazione di pianificazione e sviluppo con la direzione esteri nella direzione strategie, con a capo Leonardo Maugeri, si muove in questo senso. Oltre a elaborare il piano industriale quadriennale, si punta il cannocchiale più in là, con un masterplan sulle variabilio strategiche di lungo periodo, che per quest' anno arriva al 2015. Per il direttore finanziario Marco Mangiagalli, l' incorporazione delle varie società operative nella capogruppo è stata una benedizione, perché i mercati finanziari non amano le holding. «Dopo la privatizzazione del ' 95, ci sono voluti anni per farci conoscere dagli investitori, per spiegare che ci muoviamo con la stessa logica delle grandi compagnie petrolifere», spiega. E il mercato l' ha capito, anche se il titolo Eni viene ancora trattato a sconto per la presenza di un azionista pubblico, che ne esclude la contendibilità. I fondi internazionali - termometro della fiducia del mercato - detengono oggi il 42% del capitale di Eni, contro il 22% del 2000. Più del Tesoro.

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