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14 novembre 2008

Manca acqua dolce? La si paghi salata

Emergenza sì, emergenza no. Il deficit idrico che si ripropone ormai tutti gli anni, con caratteri particolarmente drammatici questa primavera, rischia di finire in una farsa, con da una parte il consiglio dei ministri che proclama lo stato di crisi e dall' altra gli sberleffi di chi suggerisce: «Guardate il cielo, piove». Il governo - risponde Pier Luigi Bersani - si è accorto che piove. Ma non saranno certo due giorni di pioggia in più o in meno a risolvere un problema che sta diventando cronico. Nell' ultimo decennio si è registrato un calo del 20% della portata dei principali fiumi italiani, con relativa riduzione della produzione idroelettrica. E non sarà il pacchetto di risparmio predisposto dalla Protezione Civile sotto la spinta dell' emergenza a rimettere sui binari il treno deragliato dell' approvvigionamento idrico nazionale. La crisi però può mettere in luce un dato di fondo: l' acqua è un bene prezioso. E come tale va pagata. Solo così gli italiani - famiglie, agricoltori e industriali - smetteranno di sprecarla. «Bisogna adattarsi agli effetti di un clima sempre più arido - commenta Mauro D' Ascenzi, presidente di Federutility, l' associazione che raggruppa tutte le utility italiane operanti nel settore dell' acqua e del gas - passando dalla lunga tradizione di politica della domanda a una nuova stagione della pianificazione e gestione della risorsa disponibile». In pratica, se i bacini naturali non sono più efficienti come una volta, è l' efficienza dell' uomo che deve sopperire alla loro funzione. «L' acqua, che un tempo veniva raccolta dai nevai e dai ghiacciai durante l' inverno e poi rilasciata a poco a poco nella stagione calda in cui più serve all' uomo, ora dev' essere raccolta e conservata da noi - sostiene D' Ascenzi -. Va distribuita in modo corretto senza disperderla e utilizzata con parsimonia, contenendo i consumi e incrementando l' efficienza degli usi». A partire da un settore strategico come quello agricolo, principale colpevole e al tempo stesso vittima di questa crisi. L' agricoltura in Italia si beve 20 miliardi di metri cubi all' anno di acqua, ossia il 49% del totale disponibile, una percentuale altissima (e probabilmente sottostimata), che ci pone ben oltre la media europea del 30%. Al secondo posto c' è l' industria che usa il 21%, quindi la rete civile per il 19%, infine il settore energetico, che tra produzione idroelettrica e raffreddamento delle centrali arriva all' 11%. L' utilizzo irriguo, oltre a prelevare di più, è anche quello che restituisce meno acqua all' ambiente, attorno al 50% rispetto al 90% che ritorna disponibile dopo gli usi civili e industriali. A prezzi irrisori. I cittadini italiani la pagano 52 centesimi di euro al metro cubo, la metà della media europea, ma sempre più del prezzo stracciato fatto agli agricoltori, che spendono fino a 100 volte di meno. E solo in pochi casi vengono fatturati i reali consumi agricoli: su 190 consorzi di bonifica, solo 10 li contabilizzano, mentre tutti gli altri fanno pagare un forfait annuo sulla base della tipologia di colture e degli ettari. Un sistema che non incentiva certo un consumo improntato al risparmio. La proposta che tutti gli esperti mettono al primo punto di una nuova politica dell' acqua, dunque, è la revisione completa del sistema di tariffazione. «Altro che acqua libera per tutti!», è la critica di Stefano Ciafani, responsabile scientifico di Legambiente e autore di un prezioso libro bianco sull' emergenza idrica, a uno slogan spesso ripetuto nei raduni ambientalisti. «Anzi - insiste Ciafani - qui ci vuole un affondo della forza pubblica contro chi scava pozzi abusivi attingendo alle falde nel sottosuolo senza pagare un centesimo; ci vuole un censimento preciso dei pozzi, come prescritto dalla legge Galli del ' 94, mai applicata. Serve un meccanismo di premi e penalizzazioni che valorizzi le esperienze virtuose e gravi sui consumatori più grandi, come nel caso delle aziende d' imbottigliamento delle acque minerali, che pagano meno di un centesimo al metro cubo una risorsa che, messa in vendita sugli scaffali di un supermercato, a noi costa 500-1.000 volte di più, garantendo ai produttori profitti da capogiro». Stesso discorso sui consumi agricoli. «Bisogna cambiare - precisa Ciafani - il sistema della vendita a forfait, garantita dalla quasi totalità dei consorzi di bonifica». Solo così si spingeranno gli agricoltori a ripensare il sistema d' irrigazione, quasi totalmente fondato sulla modalità a pioggia, per riconvertirlo ai sistemi di microirrigazione e a goccia, che possono garantire almeno il 50% del risparmio di acqua utilizzata. «Per compiere questa piccola rivoluzione - propone Ciafani - il mondo agricolo dev' essere incentivato, magari con strumenti di agevolazione fiscale simili a quelli che promuovono l' efficienza energetica nell' ultima Finanziaria». E poi bisogna avviare lo sfruttamento per usi agricoli o industriali delle acque reflue, che oggi vanno perse. Per mettere in piedi questo sistema, ampiamente diffuso in altri Paesi mediterranei come la Spagna, bisogna anzitutto modificare il decreto del ministero dell' Ambiente, che nel 2003 ha fissato limiti alla carica batterica mille volte più stringenti rispetto a quelli previsti dall' Oms, impedendo in sostanza il riutilizzo. Un nuovo meccanismo di prezzo s' impone anche per la rete idrica ad uso civile, ridotta a un colabrodo che lascia per strada il 42% dell' acqua immessa (il primato è di Cosenza con il 70%). Per ripararla servono soldi. «Da dove vengono? Che io sappia - è la spiegazione di D' Ascenzi - o vengono dalle tasse o da un inasprimento delle tariffe. Bisogna industrializzare l' intero settore. Chi avvertirà di più la crisi idrica quest' estate non saranno le aree dov' è piovuto di meno, ma quelle dove l' acqua non è stata "industrializzata". In alcune zone c' è un sacco d' acqua eppure la gente muore di sete. In California piove molto meno che in Sicilia, ma hanno quantità incredibili d' acqua per attività irrigue».

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