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14 novembre 2008

Quando l'azienda ti spia

In principio c’era Frederick Winslow Taylor. E’ stato lui, l'inventore del management come disciplina scientifica, a suggerire a cavallo fra ‘800 e ‘900 l’idea di monitorare i tempi di produzione di ogni lavoratore con un cronometro. Poi, ai giorni nostri, sono arrivati i capi del personale che vietano le telefonate private durante l'orario di lavoro o limitano l'accesso a internet dei loro dipendenti. Un broker di Merrill Lynch, ad esempio, ha dichiarato recentemente a un giornale americano che nella banca d'affari è stato introdotto il divieto di entrare nel sito di eBay: "Si fidano di darti in mano milioni di dollari dei loro clienti da investire, ma non si fidano di farti navigare liberamente su internet", è stato il suo commento sarcastico. L’approccio sistematico di Taylor ha segnato l’inizio di una vera e propria rivoluzione nella gestione aziendale, ma c’è chi sospetta che non abbia aiutato molto ad aumentare la produttività. Ad esempio secondo Michael Skapinker, esperto di management del Financial Times, “c’è un limite a quanto si possa spremere dalla gente misurando e monitorando le sue attività: soprattutto in un’economia basata sui servizi come quella di oggi, dove gran parte del lavoro consiste nel risolvere i problemi della clientela, la disponibilità ad ascoltare e la volontà di prendere l’iniziativa sono molto più importanti della capacità di portare meccanicamente a termine le proprie mansioni”. Skapinger, uno dei più ascoltati guru britannici della gestione aziendale, ha preso spunto per la sua requisitoria da uno studio di Edward Freeman e Kirsten Martin, della Darden Business School (Università della Virginia), in cui si segnala l’enorme aumento di questo tipo di controlli dall’avvento della rivoluzione digitale. La sofisticazione sempre maggiore degli strumenti tecnici consente ormai alle aziende di spiare i propri dipendenti fin nei più intimi particolari: basta esaminare il disco rigido di un computer per scoprire tutto quello che ci è transitato in entrata e in uscita, mentre è ancora più facile di una volta sorvegliare i movimenti e le conversazioni che avvengono all'interno dell'azienda. La stragrande maggior parte dei manager considera questo tipo di controlli del tutto normali e offre per giustificarsi una serie di ragioni che Freeman – inventore del concetto di stakeholder e grande teorico della responsabilità sociale delle imprese – divide in tre categorie salienti: la necessità di stimolare la produttività; l’obbligo di reprimere comportamenti illegali come la diffusione di materiale pornografico o le molestie sessuali per e-mail; il bisogno di tutelare le informazioni riservate, ormai sempre più vulnerabili ed esposte alle spie e ai sabotatori. Gli argomenti esposti dai top manager nello studio dei professori di Darden rimanda immediatamente alle teorie X e Y di Douglas McGregor, che cinquant'anni fa ha delineato in un testo magistrale (“The Human Side of the Enterprise”, McGraw-Hill) la differente atmosfera che regna nelle aziende convinte che i dipendenti vadano considerati come bambini cattivi e in quelle che preferiscono trattarli come adulti responsabili. Nel suo libro, McGregor individua due linee di condotta, che partono da due concezioni completamente antitetiche della natura umana: i fautori della Teoria X ritengono che la gente comune abbia in odio il lavoro e cerchi di evitarlo quando possibile; i fautori della Teoria Y invece pensano che il lavoro ci venga naturale quanto il divertimento. Di conseguenza, i manager di tipo X considerano indispensabile sorvegliare strettamente, dirigere, costringere e minacciare di punizioni le persone per farle lavorare. I manager di tipo Y preferiscono stimolare la libera iniziativa, l'autodisciplina e l'autocontrollo delle persone, coinvolgendole negli obiettivi dell'organizzazione. I primi credono che la maggior parte della gente sia priva di ambizione, rifugga dalle responsabilità e senta il bisogno di essere indirizzata. I secondi ritengono che la gente, in circostanze normali, impari non solo ad assumersi le proprie responsabilità ma anche a ricercarle. Per i primi il lavoratore medio apprezza la sicurezza del posto di lavoro sopra ogni altra cosa. Per i secondi il lavoratore medio apprezza la creatività e la persegue attivamente. E' evidente che partendo dalle due diverse premesse si arriva a due tipi di organizzazione molto diverse l'una dall'altra. E secondo McGregor è il tipo di organizzazione in cui si trova ad operare che porta il lavoratore a comportarsi secondo la Teoria X o Y, mai viceversa. Il maestro di Detroit, professore al Mit fino alla sua prematura scomparsa nel '64, naturalmente era convinto che i manager debbano imparare ad applicare il più possibile la Teoria Y, senza la quale è assolutamente impossibile portare un'impresa al successo, come ci viene dimostrato a suon di esempi nel suo libro. E Freeman è d'accordo con il maestro. Nel suo studio, intitolato "Some Problems with Employee Monitoring", Freeman mette in luce tutti i danni causati da un'eccessiva intrusione nella privacy dei dipendenti e gli scarsi risultati positivi ottenuti. Anche se gli impiegati sono consapevoli che l'azienda sia inevitabilmente portata a operare dei controlli sulla quantità e la qualità del lavoro svolto, è indubbio infatti che questo tipo di controlli - soprattutto se non vengono condotti apertamente - finiscano per erodere la fiducia reciproca fra dipendente e datore di lavoro. Per di più il monitoraggio, secondo Freeman, non risolve nulla, perché trattando i lavoratori come dei bambini da sorvegliare, si otterranno le stesse reazioni tipiche dei bambini che non vogliono essere sorvegliati.Un lavoratore poco motivato non diventerà più produttivo se gli si proibirà di usare Internet: invece di navigare in rete, passerà il tempo a spettegolare o a guardare fuori dalla finestra. Un impiegato che non vede il motivo di essere gentile e sollecito con i clienti potrà moderare i toni se ha paura di essere ascoltato, ma non offrirà quel tipo di servizio che distingue le aziende di primo piano dalle altre. Solo i manager più bravi ottengono questo tipo di prestazione dai loro dipendenti. E non certo leggendo le loro e-mail o misurando quanto tempo sono stati al telefono, ma solo instaurando un'atmosfera in cui la gente vuole davvero lavorare per contribuire al successo dall'impresa.

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