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29 novembre 2008

Ma c'è anche un'Italia pulita

Ad Acerra le tammurriate e gli scontri di piazza. A Montecorvino i blocchi ferroviari. A Rapolla le carte bollate. Per le infrastrutture italiane non c' è pace: dovunque si voglia costruire un termovalorizzatore o un elettrodotto, ma anche un collegamento ferroviario, una bretella autostradale o un parco eolico, c' è chi grida «no». E alla fine vince quasi sempre chi grida più forte, mentre i comuni cittadini si tengono gli ingorghi, le immondizie per strada e l' energia elettrica più cara e inquinante d' Europa. Gli americani la chiamano sindrome Nimby («Not in my backyard», Non nel mio cortile), o nella sua variante più perniciosa, Banana («Build absolutely nothing anywhere near anyone», Non costruire assolutamente nulla da nessuna parte vicino a nessuno) e i militanti del rifiuto vengono gratificati dal nomignolo Cave People («Citizens against virtually everything», Cittadini contro virtualmente tutto). Ma c' è chi non ha voglia di fare l' uomo delle caverne. Da Brescia a Trezzo sull' Adda, da Trieste a Piacenza, anche in Italia gli impianti modello non mancano, sostenuti dalla popolazione o addirittura richiesti a gran voce come sta succedendo in questi giorni a Giffoni Valle Piana, un paese del Salernitano a 13 chilometri da Montecorvino, che sta cercando in tutti i modi di far installare un termovalorizzatore sul proprio territorio, allettato dalla prospettiva di una pioggia di tre milioni di euro l' anno nelle casse del Comune, con cui costruire nuove strutture per i cittadini. «A Milano - spiega Andrea Gilardoni, docente alla Bocconi e direttore scientifico del Nimby Forum - quando abbiamo avviato la rivoluzione della raccolta differenziata e la costruzione del termovalorizzatore Silla 2, siamo stati "aiutati" dall' emergenza rifiuti. Nel ' 94, quando sono diventato presidente dell' Amsa, c' erano i sacchi neri per le strade e la gente era scioccata. Allora il grosso delle immondizie milanesi finiva nella discarica di Cerro Maggiore e solo il 5% veniva raccolto in maniera differenziata. Sviluppare la raccolta differenziata e costruire il termovalorizzatore significava togliere affari alle discariche. Ma davanti all' emergenza il "partito della discarica" è stato sconfitto rapidamente. Già all' inizio del ' 96 un terzo delle immondizie veniva raccolto in maniera differenziata. In pochi mesi abbiamo costruito due impianti di separazione e compostaggio e avviato la costruzione di Silla 2, un termovalorizzatore ancora oggi all' avanguardia». Rivoluzioni di questo tipo non mancano. A Brescia, dove dal lontano ' 72 funziona un sistema di teleriscaldamento simile a quello di Vienna (che descriviamo qui sotto), dal ' 98 un terzo del fabbisogno di elettricità e calore necessari agli abitanti viene dal termoutilizzatore che ingoia i rifiuti della città. «Per di più, i 55 euro che servono a smaltire una tonnellata di rifiuti nel nostro impianto, contro gli 85 euro necessari a smaltirli in una discarica, rappresentano un notevole risparmio», spiega Renzo Capra, presidente di Asm Brescia. L' impatto ambientale è bassissimo (le emissioni annuali sono inferiori a quelle di un camion), l' impatto visivo molto piacevole (le pareti di pannelli di vetro si confondono con il blu del cielo) e i rifiuti da fonte di problemi sono diventati una fonte di energia e di ricchezza. Non a caso gli abitanti di Brescia sono fieri del loro termoutilizzatore. «In queste vicende è essenziale instaurare un rapporto corretto con la popolazione», spiega Guido Berro, presidente di Federambiente, che riunisce circa 250 aziende d' igiene urbana in tutta Italia. «Bisogna illustrare bene - insiste Berro - le caratteristiche dell' impianto, senza nascondere nulla. Molto spesso è l' autorità che bara e questo crea sfiducia e malcontento. Quando invece s' instaura un rapporto decente, la popolazione capisce. A meno che non ci sia dietro chi attizza la rivolta per interessi poco chiari, come succede in questi giorni in Campania. Allora il braccio di ferro diventa molto più duro». «La trasparenza dell' impresa costruttrice - conferma Salvatore Giammusso, a.d. di Actelios, la società del gruppo Falck che fa termovalorizzatori - è cruciale. Ma anche la fermezza delle autorità. Nel caso della Campania mi pare che si percepisca un atteggiamento nuovo, che non premia chi grida di più. E questo è un notevole passo avanti». «Per vincere la diffidenza degli italiani, però, è fondamentale che la comunità scientifica assuma un ruolo più importante e avvii un' azione educativa su queste tematiche, inquinate da una coscienza ambientale terribilmente confusa», sostiene Alessandro Beulcke, presidente della società di comunicazione Allea, che ha lanciato il Nimby Forum mettendo attorno a un tavolo le maggiori aziende italiane impegnate sul fronte delle infrastrutture, dalle Ferrovie all' Aem, la comunità scientifica e i ministeri dell' Ambiente e delle Attività produttive, per analizzare il fenomeno e affrontarlo con coerenza. La sindrome Nimby nasce dunque dalla scarsa conoscenza, dalla diffidenza e dal limitato interesse per la cosa pubblica degli italiani. E il risultato si vede. In Italia ci sono 47 termovalorizzatori, di cui solo tre al Sud. In Germania e Francia oltre il doppio. In Italia ci sono 74 metri di cavi ad alta tensione per ogni chilometro quadrato. In Germania 110. La nostra rete idrica perde il 40% di quello che trasporta e al Sud 7 persone su 10 devono fare i conti con forniture a singhiozzo. L' elenco potrebbe continuare a lungo. «Allo sviluppo di un sistema infrastrutturale pensato oltre mezzo secolo fa si oppongono di solito tre fattori: problemi finanziari, burocratici e di Nimby - spiega Gilardoni - . Ma i tre fattori sono molto legati fra loro: le questioni burocratiche sono influenzate dalla sindrome di Nimby, perché spesso è l' opposizione locale il granellino di sabbia che inceppa l' ingranaggio burocratico». E gli investimenti tardano a farsi vedere nei luoghi dove i meccanismi sono perennemente inceppati.

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