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4 novembre 2008

Binari liberalizzati, arrivano gli stranieri

La liberalizzazione corre sui binari. O meglio arranca. A sei anni dal decreto legislativo che gettava le basi della deregulation anche sulle tratte dei pendolari oltre che sulle merci, finalmente le Regioni si muovono, tutte fuori tempo massimo (il termine ultimo era il 31 dicembre 2003). Così, nel giro di un paio d' anni i pendolari del Veneto, della Liguria e della Lombardia potrebbero andare al lavoro su treni privati, diversi da Trenitalia. Ma le barriere d' ingresso sono ancora altissime, tanto che il gruppo guidato da Giancarlo Cimoli non fa una grinza: non mette in conto di perdere più del 5% del traffico in questo modo, com' è successo nei servizi cargo, dove solo il 3% del mercato per ora è in mano ai privati (cosa che non impedisce alle Ferrovie di contare perdite operative pari a quasi un terzo del fatturato). Il timore di finire come Alitalia non sfiora l' ex monopolista, che si avvia ad affrontare con animo sereno la liberalizzazione totale del traffico merci, fissata da Bruxelles al 1° gennaio 2007, e delle tratte internazionali a partire dal 2010. «Un atteggiamento comprensibile - spiega Marco Andreassi, consulente di A.T. Kearney specializzato nelle reti - ma forse ottimista, poiché è noto che in sede di gara l' incumbent tende a perdere». Il Veneto è il primo a scendere in campo, mettendo in palio il 75% del servizio regionale, in un blocco unico, con una base d' asta di oltre 420 milioni di euro per sei anni: un impegno ciclopico per chi risulterà vincitore. Anche la Liguria ha scelto il lotto unico, per motivi geografici, con una base di 590 milioni per nove anni. La Lombardia, invece, opta per una strada più liberista, cominciando la deregulation con tre piccole direttrici. «La griglia dei requisiti richiesti nel bando del Veneto - spiega Marco Piuri, direttore generale del gruppo Ferrovie Nord Milano - è tale che nemmeno noi, seconda impresa ferroviaria italiana, saremmo in grado di soddisfarli da soli. Per far funzionare quel servizio ci vorranno almeno 100 treni. Tanto per fare un paragone, noi ne abbiamo 100 in tutto». In pratica, Venezia ha messo all' asta un bene indicando implicitamente anche il compratore, se ci si limita al mercato italiano. Così per partecipare Fnm ha dovuto allearsi con Citypendeln, controllata svedese del colosso francese Keolis. Sulla Liguria ha messo gli occhi anche l' altra grande francese, Connex, partecipata da Vivendi, oltre all' inglese Arriva: domani, alla scadenza del bando di presentazione, sapremo se ce l' hanno fatta. Deutsche Bahn, già attiva in Italia sul fronte cargo attraverso la controllata Railion, ha cercato a lungo un alleato italiano per partecipare alla gara in Veneto e continuerà a cercarlo per le prossime aste. In Lombardia la situazione è più distesa: «Abbiamo scelto - spiega l' assessore alle Infrastrutture Massimo Corsaro - di non mettere in gara l' intero servizio ferroviario in un lotto unico, ma di far svolgere le gare progressivamente a partire da tre lotti sperimentali. In assenza di competizione, infatti, è difficile pensare che le gare possano produrre gli effetti attesi dai cittadini lombardi». Effetti che dovrebbero comprendere il miglioramento del servizio e magari il contenimento dei prezzi. Il grosso scoglio è il materiale rotabile. Con la recente sentenza dell' Antitrust, che ha escluso la possibilità di mettere il materiale di Trenitalia a disposizione dei concorrenti, chi vuole mettersi in affari sui binari italiani deve presentarsi con i suoi treni. Impresa non facile, visto i costi e il fatto che per costruirne uno ci vogliono almeno 24 mesi dall' ordine. Per non penalizzare troppo i concorrenti di Trenitalia, l' Autorità ha consigliato alle Regioni di fissare l' inizio del servizio tenendo conto del tempo necessario a procurarsi i convogli, cioè due anni. Ma già nei primi bandi la Liguria non ha rispettato il limite. «Altro sarebbe se l' Italia avesse scelto la strada britannica, dove il monopolista è stato smontato in 20 società operative e il materiale rotabile affidato alle Rosco (Rolling stock company), che lo danno in leasing ai vincitori delle gare», precisa Marco Ponti, docente di economia dei trasporti al Politecnico di Milano. L' esempio britannico fa scuola, malgrado la cattiva fama. «Cattiva fama immeritata - insiste Ponti - visto che le ferrovie britanniche sono oggi le più efficienti sulla piazza e non meno sicure di altre. Anche negli anni più neri il numero di morti britannici sui binari è sempre stato inferiore ai tedeschi». «È proprio la strada tedesca - fa notare Piuri - che l' Antitrust ha scelto di seguire in Italia. Da loro le gare si fanno lasciando sempre 24 mesi di tempo per consentire al vincitore di procurarsi il materiale». Ma è un approccio che funziona nei lotti contenuti. Quando si tratta di mettere in campo 100 convogli, come in Veneto, il discorso cambia. E solo i giganti europei possono affrontarlo. «Non che le grandi compagnie estere possano utilizzare direttamente in Italia i propri convogli: le reti ferroviarie nazionali sono state pensate volutamente come sistemi chiusi, anche per motivi di sicurezza, e le differenze fra una rete e l' altra impediscono di usare sulle tratte regionali treni costruiti per un altro Paese», spiega Piuri. Ma una società come Keolis (al 49% di Paribas e 43% di Sncf), che opera in nove Paesi su 1.500 chilometri di binari, ha la potenza finanziaria per sostenere un investimento di questa portata, soprattutto se spinta dall' incentivo di mettere piede per prima in un mercato che si sta aprendo. In altre parole, come fa notare brutalmente Ponti, «qui si tratta di andare in dumping e finanziare le ferrovie del Veneto» per piantare una bandierina in Italia. La calata degli stranieri in queste condizioni è inevitabile.

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